Fontamara, il capolavoro di Ignazio Silone, fu pubblicato per la prima volta in Svizzera in lingua tedesca. Le prime copie furono stampate a Zurigo da Verlag Dr. Oprecht & Helbling. Sarebbe stato edito in Italia da Mondadori solo nel 1949, dopo la caduta del fascismo: prima non era possibile dare spazio a un libro dal contenuto così esplicitamente politico nel nostro Paese.
Il libro di Silone fu a lungo considerato uno strumento di propaganda antifascista, dacché l’autore - il cui vero nome era Secondino Tranquilli - viveva da tempo esule all’estero in quanto intellettuale dissidente e avverso al regime.
C’era molto di più, in realtà, dentro quelle pagine: non solo una storia politica, ma una storia umana che, proprio in virtù della sua prorompente umanità, non è mai trascorsa. La ribellione dei “cafoni” rappresenta la rivolta di tutti gli ultimi della terra dinnanzi al sopruso del potere dominante. Una lotta non ancora vinta, eterna come il tempo, come la memoria, insita nello scandalo della Storia che ancora continua. Una piccola località sperduta nella terra abruzzese, dal nome fittizio ma rappresentativo di “Fontamara”, diventava l’emblema del mondo intero estendendo la propria vicenda peculiare dal locale all’universale.
Forse non tutti sanno che Fontamara era ispirato a fatti e persone reali , in particolare al fratello dell’autore, Romolo Tranquilli, che morì giovanissimo, da innocente, come vittima di un’ingiustizia invendicabile.
La vera storia dietro “Fontamara”
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Nel testo l’autore immaginava di essere raggiunto in Svizzera da una famiglia proveniente dal suo paese d’origine (dietro l’immaginaria località di Fontamara si nasconde, in realtà Pescina, nella Marsica), che gli racconta le vicende funeste occorse dopo la sua partenza. I tre sono Giuvà, Matalè e loro figlio, dicono di essere riusciti a scampare alla distruzione di Fontamara, data alle fiamme dai fascisti, grazie al sostegno di un anarchico.
Al centro del racconto c’è la ribellione di un gruppo di contadini, denominati “cafoni” in quanto illetterati quindi con connotazione spregiativa, e in particolare la vicenda di uno di loro, Berardo Viola, che guida la rivolta collettiva contro l’impresario e, infine, fugge a Roma dove viene però arrestato a causa di un equivoco e quindi incarcerato. Nel finale inatteso, Berardo in carcere si autoaccusa per tenere viva la resistenza al fascismo e, dopo essere stato a lungo torturato dai suoi aguzzini, muore rivendicando i suoi ideali di libertà. La sua fine, causata dalle torture e dalle percosse, viene taciuta e bollata come suicidio.
La morte fa di Berardo Viola un martire e un simbolo per i Fontamaresi che, da quel momento, iniziano a ribellarsi ai soprusi perpetrati nella loro terra e a denunciare l’assassino di Berardo e gli altri responsabili. Nella figura tragica, ma volitiva di Berardo Viola pare fosse nascosta la vera vicenda di Romolo, il fratello minore di Silone, arrestato con l’accusa di antifascismo nel 1928 vicino a Como.
Romolo Tranquilli sarebbe morto nel penitenziario di Procida, nel 1932: era stato condannato a dodici anni di reclusione, ma le condizioni carcerarie così punitive gli resero impossibile sopravvivere. Morì a soli ventotto anni a causa delle torture subite
In una delle ultime lettere, Ignazio Silone scriveva al fratello:
Ciò che vorrei dirti in questo momento te lo immagini e colle condizioni attuali esso è indicibile.
Ma io ti assicuro che tutto sarà fatto perché la verità sulla tua innocenza finisca col trionfare.
