Se n’è andata il 21 giugno scorso nel giorno del solstizio d’estate. La sua ultima raccolta Vita meravigliosa (Einaudi, 2020) parlava della morte e della malattia. Forse si poteva già leggere, in anticipo, una forma di congedo: Patrizia Cavalli, la “poeta”, si serviva delle parole come se fossero un sortilegio, delle visioni mistiche da lei cucite con l’abilità di una tessitrice.
I suoi erano versi che narravano i contrasti e i dissidi del vivere, tutti giocati nella perenne opposizione tra “speranza” e “disperazione”.
eterna paura di esistere, pure
sapeva di non essere immortale.
La poetica di Patrizia Cavalli
Link affiliato
La poetica di Patrizia Cavalli si serviva di una lingua quotidiana, di momenti fatti di nulla eppure di tutto. Per questo motivo probabilmente era un’autrice popolare, amata da gente di ogni ceto sociale e di ogni età: le sue poesie sono brevi e immediate, lasciano subito il segno, si incidono nella mente senza scampo e poi raccontano l’esistenza che ci attraversa nella gioia e nel dolore.
Patrizia Cavalli sapeva parlare di cieli stellati, ma anche di argomenti meno poetici come una bottiglia di whisky, la sua gatta, e della sua “nemica mente”.
In Vita meravigliosa inserisce persino una lirica dedicata a un antidepressivo, la fluoxetina, che definisce con tono solenne la “solerte messaggera dei neuroni.”
L’ultima raccolta di Patrizia Cavalli è eterogenea, alterna il tragico al comico, procede spesso per opposizioni dialettiche e, molte volte, si serve dell’ironia. Eppure vi si respira un senso impalpabile di morte, di oblio, di solitudine. La scrittura si fa formula salvifica per lottare contro il dissolvimento e la dimenticanza.
Recita la quartina proemiale:
Vita meravigliosa
sempre mi meravigli
che pure senza figli
mi resti ancora sposa.
Tra le ultime poesie ce n’è una in particolare che appare come una riflessione sulla vita nell’imminenza della morte:
E me ne devo andare via così?
Non che mi aspetti il disegno compiuto
ciò che si vede alla fine del ricamo
quando si rompe con i denti il filo
dopo averlo su se stesso ricucito
perché non possa più sfilarsi se tirato.
Ma quel che ho visto si è tutto cancellato.
E quasi non avevo cominciato.
L’operazione di scrittura viene quindi accostata per analogia a quella del cucito, che in fondo è esattamente quella quotidiana tessitura di giorni che fa la trama della nostra vita. Patrizia Cavalli affronta il mondo e anche la malattia nella sua umanità e nella sua fragilità, senza scudi né artifici.
Recensione del libro
Vita meravigliosa
di Patrizia Cavalli
Patrizia Cavalli e la poesia che cambia il mondo
La sua prima raccolta di poesie recava un titolo quasi ironico Le mie poesie non cambieranno il mondo, usciva nel 1974 grazie all’appoggio di Elsa Morante. All’epoca i suoi componimenti vennero definiti una forma di “poesia esistenziale” che riprendeva la lezione di Sandro Penna e quella di Pier Paolo Pasolini. Patrizia mantenne la promessa, ormai era diventata “poeta” come l’aveva definita la sua mentore Elsa Morante, e continuò a scrivere senza deludere le aspettative.
Il critico Giovanni Raboni nel 1981 definì la sua seconda raccolta, Il cielo “più che una conferma”.
Scrisse Raboni:
Alla felicità istintiva di un gesto poetico aggraziatissimo e “innocente” è subentrata ora, nel lavoro della Cavalli, una pronuncia più grave, profonda e pacata, in grado di rispecchiare con lancinante nitore, ma anche con struggenti combustioni e velature, la dolorosa flagranza dei sentimenti.
