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Recensioni di libri

La guerra non ha un volto di donna di Svetlana Aleksievič

Bompiani, 2015 - Le testimonianze rilasciate dalle donne sovietiche impegnate al fronte durante la seconda guerra mondiale raccolte dalla penna di Svetlana Aleksievič, giornalista bielorussa insignita nell’anno 2005 del premio Nobel per la letteratura.

La lettrice
La lettrice Pubblicato il 07-02-2018

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La guerra non ha un volto di donna

La guerra non ha un volto di donna

  • Autore: Svetlana Aleksievič
  • Genere: Storie vere
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Bompiani
  • Anno di pubblicazione: 2015

La lettura del volume “La guerra non ha un volto di donna” di Svetlana Aleksievič è irrinunciabile.

L’autrice, che mai avrebbe voluto occuparsi di un tale tema si ritrova, invece, inaspettatamente, a raccogliere le testimonianze rilasciate dalle donne sovietiche impegnate al fronte durante la seconda guerra mondiale.

“Le ragazze del millenoceventoquarantuno…La prima domanda che vorrei porre loro è: da dove e da quali esperienze venivano? E poi…Come mai erano state così numerose? Che cosa le aveva spinte, al pari degli uomini, a prendere in mano un fucile? A sparare, minare, far esplodere, bombardare a cannonate – uccidere?”.

Che cosa le aveva spinte?

“Ma le nostre ragazze non solo volavano ma abbattevano degli assi dell’aria. E che assi! Sa, al nostro passaggio gli uomini ci guardavano meravigliati: «Passano le donne aviatrici!»” (Klavddija Ivanovna Terechova, capitano dell’aviazione militare).
“I combattimenti sono durati fino a tarda notte. La mattina ha ripreso a nevicare. La neve fresca ha imbiancato i monti…molti avevano le braccia alzate verso l’alto…Verso il cielo. Vuole sapere cos’era per me la felicità? Glielo dico…trovare all’improvviso tra i morti una persona viva” (Anna Ivanovna Beljaj, infermiera).
“La cosa per me più insopportabile erano le amputazioni…Spesso si amputava così in alto che riuscivo a malapena a sollevare e trasportare la gamba tagliata fino al secchio. Ricordo il peso e la fatica… ed io ero sempre coperta di sangue…” (Marija Selivestrovna Božoc, infermiera).

Parlare della guerra, come parlarne in senso autentico: su questo si interroga Svetlana Aleksievič. Fingendo, per esempio, che nelle infermerie vi fossero delle crocerossine ben vestite ed in ordine? Magari con la tipica gonna con cui solitamente venivano raffigurate? Sì, le avevano le gonne, gliele avevano mandate ad un certo punto, e venivano anche sfoderate per le occasioni speciali, ma vi immaginate a trascinare i feriti, ad amputare gambe, a passare da una ad un’altra persona correndo ininterrottamente con una gonna? No, non era questa la realtà. Le infermiere indossavano i pantaloni e tutti gli indumenti tipicamente maschili, erano costantemente coperte di sangue e le scarpe, a volte, erano di tre numeri in più.

“Era un bambino ebreo… un tedesco l’aveva legato alla sua bicicletta e lui gli correva dietro come un cagnolino: «Schnell, Schnell!» Pedalava senza smettere di ridere. Era un giovane tedesco. Presto gli è venuto a noia e, sceso dalla bicicletta, ha intimato al bambino: «Mettiti in ginocchio… Così, a quattro zampe… Striscia come un cagnolino... Salta… Hundik! Hundik!». Ha lanciato in aria un bastone. «Prendilo!» Il ragazzino si è alzato in piedi ed è corso, riportando indietro il bastone tra le braccia. Il tedesco allora è andato su tutte le furie e ha cominciato a picchiarlo. A insultarlo. Gli ha mostrato come fare: «Salta sulle quattro zampe e riportamelo indietro, afferrandolo con i denti». Il ragazzino l’ha riportato indietro, tenendolo con i denti… Il tedesco ha continuato a giocare così con il ragazzino per un paio d’ore. E poi l’ha di nuovo legato alla bicicletta e insieme sono tornati indietro. Il bambino correva dietro a lui come un cagnolino… In direzione del ghetto… E lei mi domanda come mai abbiamo cominciato a lottare, come mai ho imparato a sparare…” (Valentina Pavlovna Kožemjakina, partigiana).
“Trascinavo due corpi, solo dopo mi sono accorta che uno era di un soldato tedesco. Capivo che sarebbe morto per il sangue perso.
E sono tornata a prenderlo strisciando. Ho continuato a trascinare entrambi…Accadeva a Stalingrado...Durante la più terribile delle battaglie…”
“Stella mia, non si possono avere due cuori: uno destinato all’odio e l’altro all’amore”.

Svetlana Aleksievič ha lasciato spazio alla voce delle protagoniste ed io voglio seguirne l’esempio con il mio contributo, evidenziando, soltanto, come la giornalista bielorussa sia stata insignita del premio Nobel per la letteratura nell’anno 2015 proprio con “La guerra non ha un volto di donna”.
Commovente, appassionante e, soprattutto, autentico.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La guerra non ha un volto di donna

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