Una rosa in trincea
- Autore: Annamaria Piccione
- Genere: Libri per bambini
- Casa editrice: San Paolo
- Anno di pubblicazione: 2014
Una rosa sul petto in trincea: storia di una guerra durissima raccontata con straordinaria tenerezza
Peppino aveva una rosa sul cuore e con quella era sicuro di farcela: avrebbe superato la prova atroce della guerra, che seminava morti in grigioverde tutto intorno. Ragazzi che poco prima tremavano insieme a lui in attesa dell’assalto erano sparsi per terra, con le uniformi strappate, tra fiumi di sangue. Bombe e pallottole nemiche cercavano corpi giovani. Correre avanti, correre sempre, sperando di non sentire un urto fatale. Era tremendo, molto più del terremoto di Messina, che si era sentito anche vicino a Siracusa, una notte tra Natale e Capodanno del 1908.
Ha solo quindici anni il fante Peppino C. e al fronte c’è andato al posto del fratello Luigi, che è sempre stato macilento ed ora ha un figlio, un altro in arrivo. Lui invece è molto alto, un gigante. Lo dicono tutti che il piccolo sembra il grande e quando è arrivata la cartolina precetto si è presentato al Distretto al posto del secondogenito. Avviandosi, ha incontrato sulla strada Marilena, dodici anni, che gli ha regalato una di quelle rose che fioriscono d’inverno.
Tienila con te e quando si secca conservala vicino al cuore, così sono sicura che tornerai. E ci sposeremo.
Il disegno sulla copertina di “Una rosa in trincea” di Annamaria Piccione (con le illustrazioni di Roberto Lauciello, edito dalle Paoline, 160 pagine 12 euro) farebbe pensare a un libro per bambini, ma questa storia di una bella famiglia del Sud, semplice, contadina, ma di sentimenti nobili è tanto intensa e appassionata da essere per tutti.
Siciliani, di Palazzolo, Siracusa. È la zia Elena, novantenne, a raccontare il segreto dei bisnonni a due tredicenni di oggi, Milly e Andrea, davanti a un vecchio album di foto. Dice loro di Fausto, amico fraterno di casa, il primo a partire e primo a morire, nel 1915; del primogenito, zio Alfio, che ha lasciato una gamba sull’altopiano di Asiago e soprattutto del suo papà, finito al fronte di sotterfugio per salvare il fratello.
Peppino è un contadino, però ama studiare, ha frequentato il ginnasio e aiuta i compagni d’armi a leggere e rispondere alle lettera da casa. È più robusto e più sveglio di Luigi, che non si è mai mosso dal podere e lassù in trincea non ce l’avrebbe fatta. Lui è forte, prima sopravvive alle offensive sul Carso, poi alla ritirata dopo Caporetto, resiste sul Piave con quell’esercito di straccioni che nonostante le prove avverse compie miracoli di tenacia. Si batte sugli Altipiani, respinge gli Austriaci, viene rischierato in pianura e partecipa allo sbalzo vittorioso verso Trento e Trieste. È congedato nell’estate del 1919 e torna con il suo talismano, la rosa, custodita in un sacchetto appeso a una cordicella intorno al collo e un uccello sulla spalla, un piccione addestrato.
Milly e Andrea apprendono tutto dalla prozia Elena e dal nonno Rino, che raccontano con amore del loro alto e coraggioso papà dagli occhi azzurri, uomo buono ma di poche parole e di mamma Marilena, che lo sposò nel 1920, a diciassette anni. Quella famiglia grande, unita, custodiva da allora un segreto innocente. Rispettando ogni anno un’affettuosa tradizione, la notte della vigilia di Natale celebrava una specie di rito. Anche ora, tutti insieme, genitori, zii, nipoti, pronipoti, prima della mezzanotte leggono in un vecchio quadernetto di Peppino, con la copertina nera, la storia del soldato Franz, incontrato fuori dalle linee il 24 dicembre 1917. Pur potendolo colpire facilmente, l’austriaco lo aveva risparmiato, tenendo il fucile basso e ripetendo pacificamente Frohe Weihnachten (Buon Natale). Ce n’era voluto un po’ a lui, cretino, prima di comprendere che si trattava di un semplice saluto. Si erano stretti la mano e scambiati gli auguri nelle loro lingue si erano abbracciati. Il giovane biondo, una recluta, come si capiva dalla divisa ancora pulita, aveva con sé un colombo.
Per quello l’ex soldato siciliano aveva preso ad allevare un piccione per volta. Li chiamava tutti Franz e una volta morti, prima di sostituirli col successivo, li seppelliva in una cassettina nel terreno, piantando sopra la buca una rosa d’inverno: sono le rose del nonno da cogliere solo a Natale, fiori che raccontano una storia di pace.
Una rosa in trincea
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