Sul Messaggero del 17 ottobre 1972 venne pubblicata una breve intervista a Ignazio Silone a cura di Gino De Sanctis, che scelse il titolo Credere senza obbedire per cogliere uno degli aspetti rilevanti nelle risposte del grande scrittore, preoccupato – a suo dire – di parlare per sentenze, con giudizi prefabbricati che limiterebbero la possibilità del ripensamento e magari del rovesciamento di una tesi nel suo contrario. Il giornalista si soffermò anche sul viso grave e quasi triste di Silone, nel quale – dietro l’accenno di un sorriso – si nascondeva sempre «una smorfietta dubitativa che muove da un’occulta radice di umorismo».
Nella prima sua risposta sulle domande essenziali, quelle che contano davvero, Silone usa la metafora di noi viaggiatori che speriamo di trovare le risposte quando scendiamo a una stazione; poi, ripartiamo e magari esse arriveranno in quella stazione che abbiamo lasciato o ci precederanno ad un’altra stazione, mentre noi continuiamo a viaggiare e anch’esse sono ancora in viaggio.
La cosa certa è che:
«Proprio in questa età io sono tornato alle domande radicali, a quelle dei miei quindici anni: torno sempre più alla mia radice cristiana che ha ben poco e forse nulla a spartire con la Chiesa. Il mio impegno politico, la giovanile milizia nel nascente partito comunista italiano, gli incontri e gli scontri coi russi, la persecuzione dei fascisti, l’odio e l’ostracismo dei comunisti, l’esilio, la fortuna letteraria nel narrare tutto questo, oggi lo so molto bene sono state distrazioni volontaristiche da quelle famose domande senza risposte».
Silone, si sa, è l’uomo e lo scrittore delle domande più che delle risposte, come aveva ribadito – quasi con orgoglio e stanco delle critiche rivoltegli – nella Lettera a Biemel (Rainer Biemel), scrittore romeno in lingua francese, giornalista e traduttore dal tedesco) del 2 settembre 1937:
«Mi si è rimproverato di porre delle domande e di non risolverle. Fontamara finisce con un punto interrogativo, Pane e vino con il segno della croce […] Credo che l’essenziale, oggi, sia porre le domande. Nei paesi della Propaganda è proibito domandare. Non ci sono domande, solo risposte. Risposte a senso unico. […] Un rivoluzionario è un uomo che fa delle domande. Il suo precursore è stato Socrate, che non è mai salito in cattedra, non ha mai fatto discorsi, dissertazioni, conferenze, ma camminava nelle strade di Atene, si mischiava tra la gente che andava al mercato e al tribunale, e faceva loro delle domande».
Sembra che Silone voglia riprendersi la sua adolescenza e le domande che la caratterizzarono, ma con almeno qualche punto fermo, anzi qualche punto di partenza dopo tanta strada fatta, che definisce per brevità cristianesimo:
«Il cristianesimo è la forma che la società occidentale, in senso lato, ha saputo dare a una “morale naturale dell’uomo superiore” cioè al senso di responsabilità che l’individuo superiore – cioè giunto al livello di coscienza – sente verso gli altri»
Silone poi continua con acute osservazioni sulla confusione che sembra regnare nella Chiesa che evita di dare risposte certe sul dopo la morte, sulla crisi profondissima che travaglia il mondo cattolico, la crisi del dopo o dei Novissimi.
Accenna anche alle sue letture degli scritti di una suora (molto probabilmente quella che diventerà la Severina del suo ultimo romanzo incompiuto), che lo appassionano e a una sua risposta provvisoria, interlocutoria sul senso della vita:
«[…] ho una certezza irrazionale, quasi magica, un sentimento se vuol chiamarlo così: che la vita non sia assurda, che la vita serva, debba servire a qualcosa»
Tutto, però, nella consapevolezza che è fondamentale insinuare dubbi, perché la gente vuole certezze e cade nell’errore di affidarsi incondizionatamente a strutture, a categorie, alla scienza o alla fede religiosa o politica:
«Si porta il proprio dubbio all’ammasso della Scolastica nei seminari cattolici, e all’ammasso del marxismo-leninismo nei seminari comunisti. Tutti sottintendono che quell’ammasso, gremito, nasconda immani menzogne. Ma l’interessante è che sopravviva e splenda la Struttura, si chiami essa Chiesa o Partito, o Dottrina. Le istituzioni non servono le idee o gli ideali, ma si servono di essi»
La forza morale e il messaggio valoriale contro tutti gli -ismi, che snaturano e rendono schiavo l’essere umano, trasudano da ogni pagina del grande autore; e allora, oltre al valore del dubbio, il valore fondamentale,
«il “succo” da richiedere, da sollecitare continuamente alla vita è il perenne libero volo del pensiero, la libertà autentica della cultura e dell’informazione, la libertà assoluta dell’arte anche quando questa giunge all’assurdo e all’incomunicabilità».
Che il corollario dell’assunto appena espresso sia paradossale è dimostrato da quanto lo scrittore afferma subito dopo, riconoscendo all’arte e all’artista una libertà assoluta che è l’unica che dà sapore e senso alla individualità e originalità di ognuno e il raggiungimento di questo scopo potrebbe al limite prevedere anche l’incomprensibilità e l’incomunicabilità, ma:
«Eccellente artista è colui che riesce a esprimere se stesso ed insieme a comunicare con gli altri».
Da ciò discende la costatazione che «ogni arte comprensibile è cristiana, cioè tesse il dialogo fra l‘io e gli altri».
Quindi, un altro valore fondamentale della vita, un valore visibile, una risposta, non una domanda è «la regola cristiana di riconoscersi nell’altro».
Tante tappe, tanti traguardi, non c’è altro che il viaggio e la sosta negli approdi intermedi che aggiungono o tolgono senso a questa nostra esistenza; aver trovato questo fondamentale valore porta alla successiva scoperta:
«Mi attengo a quel valore; già per mia natura io non odiai mai nessuno, non odiai Mussolini pur combattendolo, non odiai Togliatti che mi combatté. Ma ora con l’età avanzata, vado sempre più avvicinandomi a una comprensione per tutti, e forse è già un approdo all’amore e alla morte. Ecco: l’indulgenza è già un traguardo intermedio. Si acquista con gli anni e col dolore. Meditandovi su, naturalmente, poiché non basta sommare anni e dolori».
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il grande valore dell’indulgenza per Ignazio Silone: essere liberi significa comprendere gli altri
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