Ignazio Silone e il fratello Romolo, il vero Berardo Viola
L’innocenza di Romolo non sarebbe mai stata provata finché era in vita, condannato a una morte precoce e ingiusta; ma suo fratello, Ignazio Silone, gli avrebbe reso giustizia attraverso un libro. Quel libro è Fontamara, oggi considerato uno dei capolavori della letteratura del Novecento. Il senso di colpa per la morte del fratello non avrebbe abbandonato Silone sino alle sue ultime ore di vita. Morì innocente a causa mia, scriveva. Sentiva di dover scrivere qualcosa per riscattare Romolo dal suo destino, ma impiegò anni a mettere in atto quel proposito. La morte di Romolo fu la “tortura interiore” di Silone, il suo tormento segreto.
Prima di morire, Silone aveva disegnato la propria tomba sulla fotografia del campanile di San Berardo. Voleva essere sepolto ai piedi di quel campanile, nel suo paese natale, senza alcuna cerimonia religiosa. Era la sua ultima dichiarazione di intenti. Le sue condizioni di salute peggiorarono drasticamente il 18 agosto del 1978 e avrebbe spirato il successivo 22 agosto dopo un lungo coma, ma leggenda vuole che Ignazio Silone trascorse le ultime ore della sua vita scrivendo senza sosta.
Ora lo scrittore riposa a Pescina nel luogo indicato secondo il suo disegno, ricongiunto una volta e per sempre alla sua Fontamara.
Ignazio Silone e l’attualità di “Fontamara”
Fontamara, il romanzo di esordio di Silone, è ancora oggi un documento letterario importante e uno strumento di lotta contro l’ingiustizia sociale. L’autore riesce nell’intento di donare una voce agli oppressi, proprio come Morante che anni dopo avrebbe raccontato lo scandalo della Storia dedicandolo “all’analfabeta per il quale scrivo”. Nella parola c’era il riscatto, la vendetta che la vita non avrebbe mai concesso: la sorte di Romolo e degli altri come lui, disposti a morire, da innocenti, in nome di un’idea. Il coro di voci dei “cafoni” di Fontamara ci restituisce la rabbia e la miseria, ma anche il riscatto degli umili che avviene attraverso la fratellanza.
Silone ci dimostrava che la vera lezione di vita non risiedeva nella classe benestante o nei cosiddetti potenti, ma nella mandria di contadini illetterati: erano loro, i fontamaresi, a detenere il più puro e sacro ideale di giustizia contro gli abusi, le violenze, i soprusi di chi governa.
La terra abruzzese diventava il teatro di ogni forma di ingiustizia e prevaricazione consumata ai danni dei più deboli che hanno il volto dei lavoratori di fatica, di coloro che hanno le mani rose dal lavoro quotidiano e gli stomaci perennemente vuoti degli affamati, non poi molto diversi dai contadini dell’Oklahoma narrati da Steinbeck in Furore. Una percezione sociale acuta è il vero centro focale del romanzo, la luce che ancora lo illumina dall’interno. Ad animare la rivolta dei cafoni non è tanto un astratto ideale rivoluzionario - quello sarà concepito in seguito dal protagonista della storia - ma la volontà candida di avere ciò che spetta loro, di ottenere il frutto del loro lavoro, di non essere ingannati e beffati da coloro che, al contrario loro, posseggono il privilegio della parola scritta. I “cafoni” venivano mantenuti nell’ignoranza per soffocare il loro spirito di ribellione: era una situazione di comodo e di profitto in cui dilagava l’ingiustizia compiuta con piena consapevolezza. Silone, attraverso la sua scrittura, dava voce a una legge non scritta, alla legge dei vinti e non a quella dei vincitori: i Fontamaresi non avevano parole per esprimersi, solo mani per lavorare e schiene pronte a piegarsi nella fatica, ma nel corso della storia aprono gli occhi e comprendono l’inganno dei “dieci lustri” che si è perpetrato a lungo impunito. Attraverso la sua scrittura Ignazio Silone restituiva dignità letteraria agli illetterati, consentiva loro la ribellione a lungo taciuta.
In Fontamara, nel suo eterno eroe Berardo Viola (molto simile al Tom Joad di Steinbeck), è racchiusa un’imprescindibile lezione di libertà contro ogni forma di tirannide o dittatura, fascismo compreso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Fontamara”: l’attualità del capolavoro di Ignazio Silone
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