Il cielo era una raccolta che si legava a un’assenza di carattere amoroso. L’intera raccolta sembra muoversi alla continua ricerca di un equilibrio tra desiderio di libertà e bisogno d’amore. I sentimenti diventano come una forma di prigionia. L’amore sembra sempre racchiudere una mancanza, persino quando è presente:
Che tu ci sia o non ci sia, / ormai è la stessa cosa,/ comunque sia io ho la nostalgia.
Sette anni dopo Il cielo Patrizia Cavalli scrisse L’io singolare proprio mio 1992), in cui concentra il focus su se stessa, rivolge lo sguardo al di dentro e descrive la sua eterna lotta contro quella che avrebbe in seguito definito la “nemica mente.” È la poesia del cervello e delle tempeste emotive.
Link affiliato
Ancora sette anni dopo fu il turno di Sempre aperto teatro (1999), seguito da La guardiana (2005), Pigre divinità e pigra sorte (2006), Datura (2013) e infine Vita meravigliosa (2020).
La penultima raccolta Datura (2013) porta il nome di un fiore dall’odore dolciastro dal quale pare si estragga lo stramonio, una sostanza dagli effetti ipnotici capace di provocare un sonno allucinatorio. Forse una metafora della poesia stessa.
In Datura Patrizia Cavalli legava profondamente il linguaggio al corpo, creando così una poesia umorale, sfrontata che spesso si serve anche del turpiloquio che sfocia in un grido come “Ma adesso/ che cazzo vuole da me questo dolore/ al petto quasi al centro! Che faccio, muoio?”.
Nella lirica che dava il titolo all’intera raccolta, Datura, in omaggio al celebre fiore, scriveva:
Ma io non voglio andarmene così,
lasciando tutto come ho trovato
in questa scialba geografia che assegna
l’effetto alla sua causa e tutti e due consegna
all’umile solerzia dell’interpretazione.
Un altro è il mio progetto, la mia ambizione
è accogliere la lingua che mi è data
e, oltre il dolore muto, oltre il loquace
suo significato, giocare alle parole
immaginando, senza un’identità,
una visione.
Le sue parole erano le parole di tutti, perché presentavano l’urgenza quasi fisica del vivere. Descrivevano le noie e le piccole infelicità quotidiane, le variazioni climatiche e anche l’amore. Scriveva Patrizia Cavalli: “Non esiste l’amore, esiste chi ami”, una frase che sembra fare eco a quella celeberrima di Elsa Morante: “Solo chi ama conosce”.
Negli ultimi anni della sua vita Patrizia Cavalli diceva non essere più innamorata e si affliggeva per questo. Si sentiva meno viva, così, incapace di innamorarsi. Le cure per il tumore le stavano togliendo ogni energia.
In una delle sue ultime intervista, rilasciata nel 2020, ricordava il suo primo amore, l’attrice Kim Novak, cui aveva dedicato la prima poesia, scritta a nove anni, che recitava così: “Chi sei dunque tu, Kim Novak?”, in questo primo bizzarro verso possiamo dunque rintracciare l’esordio della voce della grande “poeta” - così voleva essere chiamata, come l’aveva battezzata l’amata Elsa Morante - della letteratura italiana contemporanea.
Diceva che il titolo della sua prima raccolta Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974), era opportuno e forse il più giusto. Il proemio del suo primo libro di poesie, l’aurora luminosa della sua scrittura, recitava così:
qualcuno mi ha detto
che certo le mie poesie
non cambieranno il mondo.
Io rispondo
che certo sì
le mie poesie
non cambieranno il mondo.
Come tutte le menti geniali Patrizia Cavalli concepiva il valore effimero del tutto dinnanzi all’eternità. Ma siamo proprio sicuri che le sue poesie un poco non l’abbiamo cambiato, il mondo?
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Patrizia Cavalli: poetica e viaggio tra le poesie più belle
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Einaudi Storia della letteratura Patrizia Cavalli
Lascia il tuo commento