Ci vorrebbe la rivoluzione!
- Autore: Alessandro Ticozzi
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
I film di Mario Monicelli facevano ridere un sacco, corroborati dal valore aggiunto della ferocia. Per dirla con un ossimoro celentaniano: i film di Monicelli erano vere e proprie carezze in un pugno: sotto la patina finto-soap sapevano a memoria ciò che volevano e dove volevano andare. Puntavano al sodo della cattiva coscienza sociale e non mollavano la presa. Un borghese piccolo piccolo è il film-paradigma della simpatica virulenza del cinema monicelliano. E’ il film in cui il regista è uscito più allo scoperto, esasperando la cattiveria minuta della maschera di Sordi fino a trasfigurala in crudeltà. Mario Monicelli è stato un uomo dalla schiena dritta e un castigamatti dei costumi italiani dalla lungimiranza profetica. I titoli dei suoi film sono un brand della commedia tout court (non solo di quella all’italiana): Guardie e ladri, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone, Amici miei, Parenti serpenti. E poi l’indimenticabile Romanzo popolare, accompagnato dalla struggente Vincenzina e la fabbrica (Enzo Jannacci), a sua volta indimenticabile. Romanzo Popolare con dentro di tutto: antropologismo ed empatia, strizzate d’occhio, malinconie, risate limpide, lacrime in punta di ciglio, al punto che, il più delle volte, non sai se ridere o piangere, stare dalla parte di chi o invece incazzarti di brutto. Ma a guardar bene è quello che succedeva spesso nei film di Mario Monicelli. La dinamicità del segno formale e contenutistico come marchio autoriale.
A dispetto della sua giovane età Alessandro Ticozzi rumina cinema d’autore con autorevolezza mista a passione. E mai titolo fu più calzante per ripercorrere vita e opere (soprattutto opere) di Monicelli: “Ci vorrebbe la rivoluzione!” (Edizioni SENSOINVERSO, 2016) è desunto da una delle riflessioni ultime (uno degli ultimi auspici? Un appello?) monicelliane. Interrogato sulla stato delle cose italiane, il Nostro (ormai ultra-ottuagenario) rispose:
“Come finisce questo film? Non lo so. Io spero che finisca con una bella botta, una Rivoluzione che non c’è mai stata in Italia. C’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania… dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto. Sono trecento anni che è schiavo di tutti e, quindi, se vuole riscattarsi non è una cosa semplice: è dolorosa, esige anche dei sacrifici, sennò vadano in malora, come già stanno andando da tre generazioni”.
L’ottimo trattatello di Alessandro Ticozzi è pieno di citazioni di questa e di altra risma. Tutte di Monicelli, oppure di critici o giornalisti che con Monicelli si sono giocoforza cimentati. Oppure sue (intendo di Ticozzi), in linea con il sottotitolo (Elementi di riflessione politico-sociale nell’opera di Mario Monicelli), divagazioni filmiche ed altre sociali che rendono il saggio agile e assai utile. Il tentativo di sistematizzare senza pedanteria lo specifico di uno dei registi più significativi della cinematografia italiana. Sono colpevole di lesa maestà se ammetto di preferire il ghigno terragno e beffardo di Mario Monicelli alla rarefazione intellettualistica del cinema di Antonioni e Fellini?
Ci vorrebbe la rivoluzione! Elementi di riflessione politico-sociale nell'opera di Mario Monicelli
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