Tre passioni. Ritratti di donne nell’Italia Unita
- Autore: Elisabetta Rasy
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
Nel saggio Tre passioni l’autrice Elisabetta Rasy tratteggia, con ammirazione e impegno, il ritratto privato e pubblico di tre grandi scrittrici di fine Ottocento, tre donne nate, chi prima e chi dopo, a ridosso dell’Unità d’Italia e che hanno avuto in comune la passione letteraria:
- Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura nel 1926,
- Ada Negri, poetessa e unica donna ad essere ammessa tra gli Accademici d’Italia,
- Matilde Serao, prima donna a fondare un quotidiano.
Elisabetta Rasy narra delle loro vicende familiari, la crescita, gli studi, le letture, gli amori e le loro affermazioni. Alle nostre protagoniste la vita non ha risparmiato nulla e nonostante le tante difficoltà, non solo economiche, non hanno mai rinunciato alle loro aspirazioni. Eroine, grandi donne di un tempo che fu. La lettura delle loro vite è un’esperienza sorprendente, una grande partecipazione.
“L’amore per la letteratura, l’affermazione della propria femminilità, l’ansia di indipendenza: un mondo alle soglie della modernità rivive nel racconto della formazione di tre grandi autrici italiane.“
Uscito nel 1995, il libro Tre passioni è stato ripubblicato nel 2011, con la prefazione di Paolo Mieli.
Grazia Deledda, nata nel cuore della Sardegna, da famiglia benestante, quando si trasferì a Roma aveva trent’anni e da tempo aveva infranto le dure regole della sua terra, conquistando la sua libertà. Grazia non amava dedicarsi ai lavori femminili come tutte le altre donne ma scriveva con passione di storie d’amore e questo non le fu mai perdonato dalla sua gente. Il padre Antonio, facoltoso imprenditore agricolo, fu l’uomo più mite e giusto, coraggioso e gentile ma anche perdente, scriverà Grazia, perché morendo precocemente aveva privato i figli della sicurezza economica. E fu proprio così, con la sua morte iniziarono i problemi economici che porteranno l’intera famiglia al dissesto, anche perché i fratelli della scrittrice, per destini diversi, non furono in grado di continuare il lavoro paterno. Nonostante le difficoltà, Grazia non ebbe mai dubbi di voler diventare a tutti i costi una scrittrice. In casa Deledda come nei romanzi, le donne non erano solidali tra loro che nei momenti di necessità, quando la regola della tradizione lo imponeva soprattutto la vestizione della sposa, il parto, la malattia, la morte e non certo quindi per le aspirazioni della giovane Grazia. Né la madre, ormai chiusa nel mutismo del suo non amore, né le sue due sorelle le apportarono mai conforto, ma con le sue prime pubblicazioni, in continente, cominciarono a considerarla una scrittrice e la nostra autrice non si arrese. Nei suoi romanzi descriveva la società sarda patriarcale: uomini fragili in balia della sorte e donne immutabili, in contrasto con la sua nuova vita a Roma, con il marito Palmiro, suo factotum, i figli e proprio per questo autentica nella sua fierezza di donna sarda dalle arcaiche radici. Questa piccola donna, vestita sempre di scuro proprio come la sua terra, nel 1926 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura.
“La forma perfetta della piccola donna dalla testa rotonda e bianca, vestita di scuro, nell’ampia sala dell’Accademia di Stoccolma, che parla tre minuti quando le consegnano il Nobel e che impressiona gli altri giurati in frac, rispetto a lei sono davvero tutti alti, per la inesorabile compostezza della sua gioia.”
Ada Negri, una ragazza senza padre, con la madre operaia e nessun altro al mondo che si occupasse di lei, nell’Italia del 1880.
Eppure la Negri, con la Deledda fu una delle donne più famose in Italia nell’altra finde-seicle.
Le sue origini erano umili: il padre vetturino morì che Ada aveva un anno e la madre, Vittoria, lavorò per tutta la vita come tessitrice in fabbrica. La sua infanzia la trascorse nella portineria del palazzo nobiliare dove la nonna, che l’accudiva, lavorava come custode. Gli anni in cui Ada crebbe furono gli stessi in cui nel Nuovo Regno d’Italia l’istruzione venne regolamentata a favore dei più poveri ed anche delle donne. La legge Coppino del 1876 istituì l’istruzione elementare obbligatoria per tutti. Ada volle studiare da maestra perché non intendeva lavorare come la madre o divenire serva di signori, come la nonna. La mamma Vittoria era rimasta vedova molto giovane e ad una richiesta di matrimonio preferì le tredici ore di lavoro al giorno della fabbrica piuttosto che dare un patrigno alla figlia. Grazie ai suoi sacrifici, Ada poté diplomarsi insegnante elementare. Con i primi guadagni e l’iniziale successo delle poesie pubblicate, sottrasse la mamma al suo lavoro faticoso e la portò a vivere a Milano insieme a lei, è la prima casa che lei e sua madre non devono alla carità di nessuno. Le ingiustizie sociali, la condizione operaia saranno temi molto cari a Ada Negri, proprio in virtù della sua esperienza personale. A Milano iniziò a frequentare e a conoscere alcuni dei membri del partito Socialista: Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff. Apprezzata da Carducci e da molti altri esponenti letterari dell’epoca, divenne la prima donna membro dell’Accademia d’Italia. Ma la sua malinconia e il suo profondo pessimismo presero piede sempre di più in lei da condurla, negli anni a seguire, all’isolamento e all’inevitabile oblio. Fu trovata morta nel suo studio, una mattina del gennaio del 1945.
“Non un volto, perché non è bella, non una figura sociale, perché è fuori dalla società, ma una voce. Una piena di vento.“
Matilde Serao, terzo e ultimo ritratto, non era bella, non era elegante, non era ricca. Anche lei sola al mondo e con un padre nullafacente a carico. Ma il suo carattere era di quello di una donna poco arrendevole. Non aveva rendite, non aveva istruzione. Sapeva solo scrivere, e a detta di qualche suo amico, neanche tanto bene. Ma aveva una salute di ferro, tanta energia nel suo piccolo corpo tozzo, e una notevole resistenza al dolore.
Le avversità erano come il maltempo per lei, non più di una seccatura.
Il suo lavoro, inizialmente precario, pensava che potesse essere un vantaggio: quella precarietà poteva esserle amica. La sua grande e determinata volontà la porterà a collaborare con diversi giornali e a frequentarne le redazioni. Matilde ebbe due mariti, quattro figli e nel corso della sua vita non si lasciò travolgere dai tradimenti del marito, dalle esigenze dei figli, dal padre che resterà con lei fino alla morte, dai debiti, dalle accuse, e dalle impietose e spietate prese in giro. Il suo segreto fu quello di salvarsi sempre, buttandosi a capofitto nel lavoro. Il giornalismo era per lei la più nobile forma del pensiero umano.
”In uno degli ultimi anni della Vecchia Europa, nella lunga vigilia della Grande Guerra, un’elegante signora americana incontrò una bizzarra signora italiana in un buon salotto parigino. L’americana, benché davvero cosmopolita e mondana, fu molto colpita dall’italiana, che di lei invece non sembrò neppure accorgersi. L’americana era la scrittrice Edith Wharton che da tempo risiedeva a Parigi, il salotto era quello internazionale di Madame Fitz James, l’italiana Matilde Serao.“
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