Vissi d’amore
- Autore: Paola Capriolo
- Genere: Romanzi erotici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
La Tosca di Puccini si presta a movente di “Vissi d’amore” di Paola Capriolo (Bompiani, 1994). Romanzo di rivoli e derive sentimentali. Percorso da ossessioni. Intrecci antinomici (eros/thanatos, sacro/profano, salvezza/perdizione). Dell’opera pucciniana vengono confermati contesto e personaggi, pur se col corredo di valenze aggiunte.
Come “La strega e il capitano” di Sciascia (ambientato in un austero tribunale dell’Inquisizione) anche “Vissi d’amore” trae sostanza dalla partitura ambigua dei ruoli di giudice e imputato. La storia della progressiva discesa negli inferi del barone Scarpia, coinvolto con Tosca in un percorso a due di perdizione e/o forse di disvelamento ontologico. Attraverso il racconto di Scarpia ci sono rivelate in progress le tappe del suo decadere interiore: da una condizione beata-eletta, supra partes – a un’altra atterrata, traligna. Un degenerare di stato che trova in Adamo ed Eva gli illustri antesignani. Sin dall’incipit del romanzo, Scarpia ci si rivela come l’integerrima longa manu di un ordine supremo. Il sacerdote inquirente di una volere divino - prima ancora che giudiziario - cui è convinto assertore. Scarpia vive il suo ruolo come una specie di investitura celeste, ergendosi ad amministratore di una Giustizia cui è emissario e sacerdote al contempo. Teoreta - persino - di un’estetica della tortura, della quale vaneggia la necessità redentrice.
“Il mio ufficio, la cui vitale importanza per il benessere collettivo è cosa tanto evidente da non richiedere spiegazioni, è continuamente ostacolato dalla spropositata quantità di suppliche che giorno dopo giorno mi si accumulano sulla scrivania. Molte volte ho pensato di affidare a un segretario questa gravosa corrispondenza, ma non mi sono mai potuto risolvere a un simile passo: un segretario non saprebbe recare conforto a quelle anime afflitte come so fare io, dimostrando loro a fil di logica che tale afflizione è soltanto il frutto di uno sguardo miope, offuscato da un’indebita sopravvalutazione del proprio caso personale, incapace di scorgerne l’irrilevanza rispetto alla superiore economia del tutto. Non è forse arroganza, sia pure naturale e in un certo senso scusabile, pretendere che l’ordine universale delle cose subisca un’eccezione per amor loro o dei loro cari, che sia addirittura sospeso qualora ne minacci gli affetti, la libertà, la vita? Non commette forse peccato d’orgoglio chi dinnanzi a quest’ordine universale, invece di inchinarsi in silenzio, di immolarsi, se occorre, di buon grado, ardisca ancora levare la voce e proferire la parola ‘io’? Come se questo io non fosse, in generale e in ciascun esempio specifico, l’entità più trascurabile del mondo”. (p. 19)
Flora Tosca – perseguita in quanto simulacro di neo-strega, in quanto corrotta - costituisce il cardine oppositivo di quest’ordine. Cantante lirica adusa a perturbare, rappresenta la potenza sovvertitrice. L’incarnazione luciferina, musa e oggetto di concupiscenza del sovversivo Mario Cavaradossi che, per contrappasso, ne ha fatto modello anti-virginale del suo dipinto raffigurante il Trionfo di Maria.
“Riconoscevo nell’espressione estatica della quale il pittore aveva animato i lineamenti della Vergine la Stessa che avevo colto poco prima spiando Tosca ma solo ora quell’estasi mi svelava la sua natura niente affatto virginale. Ogni particolare manifestava trionfo, voluttà, infinito compiacimento in sé: le labbra carnose, dipinte con eccessivo realismo, sembravano sul punto di schiudersi in un sorriso ambiguo, e le palpebre erano abbassate a metà sugli occhi sfavillanti. Non mi fu difficile indovinare in quali circostanze, nel corso di quali licenziosi commerci il pittore avesse visto quell’espressione sul volto della sua modella”. (pp. 16-17)
Scarpia e Tosca sono dunque i poli dissimili di un biunivoco rapportarsi esistenziale: fideistico, supino, asservito a un Volere superiore l’uno; prometeicarnente ribelle, fiero, indomito, l’altra. Come vedremo, facce divaricate, di una medesima medaglia.
