Desolazione del povero poeta sentimentale è una limpida dichiarazione di poetica del poeta crepuscolare Sergio Corazzini (1886-1907), che marca la distanza da Pascoli e D’Annunzio, anch’essi decadenti. Il componimento è tratto dalla raccolta “Piccolo libro inutile”, pubblicata nel 1906, un anno prima della morte che lo colse appena ventunenne per una grave forma di tubercolosi. Il testo è una macro litote volta ad affermare un nuovo modello di poeta. Vediamo insieme perché.
Desolazione del povero poeta sentimentale: analisi del testo strofa per strofa
I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
Ad avvolgere il lettore è l’intimità colloquiale di una domanda tanto diretta, quanto formulata a bassa voce cui l’io lirico dà una risposta negativa: non è un poeta ma un piccolo fanciullo che piange. Ha solo lacrime da offrire, non parole tanto che la sua divinità è il Silenzio.
Ecco alcuni spunti di riflessione:
- L’incipit marca il tono dimesso della raccolta, anticipato dal titolo e il carattere autobiografico sul cui peso la critica si divide.
- L’autore definisce se stesso come un bambino indifeso che mostra il proprio dolore: come poeta si nega. Siamo sicuri? In realtà si propone come poeta intimo e non convenzionale, perché non aspira a esercitare un ruolo pubblico.
- La distanza con Pascoli non ha margini di ambiguità per due aspetti. Corazzini rifiuta l’identificazione poeta-fanciullo perché rivendica solo lo spazio del fanciullo. Questi non è un privilegiato dalla sensibilità superiore, ma un emarginato in cerca di conforto. Affine a un fanciullino depotenziato che ignora stupore e curiosità. Infatti non credo, come sostengono alcuni, che i numerosi punti esclamativi indichino meraviglia, quanto una sorta di puerilità.
- Il tu generico dell’attacco sarà di Montale in “Ossi di seppia” ma con ben altra forza esortativa (Non chiederci la parola).
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
La strofa si muove rapida su tre piani temporali. L’oggi è ingrigito dalla desolazione esistenziale. Nel breve passato brillano gioie insignificanti. Se seguiamo la bussola interpretativa biografica, che esperienze può aver tesaurizzato un ventenne compromesso dalla tisi? L’immediato futuro è quello della morte, presentata come destino comune.
Emerge la polemica contro il superomismo della lirica dannunziana. Il poeta, infatti, sottolinea la mancanza di eccezionalità della sua vita fatta di cose così insignificanti, da non essere meritevoli di menzione.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
Viene espressa una condizione di stanchezza esistenziale e di rassegnazione di fronte alla vita che sfugge. Rispetto alla strofa precedente, la morte è desiderata con forza. Il tassello dell’assenza di vitalismo arricchisce la polemica antidannunziana.
Corazzini rinnova il topos dello specchio. Paragonandosi ad uno specchio sottolinea l’inerzia, corollario della stanchezza esistenziale e il fatto di non poter cambiare il proprio destino. Infatti lo specchio non può modificare ciò che gli sta di fronte. Generalmente lo specchio indica narcisismo, vanità o presa di coscienza. Ricordate quanto si mirano il giovin signore e la sua dama nel Giorno pariniano prima di pavoneggiarsi in società? Il faccia a faccia con se stesso di Rinaldo, posto di fronte a uno scudo che funge da specchio, nell’inazione del giardino di Armida di Tasso? La dismorfofobia di Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila. I vezzi del cavaliere des Grieux mentre si compiace dell’acconciatura che gli ha fatto Manon. E quante volte Dante sceglie lo specchio et similia nella Divina Commedia per spiegare con immagini concrete l’eccezionalità della sua esperienza?
IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente,
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
Con tono accorato vengono ribadite solitudine, tristezza e l’identità di fanciullo sofferente, insieme all’incapacità di rivolgere al lettore messaggi positivi.
- Il rosario di tristezza è una metafora conforme alla tendenza mistica di Corazzini e al gusto di un certo tardo simbolismo fiammingo.
- Viene ribadita l’incapacità di assumere il ruolo di poeta vate di Carducci e D’Annunzio.
V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori, poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato Dio.
Corazzini entra in comunicazione con il silenzio con un esplicito riferimento al sacramento dell’eucarestia. Questo silenzio fa da contrappunto al Silenzio del v. 4 in cui oltre alla Divinità, è possibile ravvisare la mancanza di parola. Il che a dire della poesia.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
La sofferenza fisica ed emotiva assume un’impronta autoreferenziale. Prima dichiara di sentirsi piccolo e dimenticato dal consorzio umano. Poi vagheggia privazioni e maltrattamenti dove convogliare il dolore.
Due spunti:
- Le fantasie masochiste fanno dell’io lirico una controfigura laica di Cristo. Quelle vittimistiche si stemperano nell’autocompiacimento.
- La posizione delle mani in croce sul petto – dei bimbi addormentati e dei defunti -, sintetizza i poli esistenziali di Corazzini tra fanciullezza e morte.
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
Corazzini immagina che l’interlocutore attribuisca il suo dolore e pessimismo alla malattia. Come va intesa la malattia? È la tubercolosi oppure una sensibilità esasperata che rende più difficile il mestiere di vivere? Fino a che punto la realtà della malattia assurge a simbolo esistenziale?
VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.
Il poeta, educandosi al progressivo distacco dalle passioni terrene, si prepara alla morte. Già nella strofa precedente compare tale necessità di autodisciplina.
Da notare:
- La vita è quella vera, non quella inimitabile
- Mirando all’autenticità, la poesia risiede nella sofferenza
- Il suggello amen trasforma il testo in una preghiera
Metrica e figure retoriche in Desolazione del povero poeta sentimentale
Metrica: versi liberi da due a ventuno sillabe articolati in otto strofe di varia lunghezza
Principali figure retoriche elencate in ordine alfabetico:
- Anadiplosi, vv.7-8: “Le mie gioie furono semplici/semplici così”; vv.10-11: “Solamente perché/solamente perché”
- Anafora, vv.2-3: “Io non sono”
- Climax ascendente, vv.9-10: “Io penso a morire/io voglio morire”
- Epanadiplosi, v.5: “Perché tu mi dici: poeta?”
- Metafora, v.25: “Sgranare un rosario di tristezza”
- Similitudine, v.15: “Rassegnato come uno specchio”
Interpretazione del testo
L’interpretazione del testo dipende dal peso assegnato alla componente autobiografica, cioè dal rapporto tra vita e letteratura. La critica si attesta sulla seguente dicotomia:
- 1. La sofferenza fisica e psichica causata dalla tisi condiziona la poetica di Corazzini di cui è la traslitterazione.
- 2. Il testo ha una forte componente letteraria riconducibile ai tardo simbolisti francesi e belgi: la malattia è metafora di un disagio storico-esistenziale più ampio.
L’elemento religioso in Desolazione del povero poeta sentimentale
La lirica è punteggiata da immagini sacre frequenti nella poesia decadente e simbolista che assegna all’apparato liturgico una funzione prevalentemente esteriore.
- Vv.11-12: “i grandi angioli sulle vetrate delle cattedrali”
- V. 25: “sgranare un rosario di tristezza”
- V. 30: “io mi comunico del silenzio”
- V. 33: “ho dormito con le mani in croce”
- V. 55: “Amen”. Una poesia sussurrata come una preghiera non poteva chiudersi diversamente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Desolazione del povero poeta sentimentale”: testo e analisi della poesia di Sergio Corazzini
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