Guadalajara. La prima sconfitta del fascismo
- Autore: Olao Conforti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2017
1400 morti, 560 dispersi, 4mila feriti e Mussolini minimizzava: ma quale sconfitta, solo “un insuccesso”. Faceva finta di non vedere di aver dovuto contare più caduti in due settimane di combattimenti in Spagna, dall’8 al 23 marzo 1937, che in tutta la conquista dell’Etiopia. La prima sconfitta del fascismo, ecco quello che fu la battaglia dimenticata in un altopiano a nord di Madrid. E proprio “Guadalajara” è il titolo del saggio storico di Olao Conforti, apparso la prima volta nel 1967 e più volte ripubblicato, fino alla ristampa per i tipi Mursia nel marzo 2017 (pp. 440, euro 19,00), nella collana Testimonianze del XX secolo della casa editrice milanese.
Nelle intenzioni del capo del fascismo, l’offensiva avrebbe dovuto determinare la fine della guerra spagnola, con tanto onore per le armi italiane, ma segnò invece l’inizio della resistenza europea.
“Combattenti antifascisti di tutte le età e di tutte le nazioni, gli esuli italiani e tedeschi in prima fila, sbarrarono la strada alle truppe di Mussolini che calavano su Madrid. E per la prima volta, vinsero”.
La vittoria comunista ricacciò le linee del generale Franco da Madrid e lo costrinse a scegliere di neutralizzare i territori "rossi" uno a uno. In questo modo, concesse altri due anni di vita alla Repubblica.
Prima della battaglia tanto voluta dagli italiani, la situazione era di stasi invernale in quell’altopiano sotto i mille metri, al centro del territorio iberico. In autunno era fallita l’offensiva di Franco su Madrid, che dista appena una cinquantina di chilometri. Da poco era riuscita invece l’operazione che aveva visto i fascisti italiani a brillare nella conquista franchista di Malaga.
Ora sono i generali del Corpo Truppe Volontarie, mobilitato dal duce, a prendere l’iniziativa di riavviare l’avanzata verso la capitale dei rossi. Hanno l’avallo di un Mussolini spocchioso come mai, che voleva impartire lezioni di forza a tutto il mondo e spaventarlo con l’aggressività dei suoi “eroi” in grigioverde. Ma dall’altra parte del fronte i repubblicani hanno tempo di riorganizzarsi. Sono decisi a chiudere la strada per Madrid. Hanno in zona i volontari delle Brigate internazionali, accorsi da ogni continente a difendere la libertà del popolo spagnolo dal nazifascismo. C’era anche la “Garibaldi” di Randolfo Pacciardi e Ilio Barontini.
Avvenne così che forze militari repubblicane inferiori per numero riuscirono nel gelo e nella neve a contenere nei primi giorni la spinta italiana, fino a rovesciarla una volta affluiti i rinforzi, giovandosi della stasi negli altri territori, a causa del mancato coordinamento tra fascisti e franchisti. Questi ultimi, limitandosi a mettere localmente in azione solo aliquote della divisione Soria, non avviarono nessuna delle offensive previste sui fronti dello Jarama e Guadarrama.
L’arrivo in linea di carri armati di costruzione sovietica, molto più efficienti dei micro tank italiani da 3 tonnellate, ribaltò il fronte e ricacciò i legionari grigioverdi, riprendendo la metà del territorio perduto nelle prime ore e riducendo a dieci chilometri la penetrazione nemica.
La ricostruzione di Olao Conforti è ampia, ben documentata e brilla quando sulla scena dei combattimenti si affacciano le vicende individuali di singoli protagonisti. Come Bartolo Sorino, legionario calabrese diciannovenne. A lui i morti non lo spaventano, sono le cannonate che lo scuotono. Non lo confesserebbe a nessuno, ma il botto sul terreno gli sembra assordante, anche quello dei piccoli 45 millimetri, le “ranocchie”, come li chiamano scherzosamente i reduci dal Carso e dal Piave, per il cra-cra che fanno al momento del lancio accelerato. Quei veterani hanno conosciuto l’effetto dei mostruosi obici 381, ben altra cosa.
Per inciso, li chiamano volontari, ma in gran parte erano richiamati con cartolina precetto, più qualche disoccupato convinto di andare in Africa orientale. Del resto, di “africano” avevano l’abbigliamento, inadatto al freddo della Nuova Castiglia.
I legionari Archimede Picone e Agostino De Amicis, della Bandera Aquila, sono in una buca avanzata, nel tavolato che domina la valle del Tajuna. Alle spalle hanno Brihuega, davanti un bosco dal quale usciranno i comunisti. E quelli lo fanno, a metà giornata, anche con i carri armati. Picone allunga la mano verso il moschetto. Ci pensa, poi desiste. Escono dalla buca con le mani alzate. I miliziani nemici fanno segno di andare verso le linee da cui loro stanno avanzando. Per i due comincia la prigionia.
Vanno a condividere la sorte di un migliaio di italiani. Niente al confronto del milione di prigionieri lasciati in mano a tutti gli avversari, tedeschi compresi, nella seconda guerra mondiale in cui Mussolini si sarebbe cacciato tre anni dopo.
Guadalajara, sostiene l’autore,
“è un tragico anticipo della Grecia, della Russia, dell’Africa, dell’8 settembre”.
I fascisti erano andati a dare lezione in Spagna e non impararono nulla da quella batosta. Né hanno rimediato in seguito.
Fin dalla pubblicazione nel 1967, il punto di vista di Olao Conforti ha messo in agitazione un pugno di nostalgici: la storiografia di destra continuava a negare negli anni Settanta-Ottanta la sconfitta di Gadalajara o a sottovalutarla, proprio come Mussolini. E chi non conosce la storia - o la distorce - è condannato a riviverla.
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