Fiore del deserto
- Autore: Waris Dirie
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2024
Andrebbe scritto a caratteri cubitali: l’infibulazione è una pratica infame, stop alla mutilazione genitale femminile! Che sia pronunciato, chiaro e tondo, una volta per tutte, alla faccia della cultura woke e del politicamente corretto, senza paura d’essere chiamati razzisti. È benvenuta, perciò, la riedizione del romanzo autobiografico della somala Waris Dirie Fiore del deserto. Storia di una donna, pubblicato da Garzanti (maggio 2024, 322 pagine) a cura di Kathleen Miller e nella traduzione dall’inglese di Gianni Pannofino.
La denuncia sollevò scalpore nel 1998, all’uscita di Desert flowers, i cui diritti vennero acquisiti dal marchio editoriale milanese che da quell’anno ha rinnovato una decina di ristampe e non meno di cinque edizioni. Con la nuova, Garzanti torna a dare voce alla campagna dell’ex modella - ora attivista civile in Austria e scrittrice - contro la mutilazione sessuale femminile diffusa in 28 paesi africani. L’ONU calcola in 130 milioni le infibulate, anche di famiglie africane emigrate in Europa e negli Stati Uniti.
Se penso che quest’anno milioni di ragazze subiranno quello che ho subito, mi sento male e mi rendo conto che quanto più questa tortura andrà avanti, tante più saranno le donne come me, furiose e ferite.
Nonostante l’effetto deflagrante e la militanza della Dirie per i diritti delle donne, la sua testimonianza dal vero non ha sconfitto questa forma di violenza misogina e veteropatriarcale, esercitata tuttora anche in Italia, clandestinamente, a danno di bambine innocenti, in ambienti non asettici, con strumenti non sterilizzati e con la connivenza dei genitori quando non su loro commissione. L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene che ad oggi la pratica sia stata subita da circa 200 milioni di donne nel mondo e che ogni anno siano a rischio 3 milioni di bambine (si stima che nello Stato di New York oltre 25 mila siano state o saranno sottoposte). Ricorre anche nei Paesi occidentali, esercitata da “mammane” africane considerate esperte. In alternativa, sono gli stessi padri ad “operare”. Una ricerca dell’Università Bicocca di Milano ha contato in Italia quasi 88 mila donne mutilate al 2022.
Il feroce e precoce intervento sugli organi sessuali femminili è argomento ruvido, ma l’autrice ha trovato la delicatezza e la misura giuste per descrivere il calvario al quale è stata sottoposta, probabilmente quando aveva cinque anni. È nata nel 1965 al confine tra Somalia ed Etiopia, nel deserto, in una famiglia di allevatori nomadi di bestiame: genitori e dodici fratelli e sorelle.
Sull’Enciclopedia delle donne si legge che la mutilazione genitale delle figlie femmine è conosciuta in Somalia come circoncisione femminile, per quanto molto diversa da quella maschile. Comporta l’escissione e sutura dei genitali esterni e viene svolta senza anestesia e cura delle norme igienico-sanitarie. In tanti casi, le bambine muoiono per infezioni o dissanguamento. La stessa Waris ha perso sorelle e parenti a causa di questa pratica. Per chi sopravvive alle infezioni, le complicazioni sono innumerevoli per tutta la vita. La ragione del rituale non è medica né religiosa: serve solo a garantire al marito la verginità della sposa e la fedeltà della moglie, privata di ogni piacere sessuale.
In questo suo primo libro, Waris Dirie racconta tutto della sua vita, l’infanzia nel Corno d’Africa e la fuga a circa 13 anni per evitare un matrimonio combinato con un uomo molto più vecchio di lei. Camminando da sola nel deserto per giorni, senza cibo e acqua, riesce a raggiungere a Mogadiscio la sorella Aman, fuggita anche lei dalla famiglia anni prima. Per lavoro, si sposta da da una famiglia all’altra come domestica, fino a trovare occupazione a Londra, anche da McDonald’s. Notata da un fotografo, comincia la carriera da modella, una delle più richieste al mondo: il Calendario Pirelli, le migliori riviste di moda, anche sfilate e qualche film (è stata anche una Bond girl nel 1987). Nel frattempo matura la presa di coscienza e la scelta dell’impegno militante: è ambasciatrice umanitaria, insignita della Legion d’onore nel 2007. Dal primo libro è stato tratto un film omonimo nel 2009.
Waris, che in somalo significa “fiore del deserto”, sostiene che la mutilazione femminile e le guerre tribali sono il frutto dell’egoismo maschile, dell’orgoglio e della prepotenza degli uomini. Entrambi i fenomeni derivano dall’ossessione per il proprio territorio e i propri beni, tra cui, per cultura e per legge, rientrano le donne.
Non accusa i genitori. La madre non poté nulla per evitarle la tortura, perché le donne non hanno il diritto di decidere. Lasciò che le facessero ciò che avevano fatto anche a lei, a sua madre e alla madre di sua madre. Il padre ignorava del tutto le sofferenze inflitte: sapeva soltanto che nella loro cultura una donna non infibulata non avrebbe mai trovato marito. Anche i suoi genitori sono stati vittime dell’educazione ricevuta.
Con Garzanti, Waris Dirie ha pubblicato anche Alba nel deserto (2002), in cui narra il primo ritorno in Somalia e l’incontro con i genitori e i fratelli; Figlie del dolore (2006), libro denuncia sulla pratica dell’infibulazione nei Paesi europei, e Lettera a mia madre (2009), nel quale si confronta con la mamma ammalata e svela la propria storia di donna fragile e senza patria.
Insiste che il suo obiettivo è aiutare le africane: vuole vederle più forti e per questo lotta contro la mutilazione genitale femminile, che le rende certamente più deboli, fisicamente e moralmente. Dal momento che le donne sono la spina dorsale dell’Africa e si fanno carico di gran parte del lavoro, pensa a quello che potrebbero fare
se non le si macellasse da bambine, costringendole a vivere in condizioni d’invalidità per il resto della vita.
Fiore del deserto. Storia di una donna
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