“I negatori del negativo dovrebbero avere l’onestà di ammettere che senza di esso il positivo si ridurrebbe a ben misera cosa... Vi è dunque necessariamente un aspetto negativo nell’idea di perfezione, anche nella sua applicazione teologica. Mi sembra sempre più d’intendere altrimenti l’essenza divina che come un abisso dove il bene convive con il male, con il peccato, e dove entrambi sono ugualmente legittimati” (p. 97)
Il graduale turbamento cui soggiace Scarpia in “Vissi d’amore” procede in senso inverso a quello che ne “I Promessi sposi”, caratterizza l’episodio della conversione dell’Innominato. La popolana Lucia Mondella è eletta da Alessandro Manzoni a simbolo di purezza (dunque viatico di elevazione spirituale), nel romanzo di Paola Capriolo, Flora Tosca è di contro portatrice di valori disgreganti. In altre parole: se ne “I promessi sposi” Lucia è per l’Innominato angelo di salvezza, in “Vissi d’amore” Tosca è per Scarpia pretesto di perdizione. Pretesto di definitiva rinuncia alla beatitudine.
Attraverso un reiterato minuetto di congiungimento-respingimento, Scarpia e Tosca procedono verso l’inevitabile resa dei conti: quella visita al Paradiso (così Scarpia ha battezzato la sua sala di tortura) dove si compie, infine, il capovolgimento dei ruoli. Un reciproco liberarsi di libido inespresse. Una messa in scena sensuale, masochistica, in cui l’amore si frammista col dolore e la vittima col carnefice.
A partire dal primo accesso al Paradiso i toni narrativi del romanzo divengono quasi estatici, voluttuosi. Rimando al compiersi sacrale di una Voluntas sovrastante.
“Nei suoi occhi lessi la resa, ma non a me: si arrendeva piuttosto a quella volontà alla quale io stesso mi ero piegato, alla quale soggiacevo da quando ero entrato con Tosca nel Paradiso, o forse da prima, forse fin dal giorno in cui, nascosto nei buio della navata, l’avevo osservata pregare. Come compiendo un’azione prescritta da sempre mi avvicinai a lei e sciolsi il nastro che le tratteneva i capelli. Con la stessa sicurezza quasi liturgica ella rispose al mio gesto slacciandosi la cintura. La tunica d’oro scivolò a terra e lasciò il suo corpo completamente nudo, salvo i piedi ancora avvolti dalle strisce dorate dei sandali. I nostri sguardi erano attenti, i movimenti controllati. Sentivamo entrambi che quanto allora avveniva si sottraeva all’arbitrio, alla libertà, persino al desiderio. Tutto questo era rimasto dietro, di là della soglia: ora ci trovavamo in un mondo dove nulla poteva essere mutato, in una sfera di limpida necessità, delle cui leggi eravamo divenuti a un tratto custodi”. ( pp. 94-95)
Come molti dei protagonisti caprioliani, anche Scarpia e Tosca, si rendono predisposti alla trasmutazione in altro da sé. Supine macchiette autolesioniste secondo il senso comune. Deprivate del libero arbitrio, ove questo li indirizzi verso richiami differenti da quelli predisposti dal Volere che li sovrasta. Una forza immanente. Un invisibile fato cieco. Assoluto, che annienta ogni barlume di sopravvivenza individuale. Che induce verso l’abisso duale dell’estasi e della perdizione. Verso il compiersi di un Disegno cui non è dato sottrarsi.
“A volte mi domando se non avrei potuto evitare tutto ciò, e gli avvenimenti che mi hanno condotto a questo punto mi appaiono come una serie di bivi a ciascuno dei quali ho imboccato risolutamente la strada sbagliata. Eppure ogni alternativa avrebbe implicato una rinuncia il cui solo pensiero mi è intollerabile... Non riesco a pentirmi davvero di avere infranto quei confini: troppe cose altrimenti mi sarebbero rimaste sconosciute, cose preziose, sulle quali mi parrebbe meschino mercanteggiare. Nessun prezzo è troppo alto per la Verità, anche se vado sempre più convincendomi che la salvezza sta nell’amore, che il labirinto della vita si percorra più agevolmente con sguardo offuscato. Vedere significa vedere l’abisso, da cui non è possibile poi tornare a distogliere gli occhi, sapere significa sapersi consegnati all’annientamento, e fuori di ciò non esiste vera dottrina” (pp. 114-115).
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