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Problem solving: cosa significa, cos’è e qualche esempio

Il problem solving è una tecnica usata sempre più frequentemente in ambito didattico: nel nostro articolo di oggi scopriamo che cos'è e ne forniremo qualche esempio applicativo nell'ambito della scuola primaria.

Federica Privitera
Federica Privitera Pubblicato il 18-02-2023
Problem solving: cosa significa, cos'è e qualche esempio

Tra le più recenti tecniche didattiche che, a scuola, stanno modificando il tradizionale modo di tenere una lezione troviamo il problem solving, spesso usato insieme al debate o al cooperative learning.

La scuola del Nuovo Millennio non è la stessa scuola che molti di noi hanno frequentato. O meglio, sarebbe davvero auspicabile che fosse così perché il mondo contemporaneo chiede fortemente che l’educazione sia nuova e in grado di preparare in maniera adeguata i cittadini di domani.

La capacità di problem solving rientra spesso nelle richieste degli annunci di lavoro. Tra le più declamate sul curriculum vitae o nella lettera di presentazione, la capacità di problem solving può essere verificata in sede di colloquio con il candidato. È quindi utile essere preparati per non incorrere in gaffe o imbarazzo.

Nell’articolo di oggi daremo una definizione del problem solving e ne proporremo qualche esempio pratico che ne specifichi la realizzazione.

Problem solving: che cos’è

Il problem solving è una tecnica volta allo sviluppo di strategie e abilità di soluzione di problemi su tre piani diversi: psicologico, comportamentale e operativo.

Nel problem solving la persona si trova di fronte a una situazione che, in molti aspetti e per varie caratteristiche, gli risulta nuova e non gestibile secondo le consuete modalità apprese e conosciute.

Ciò che viene richiesto in queste situazioni, quindi, è di mettere in atto un vero e proprio «sforzo creativo» volto a individuare nuove strategie per affrontare al meglio la sfida. Le soluzioni possibili generalmente sono diverse in funzione di colui che risolve il problema.

Ecco, quindi, che il suo significato è facilmente intuibile dalla sua traduzione: problem = problema, solving = risoluzione.

Una variante del problem solving «aperto» è il metodo della scoperta guidata, che pone gli allievi di fronte a una situazione problema che prevede un’unica soluzione. Nella ricerca della soluzione, l’intervento della guida può essere svolto sia dal docente che da compagni esperti e può essere variamente modulato: si possono selezionare, ad esempio, solo determinati spazi problematici alleggerendo il carico su altri aspetti che vengono invece esplicitati.

Le diverse fasi del problem solving

Vediamo ora quali sono le fasi del problem solving: da un punto di vista operativo, una modalità «tipo» di soluzione di un problema si snoda in varie fasi che seguono una precisa sequenzialità «passo dopo passo» e che vanno tenute in considerazione quando si viene posti di fronte a un problema da risolvere:

  • Problem finding: ci si accorge che c’è un problema da risolvere che richiede un’immediata soluzione.
  • Problem setting: si definiscono il problema e l’obiettivo da raggiungere, ci si chiede: «Dove sta l’ostacolo al mio modo di agire consueto e abituale?».
  • Brainstorming: si definisce un’ampia gamma di possibili ipotesi di soluzione, anche quelle mai tentate in precedenza, cercando di attivare al massimo la creatività e il pensiero divergente.
  • Decision making: dopo un’attenta valutazione dei punti di forza e di debolezza, della realizzabilità e delle probabilità di successo di ciascuna idea, si sceglie l’ipotesi di soluzione che si ritiene più efficace.
  • Decision taking: si applica concretamente e in maniera precisa l’ipotesi di soluzione prescelta, verificando poi con attenzione e in maniera obiettiva gli esiti. In caso positivo si continuerà ad applicare questa strategia di soluzione, altrimenti si ricomincerà da capo tutto il processo.

L’importanza del problem solving a scuola

Parlare di nuove tecniche scolastiche potrebbe sembrare fine a sé stesso. In realtà il problem solving ha decise ricadute nella vita reale: acquisire la capacità di individuare, posizionare e affrontare problemi di varia natura e tipologia permette all’alunno di sviluppare abilità metacognitive di controllo esecutivo del compito, quali l’automonitoraggio e l’autoregolazione.

Il problem solving, infatti, fa riferimento a diversi approcci teorici in ambito pedagogico e psicologico. Si tratta principalmente dell’approccio cognitivista di Piaget e costruttivista di Vygotskij, a cui si aggiungono contributi legati alla teoria ecologico-ambientale di Bronfenbrenner e, per gli aspetti affettivi, alla teoria motivazionale dell’autodeterminazione di Deci e Ryan.

