E Johnny prese il fucile
- Autore: Dalton Trumbo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
Ho dovuto mandare a prendere "E Johnny prese il fucile" in un’altra biblioteca, la mia non ce l’ha ed è un peccato, perché questo è un libro che tutti dovrebbero leggere. Di un’attualità sconcertante, tiene intrappolato il lettore in uno spazio buio, silenzioso e angusto e lo costringe a respirare al ritmo di Johnny. Non potendo toccare, vedere, annusare, sentire, chi legge può fare, come il protagonista, una sola cosa: pensare.
Dalton Trumbo, lo stesso che sceneggiò Vacanze romane, qui si fa eccezionale interprete di un’opera che è diventata un classico della nonviolenza, eppure oggi quasi del tutto dimenticata. Tutta un’altalena di disperazione cieca e, nonostante tutto viva speranza, in questo libro, in cui Johnny è inchiodato in un letto da qualche parte. Forse nell’ultima stanza, la più nascosta, di un ospedale militare. Non è morto, e desidera morire. Non è vivo e desidera vivere. Chi legge lo accompagna pagina dopo pagina nel risveglio dopo che una bomba lo ha colpito, insieme a lui scopre di essere sordo, di non possedere più braccia e poi gambe. Di avere un grosso buco al posto della faccia ed essere costretto a respirare e mangiare attraverso un tubo.
La narrazione è in terza persona, ma aderisce perfettamente ai pensieri intrappolati nel tronco di Johnny, quel soldatino che non voleva partire, che ha promesso a una ragazza di tornare, di non morire e ha rispettato solo metà di quell’impegno. La scrittura è un fiume in piena, priva di virgole, di pause, di discorsi diretti con due punti e virgolette. Una sorta di flusso di coscienza senza la mediazione di una lingua letteraria. Solo il punto fermo, che impone delle brusche frenate, dei silenzi, pause anche nel pensiero.
La mente, man mano che il corpo guarisce e riprende, pur così orrendamente mutilato, le sue funzioni di base, si fa sempre più lucida, si nutre di ricordi, di suoni memorizzati, anche psichedelici e martellanti, di volti e parole. Una folla vorticante che preme per uscire e non può più farlo. Johnny è solo, profondamente e irrimediabilmente solo. E quello che sembra un atto pietoso, ogni sforzo per tenerlo in vita, è in realtà una crudeltà immane e il condannato Johnny ripensa a tutte le sofferenze antiche e moderne, quelle degli schiavi nelle galee, dei servi incatenati a una porta, quella di Cristo stesso, alla sua agonia. Ma costoro furono tutti più fortunati di lui perché poterono morire.
Ai momenti di disperazione si alternano gli sforzi per misurare il tempo, per creare un contatto con le poche persone che sanno di lui, per capire dal numero e dall’intensità dei passi se l’infermiera di giorno sia la stessa che viene anche la notte. Così, con quel buco in faccia, è un milite ignoto, uno senza patria, senza identità e il lettore annaspa nella tomba di carne di Johnny, i suoi sensi non funzionano più, è in quel ventre oscuro di balena, anche lui tornato perennemente nell’utero della propria madre, condannato a un ritorno indietro, una regressione che non è giovinezza, non è vita nuova.
Poi una sorta di barbaglio, un miracolo. Johnny comincia a battere con la testa per produrre le lettere del codice Morse. Batte e batte per mesi e noi trepidiamo con lui, accompagnando il suo sforzo. Infine, un’infermiera traccia qualcosa sul suo petto. Lettere che formano "Buon Natale". La gioa è immensa e il protagonista riprende furiosamente a battere, fa capire che vuole uscire da lì, sentire sulla pelle l’aria fresca del mattino, che potrebbe ripagare quel piccolo favore, potrebbero guadagnare, portarlo in giro nelle fiere come un fenomeno, una creatura guardata con curiosità e orrore, che spiega con la sua sola esistenza che cosa è in grado di fare la guerra.
"Quello che chiedi è contro il regolamento" gli rispondono con lo stesso sistema, battendo punti e linee sulla sua fronte. Johnny resterà per sempre nascosto, se la gente lo vedesse i giovani non vorrebbero più fare la guerra e la guerra è necessaria ai potenti.
Da questo libro venne realizzato anche un film, del quale lo stesso Trumbo fece la regia. Il presente in bianco e nero, i sogni a colori. Ma nella pellicola c’è in qualche modo una mediazione, mentre il libro ti inghiotte, ti fagocita, ti toglie li respiro. E alla fine sei contento di essere sgusciato fuori indenne da quella piramide di carne. Johnny, dopo l’ultima pagina della sua storia, continuerà a vivere, accudito dalle sollecite mani di perfetti sconosciuti e non saprà che un’altra guerra è iniziata e finita. E poi un’altra. Imprigionato nell’incubo e nella dolcezza dei suoi sogni perenni.
E Johnny prese il fucile: Prefazione di Goffredo Fofi
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