Alexis o il trattato della lotta vana
- Autore: Marguerite Yourcenar
- Categoria: Narrativa Straniera
Recensione di Nicoletta Stecconi: Qual è la lotta più vana che un essere umano può intraprendere, se non la lotta contro le proprie inclinazioni e quindi contro se stesso? Non esiste pace e soprattutto non esiste vincitore per chi, al fine di assecondare le aspettative altrui e in virtù di una rigida rispettabilità precostituita, nega la propria indole, fino al raggiungimento dell’infelicità più impura, quella che immancabilmente si propaga anche alle persone a lui vicine.
Alexis, alias “Il trattato della lotta vana”, è l’opera prima di una giovanissima Marguerite Yourcenar, pubblicata nel 1929.
Alexis è un giovane che, dopo aver lottato fino allo stremo contro le proprie inclinazioni sessuali, ritenute all’epoca alla stregua di una malattia o peggio ancora di un peccato inconfessabile, prende coscienza di quanta colpa ci sia, invece, in questa deleteria lotta contro se stesso.
Il racconto, impostato come una lettera confessione destinata alla moglie Monique, che dopo un lungo travaglio interiore Alexis ha deciso di abbandonare, è un doloroso viaggio di crescita nell’acquisizione di una consapevolezza vitale e, sebbene si riferisca ad una determinata condizione sessuale - Alexis è omosessuale -, si può ricondurre in maniera universale a qualsiasi variante della natura umana che, seppure con estreme difficoltà, sembra essere spontaneamente esente da qualsiasi omologazione.
È un racconto intimista, trattato con una prosa delicatissima, intriso di riflessioni poetiche che guidano il lettore nella comprensione del tormento esistenziale del protagonista, per la fatica innaturale di quella sua lotta contro se stesso, ma anche nello strazio passivo di Monique che, prigioniera anche lei dei rigori morali del suo tempo, ci appare come un’esistenza desolata e per questo ancora più sciupata di quella del suo Alexis.
Una lotta vana, quindi, così dannosa non solo per chi la conduce, ma anche e soprattutto per chi, inconsapevolmente, la subisce.
Ma è nel finale che si scorge uno spiraglio di luce. Dopo tanto affanno il protagonista sembra essere riuscito ad acquisire quel coraggio necessario al ricongiungimento con se stesso. Un coraggio che porterà inevitabilmente a spezzare la spirale di infelicità che ha coinvolto anche la giovane Monique.
La felicità non ha un colore predefinito e soprattutto non si può conformare a codici precostituiti ma, come ci insegna l’autrice stessa, spesso corrisponde alla capacità di assecondare la propria natura e al coraggio di saper vivere in armonia tra anima e corpo, in un atto di estrema innocenza, a dispetto di qualsiasi morale. Perché, proprio come sostiene la giovane Marguerite:
Ogni felicità è un’innocenza.
Recensione di Francesca Foglia: Il libro è un’unica e intensa confessione epistolare, così profonda e autentica da cercare di ricomprendere in sé il senso di una vita umana; un senso lasciato in balia delle parole che per la loro sinteticità tradiscono il pensiero e che per l’esigenza che hanno di semplificare rendono banale ciò che c’è di più profondo. La confessione non è un’apologia, ma la spiegazione di un esistenza tormentata che vede già nell’infanzia il riflesso di tutto quanto sarà la vita di Alexis. Il disagio di un bambino cresciuto in una famiglia numerosa, nell’ombra del padre e dei fratelli, si manifesta in un episodio di malattia che attraverso delle allucinazioni gli porta una lucidità che gli da consapevolezza del suo malessere. Il tormento riesce a trasporsi in musica, unica, insieme al silenzio, a dare pace al suo animo dilaniato da sentimenti contrastanti che si alternano instancabilmente e lo portano a un sentimento di disprezzo verso se stesso e ad un distacco insormontabile con coloro che lo circondano. È la soggezione a una morale superiore, che lo condiziona, lo fa sentire inadatto, peccatore. I rari momenti in cui si abbandona alla passione sono solo una breve consolazione che lo rigetta in una disperazione ricca di pentimento. È il senso di impudicizia che lo porta a non cercare la felicità, ma solo ad ascoltare la vita di volti, di labbra, di nuche cui non sa attribuire un nome e verso cui non ha provato alcun sentimento. Concepisce i suoi istinti come a un male che inquina l’anima e porta i pensieri più innocenti a tradursi in azioni che sono sintomo della sua stessa natura. L’attaccamento, la fiducia e il senso di pace che ritrova nella vicinanza della moglie, aumenta il senso di colpa per averle provocato la sofferenza di un matrimonio che non è alimentato da un amore appassionato. È di nuovo nella musica che Alexis riesce a ricongiungersi con se stesso, ad arrivare se non all’accettazione, alla convivenza con qualcosa cui non gli è stato dato di scegliere, a una consapevolezza che, se pur non lo porterà alla felicità, gli permetterà di assaporare la serenità. È il romanzo di esordio di Marguerite Yourcenar, pubblicato nel 1929, con cui l’autrice affronta il delicato travaglio interiore di un giovane che vuole riscattarsi dall’ipocrisia della sua condizione e liberare se stesso e il proprio matrimonio dal peso incombente di una vita celata.
Alexis
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