

Bolgheri
- Autore: Marcello Sladojevich
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bastogi
Svolgo sommariamente quattro punti legati alle emozioni che il romanzo di Marcello Sladojevich Bolgheri (Bastogi, 2000) ha saputo darmi. Per la trama e una lettura critica più accurata lascio l’iniziativa alla curiosità del lettore e ai letterati di mestiere.
Romanzo alla russa più che alla francese, questo di Sladojevich, predestinato quasi geneticamente. Storia di una vita alla ricerca della felicità e del senso della vita con un presente vissuto in modo soddisfacente che investe il passato recuperandolo e fornendogli nuovi significati. Centralità della famiglia e sua crisi. Tutto nasce da un imprevisto, la maglia rotta nella rete della quotidianità che Montale bramava, avviene.
Moglie e figlia partono per un viaggio alla moda. Il mondo degli amici non basta. Il protagonista si ritrova solo ad affrontare la vita, in Maremma, ma stavolta non sceglie la solita Romanzo con germi di novità. Più che l’analisi decadente alla francese di vite e situazioni cliniche, la storia al modo dei russi si svolge in senso inverso; non una curva tragica bensì comica, col lieto fine che già si pregusta, forse troppo presto, fin dalle prime pagine, almeno per quanto riguarda il protagonista. D’altra parte si tratta della storia di una vittoria, una vittoria in ciò che conta. Opera prima ma romanzo della maturità, una consapevolezza forte della vita già conquistata dall’autore e che traspare nell’io narrante.
Sulla discesa agli inferi dell’aggiustamento e del successo secondo i valori borghesi, su cui i francesi avrebbero ricavato un feuilletton di 800 pagine e che un Verga non sarebbe riuscito a rappresentare, si sorvola attraverso una vita descritta come in un susseguirsi di spot pubblicitari. Il che indica che bisogna essere anche attenti osservatori del costume attuale di vita per potersi permettere ciò: comunque basta aver osservato bene una certa Firenze con i suoi miti e riti (atteggiamento esasperato in certi ritrovi per esempio a San Giovanni Valdarno, la città più vicina al luogo di nascita dell’autore, e le osservazioni della fanciullezza rimangono per tutta la vita; di nuovo il Verga che osserva attentamente il mondo degli umili nella sua adolescenza trascorsa per alcuni mesi in un paesino alle falde dell’Etna per il colera che imperversava a Catania, la città luogo dell’ovvio e del falso le cui vicende non riuscirà a descrivere nel Ciclo dei vinti); dalla discesa agli inferi, dicevamo, al ritrovamento delle proprie radici nel contatto con la tradizione e con i suoi valori in un luogo oggi marginale della Maremma toscana. Bolgheri che si rivela il correlativo oggettivo di tutto un mondo ritenuto scomparso e invece nascosto sotto la fatica di una ascesi quotidiana: il vivere borghese qui non vale più. Il finale non è scontato per tutti i protagonisti.
Solo raramente il flusso di coscienza alla Woolf (la contorsione mentale degli inglesi dove l’avvenimento si perde in mille atti senza senso descritti con pari dignità di un accadimento decisivo per la vita) forse apprezzabile secondo alcuni, ingolfa il libero fluire delle vicende e dei dialoghi (non dimentichiamoci che si tratta pur sempre di un’opera prima). E comunque anche il monologo interiore è sempre funzionale alla scoperta con occhi nuovi, aperti stavolta (viene in mente Tozzi e la sua Maremma) a una risposta che c’è, incontrata come per dono nelle persone e nei paesaggi, nel creato insomma che rivela interessanti corrispondenze con il protagonista, Guido.
Bolgheri è un romanzo anti-globalizzazione. Le ricette della cucina toscana vera, odori e sapori persi nella vita caotica e omologante delle città, il gusto fisico della fatica e del sudore (pedalando in bicicletta) per campagne che non sono quelle di una volta - nemmeno la gente è la stessa- ma dove quasi miracolosamente ciò che conta è rimasto custodito seppur in forme nuove: l’ospitalità, il gusto di incontrarsi, la concretezza del vivere e dell’amare, la preziosità del tempo, la bellezza della natura, la necessità dei sentimenti, l’irruenza della vita contenuta in gesti semplici, quotidiani e antichi. Quasi un antidoto per chi è drogato dal ritmo incalzante dei telefilm americani e degli spot frenetici che la televisione ci impone. Ecco quindi un motivo per consigliare ai professori e ai loro studenti una lettura del genere. Tutto rimanda alla figura della madre, che non è la televisione, bensì un’educatrice vera; quando compare c’è una svolta evolutiva, un salto antropologico nella vita del protagonista. In questi momenti l’influsso della cultura classica si fa più evidente nel periodare.
Si ha il privilegio di gustare un ordinario straordinario, quasi fiabesco, occhi spalancati sulla realtà senza rifugiarsi in fughe mistiche in oriente, come invece accade alla moglie del protagonista. Quasi un ritorno al realismo magico italiano novecentesco ma con la coscienza che tutto è cambiato. Bisogna attraversare la condizione di vita dei postmoderni e le loro finte certezze che nascondono un nichilismo da fine dell’occidente, alla Spengler, ma avere visto la soluzione. E bisogna anche ritornare come bambini dopo aver sperimentato l’ebbrezza del vuoto e di sé che dà un potere sulla realtà nato dalla distruzione immediata e dallo svuotamento di senso di ciò che circonda e che viene usato quindi senza remore per limitati fini. Riscoperta della dignità della realtà, quella quotidiana appunto, contro il veleno della modernità e del secolo breve, per fortuna, perchè matto.
Romanzo interessante, questo di Marcello Sladojevich, talora didascalico ma nato dalla vita. L’esperienza non intesa come il provare di tutto un po’ ma l’esigenza di raccontare ciò che conta, come i narratori russi, salvano questo romanzo e lo mettono in evidenza nello scialbume attuale dove con qualche crisi, parolacce e disperazione si crede ancora di dire una parola vera e utile per l’umanità: postmoderno cioè trash. Forse Bolgheri è uno dei pochi romanzi usciti in questo anno epocale, di cesura, che vale la pena di leggere. Per certi aspetti più attuale della fantascienza.
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