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Recensioni di libri

Aria de la memoria di Franco Loi

Einaudi, 2005 - La voce ariosa e corporea di uno dei maggiori poeti dialettali contemporanei, Franco Loi, da poco scomparso, nella rilettura di un’antologia che comprende un trentennio di esemplare scrittura poetica.

Adriano Napoli
Adriano Napoli Pubblicato il 12-01-2021

4

Aria de la memoria

Aria de la memoria

  • Autore: Franco Loi
  • Categoria: Poesia
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2005

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Nel panorama, ricco e variegato, della coeva poesia neo-dialettale dell’ultimo cinquantennio, la voce potente e inconfondibile di Franco Loi (Genova, 1930-Milano, 2021), scomparso all’età di 90 anni nei giorni scorsi, ha indubbiamente un rilievo a sé stante. Giacché il dialetto di Loi “è una lingua del tutto sua, cruenta e oltraggiosa, piena di asperità e di grumi, luogo di infinite agglomerazioni e di accanita verifica del vero", secondo il critico Giovanni Raboni. Essa si distingue non soltanto dai classici della poesia vernacolare lombarda, ma anche dalle poetiche degli altri autori in dialetto di questi ultimi decenni, essendo orientata, fin dagli inizi, verso sentieri espressivi che ricordano semmai alcuni esemplari di espressionismo narrativo, non soltanto lombardi, quali ad esempio il Testori narratore e romanziere; o le opere di Mastronardi; o finanche il Pasolini cantore delle borgate romane.
Il dettato poetico non si restringe, pertanto, come in altri esemplari di poesia neo-dialettale, in un’enclave contemplativa e mitopoietica, ma aspira a farsi “linguaggio della totalità”, e “lingua paterna” piuttosto che materna, “non di natura ma di elezione e di Storia, introiettata per via di contatti umani e politici di intensa autenticità" (Mengaldo).

Loi pertanto si affaccia alla poesia con un suo milanese “arioso” (come venivano etichettati, in un recente passato, i residenti nel capoluogo lombardo provenienti “da fuori”. Quell’“aria” che passa tra le cose e le sostanzia, un po’ come le spaziature bianche del silenzio tra le partiture strofiche dei versi, e che a ben vedere potrebbe essere l’emblema icastico della voce poetica. Non a caso il titolo di una delle raccolte più intense e mature di Loi è per l’appunto L’aria (Einaudi, 1981). Al 2005, sempre per Einaudi, risale invece la scelta di una serie di testi raccolti in un’autoantologia intitolata Aria de la memoria, che testimonia di un lavoro trentennale (1973-2002) di scrittura.

“Aria” (ancora una volta) e “Memoria” sono i cardini di una poesia trasparente e concreta, ruvida e delicata: ariosa per il suo moto di aderenza alle cose, in una sorta di comunione al contempo religiosa e inconciliata; corporea, in un senso diremmo bachtiniano, perché consustanziata di esperienze e di un vissuto che ha come epicentro il corpo. La scelta interroga il corpo di un’intera produzione poetica, e risalta con un rilievo particolare i testi accolti precedentemente in plaquettes e piccole edizioni a tiratura limitata. C’è da dire che proprio nel profilo essenziale ed epurato che si staglia da questa raccolta, in equilibrio tra un senso geometrico della disciplina e il flusso magmatico di un’ispirazione incontenibile, la voce del poeta si coagula in una visione coerente e misurata, priva di eccessi e dispersioni (come spesso si può vedere nei pur notevoli testi poematici degli inizi).

La rievocazione commossa delle radici e della giovinezza; la Milano epica e popolare, a misura umana degli anni attorno alla Guerra; e la ricerca inquieta di un Dio lontano, forse distanziato dalla smemoratezza umana (“Uh Diu, perdona mi del smentegàss”), sono alcuni tra i temi che si ripetono con vigore di pronuncia, sospinti da un vento nutritivo e invisibile. Ma è nella riflessione sull’amore che Loi trova il terreno privilegiato sul quale ponderare il sentimento della Realtà, esperendone le possibilità di conoscenza mediante un approccio sensuale, per non dire erotico, con l’essenza delle cose. La donna, sognata, sfiorata con lo sguardo e il pensiero, osservata con occhi devoti e innamorati, è la fonte primaria di un canto che abbraccia e contiene tutto, modulato in un idioma mai così limpido ed esatto, che sembra respirare dentro l’aria di una creazione in continuo divenire, al punto da trasformare lo sguardo e il sentire di chi sente e osserva.

“Si, mi di donn, el cor, quel delecà/che par respira, l’ombra, i làver frègg/me piàs fina quel niènt che dent te resta/quan che te bràscen e po’ te porten luntàn”

Sebbene in un suo intervento sul “Sole 24 ore” del 4 dicembre 1998 Loi avesse messo in guardia i poeti contro il rischio di una “deriva lirica” della poesia dialettale, è proprio nell’intensità e nella misura del canto lirico, capace di condensare in una forma e in un ordine le verità dell’esperienza umana, trasfigurandoli in una visione universale e condivisa, che il lettore potrà ancora riconoscere la pronuncia più autentica e la lezione più duratura di questo singolare, indimenticabile poeta.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Aria de la memoria

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