La sfida innescata dal problem solving diventa dunque un fondamentale ambito di sperimentazione, in quanto ricco di stimoli sempre diversi, che lo studente può, anche autonomamente, scoprire e studiare. Inoltre le gratificazioni che scaturiscono da attività divertenti hanno effetti positivi sul funzionamento cognitivo.

Per esempio, nell’ambito della scuola primaria, i bambini coinvolti nella risoluzione di problemi in una situazione ludica, paragonati a soggetti in situazione formale, mostrano abitualmente una minore tendenza a distrarsi parlando d’altro, negoziano di più e sono più motivati a trovare strategie creative per superare le difficoltà.

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Come stimolare la capacità di problem solving

Per concludere l’articolo possiamo presentare alcuni esempi pratici per sviluppare problem solving realizzabili a scuola.

Tornando a parlare degli studenti della scuola elementare, alcuni giochi risultano particolarmente adeguati ad attivare il problem solving complesso, coinvolgendo, in maniera simultanea, numerosi processi di pensiero, come per esempio:

  • Gioco simbolico: il gioco del «far finta» attiva molte aree del cervello, in particolare quelle che presiedono a emozioni, cognizione (conoscenze e comprensione), linguaggio e azioni senso-motorie. Spesso i bambini, nella realizzazione dei loro giochi di finzione, specie se complessi, si trovano a dover risolvere dei problemi concreti, che richiedono l’individuazione di ipotesi risolutive. Inoltre, durante il gioco simbolico, i bambini sviluppano processi di pensiero di secondo livello, come l’autoregolazione cognitiva, fondamentale nel problem solving. Quest’ultimo è accompagnato in particolare dal monologo interiore, che facilita la sequenzializzazione e la memoria di lavoro. Il gioco simbolico stimola infatti lo sviluppo del pensiero ad alta voce, la cui interiorizzazione darà origine al monologo interiore, che presiede alla regolazione delle funzioni cognitive. Il gioco simbolico di tipo tematico incoraggia inoltre il problem solving di tipo semantico divergente, ovvero lo sviluppo di un lessico variato per poter esprimere adeguatamente ciò che si intende mettere in scena.
  • Giochi di strategia: per i bambini di età scolare, il problem solving complesso viene stimolato prevalentemente da giochi di strategia. Si tratta tradizionalmente di giochi da tavolo, che si caratterizzano per l’impiego significativo del potere decisionale del giocatore, il quale sceglie, sulla base di ragionamenti complessi e strategie pianificate.

Un ultimo esempio riguarda la capacità di risolvere un problema matematico: questa è un’attività che richiede l’attivazione di diverse componenti cognitive e metacognitive.

Uno dei modelli che mette in evidenza quali sono le abilità che permettono lo svolgimento di un compito di questo tipo è quello di Lucangeli, Tressoldi e Cendron. Questi ricercatori teorizzano che siano necessarie le seguenti abilità cognitive per risolvere un problema matematico:

  • la comprensione del testo del problema sia da un punto di vista linguistico sia da un punto di vista matematico;
  • la rappresentazione dei dati, delle loro relazioni e della/e domanda/e;
  • la categorizzazione di un problema matematico rispetto a problemi con una struttura simile;
  • la pianificazione delle azioni da eseguire per arrivare alla soluzione;
  • le capacità di calcolo che permettono di risolvere le operazioni pianificate.

Sarebbe poi auspicabile fossero attivate almeno due abilità metacognitive: la capacità di monitorare quanto si sta facendo e la capacità di autovalutare la sensatezza del risultato a cui si è giunti.

Queste abilità non si susseguono in modo gerarchico, ma vengono utilizzate in un flusso continuo, in cui un’abilità sostiene l’altra. Quest’ambito dell’apprendimento permette anche di allenare il pensiero più divergente, in quanto le strade per risolvere un problema matematico sono solitamente varie. In questo modo il bambino può mettere in campo un pensiero più produttivo, e meno riproduttivo, e dare quindi maggiore spazio alla sua creatività. Perché questo avvenga, il problema matematico dovrebbe venire presentato non come un mero esercizio, ma come un’attività in cui si concede spazio ai diversi modi di ragionare, e in cui si fa riflettere sull’utilità di provare strade diverse per giungere poi a uno stesso risultato. Il dialogo con l’intera classe permette quindi di venire in contatto con modi di ragionare differenti, in cui si può più facilmente ampliare il bagaglio delle proprie strategie.

Abbiamo quindi visto l’importanza del problem solving a scuola: uno strumento nelle mani degli insegnanti più attenti alle nuove sfide didattiche.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Problem solving: cosa significa, cos’è e qualche esempio

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