Il bacio al lebbroso
- Autore: François Mauriac
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
Rileggere un capolavoro serve alla sua comprensione, fa intuire nuove profondità e significato del testo e mai si finisce di gustarne la bellezza. Mi è accaduto con Il bacio al lebbroso di François Mauriac, romanzo breve intriso di lirismo, in cui la visione cattolica dell’esistenza che si prolunga nel dopo morte ha il sapore autentico della parola "cattolico", che significa appunto universale. In quanto tale il Cattolicesimo riguarda tutti, credenti e non, per la questione relativa alla nostra eternità.
Dinanzi al dolore e alla morte, come reazione possiamo tenere due atteggiamenti in apparenza antitetici, ma in fondo, credo, essi finiscono per toccarsi: quello di Nietzsche, basato sul sentimento di forza e potenza, autoaffermazione vitalistica sfociante ne “l’eterno ritorno” di tutto e, di contro, quello cristiano, con il comandamento di compassione, agape, verso tutti e in special modo verso i deboli, e fede nella vita eterna post portem. La trama di questo bel romanzo mette a confronto le due forme di pensiero.
Il libro, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1922, è stato tradotto in 15 lingue; è uscito in Italia con la traduzione di Giuseppe Prezzolini (Garzanti, 1965, pp. 203). Contiene anche altri racconti brevi dell’autore. Uno di questi, Il demone della conoscenza, è tradotto da Roberto Ortolani. Mauriac è premio Nobel per la letteratura nel 1952.
Siamo nella Francia del sud, nella terra delle Lande, dove l’oceano batte le coste sabbiose con veemenza e i pini bucano il cielo con la loro possanza. Il giovane Giovanni, figlio di proprietari terrieri, potrebbe essere felice se non fosse un concentrato di bruttezza, che lo condanna a essere un diverso. Mauriac descrive un povero nano striminzito dalla pelle già rugosa, il naso adunco, i denti guasti, fragile e solitario. Sua madre è morta di tisi quando lui era infante; suo padre è un despota possessivo che tiene il ragazzo avvinto a sé. Giovanni non possiede virtù alcuna, se non l’ipersensibilità acuita dal suo stato. Impiega il tempo nella caccia alle gazze (rivelandosi molto poco francescano).
Durante la messa cantata si invaghisce di Noemi, bellissima e povera fanciulla, di buona famiglia decaduta; non ardisce nemmeno di guardarla, sentendosi indegno, quando lei passa per la navata, splendente nei suoi diciassette anni. È Noemi che il parroco sceglie come sposa per lui, in modo che attraverso un erede il patrimonio dei ricchi possidenti un domani non cada in mano a certi parenti avidi e indigesti. Noemi, sottomessa ai genitori e al curato, accetta un destino difficile; il ribrezzo verso il marito diventa però insormontabile. I due giovani passano notti intrise di lacrime, senza riuscire ad amarsi. L’erede non nascerà.
Giovanni è turbato dalla lettura di Nietzsche. In Al di là del bene e del male si sofferma su un paragrafo esplosivo, chiuso con l’affermazione:
" - Che cos’è più nocivo di qualunque vizio? - La pietà che chi è nato ad agire sente per gli spostati e per i deboli: il Cristianesimo.”
Il ragazzo comprende di aver vissuto la fede come un rifugio, un baluardo contro la fragilità e la sua pochezza. Nietzsche qui ha una parte di ragione, poiché il Cristianesimo del protagonista si basa sulla disistima, sul senso di inferiorità che lo accompagna da sempre. Per chiunque, e per sé, egli è soltanto un povero diavolo. Ma il Cristianesimo è davvero tutto qui? È soltanto la compassione verso il lebbroso, verso la povertà dell’essere? Decisamente no.
Mauriac crea nel personaggio del prete un figura di grande carisma, dolcemente paterna. Essere curatore d’anime non può essere debolezza. La forza viene dal ministero, dalla capacità di compiere i disegni divini. Ma può egli veramente indovinarli? Il curato se lo chiede incessantemente. Intuisce la disperazione di Noemi e convince Giovanni ad allontanarsi per un periodo. La scusa è approfondire lo studio della storia locale con ricerche da svolgere nelle biblioteche di Parigi. La ragazza, senza il consorte imposto, rifiorisce. Non così Giovanni. Questi, esiliato, torna smagrito, indebolito dal fumo, dall’inappetenza. Morirà dopo aver assistito quotidianamente un amico distrutto dalla tubercolosi, contratta al suo capezzale. La tragedia si compie al suono delle campane, simbolo di pietas e solidarietà.
Il giovane e bel dottore che assiste Giovanni si invaghisce di Noemi. Anche lei si sente coinvolta e conosce per la prima volta la corrente del desiderio, ma... misteriosamente è attratta dal marito, ne scopre la bellezza interiore per il potere della grazia. La dolcezza dell’anima è più avvincente della bellezza esteriore. Giovanni nel suo letto di costrizione mortale sta subendo una trasformazione radicale, fa esperienza di “quella pace che niente al mondo può dare”. Sente l’amore profondo della moglie. Questa, straordinariamente, lo vede bello. Il curato è il testimone silenzioso dell’unione fra i due ragazzi, realizzata nell’invisibile, e medita sul mutamento salvifico del morente:
"C’era una bella distanza da quell’uccisore di gazze a questo moribondo che dava la vita per la salvezza di molti. Il curato si sprofondava dinanzi a Colui il cui segreto è di rendere gli schiavi simili a Dio.”
Siamo dunque destinati a realizzare la somiglianza con Dio. Non siamo servi. Nietzsche riguardo al Cristianesimo si è sbagliato. Possiamo ricordare che anche lui offre all’uomo l’affrancamento dal dolore nel ballo dionisiaco di Zarathustra dentro la caverna in compagnia degli animali e nel ritrovare l’originaria indole felice del bambino. Per questo mi pare che, pur non volendolo né credendolo, per certi versi Nietzsche si avvicini a Cristo, che del bambino fa il signore del regno.
Lasciamo Noemi al suo destino, il lettore lo scoprirà nell’ultima pagina del romanzo. Anche lei è mutata, vive l’appartenenza al coniuge come amore tardivamente scoperto. Nel finale abbraccia “una quercia intristita sotto il bigello delle foglie morte, ma tutte frementi di un soffio di fuoco, una quercia nera che somigliava a Giovanni Peluèr”.
Ecco l’amore cosmico. Si può vivere da vincenti provandolo e coltivandolo, indipendentemente dal dolore, inevitabile tributo pagato da ciascuno per attraversare questa terra.
Il bacio al lebbroso
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