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Recensioni di libri

Storie di gente felice di Lars Gustafsson

Iperborea, 2020 - Può esistere la felicità in un mondo preconfezionato, fatto di cose che fingono di essere desiderabili, in una società così complessa che contro i suoi mali e i suoi problemi ci limitiamo ad assicurarci, avendo perso ogni illusione di risolverli?

Mario Bonanno
Mario Bonanno Pubblicato il 11-08-2020

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Storie di gente felice

Storie di gente felice

  • Autore: Lars Gustafsson
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Iperborea
  • Anno di pubblicazione: 2020

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“Ma che cosa c’è in fondo a quest’oggi/ di mezza festa e di quasi male/ di coppie che passano sfilacciate come garze stese/ contro il secco cielo autunnale/ Di gente che si frantuma in un fiato/ senza soffrire, senza capire/ E i tuoi pensieri sono solo uno iato/ fra addormentarsi e morire”.

Mi ha fatto venire in mente l’attacco di Signora Bovary (Francesco Guccini, 1987) questo Storie di gente felice di Lars Gustafsson (Iperborea 2020, traduzione: Carmen Giorgetti Cima). Forse perché su entrambi gli autori – Guccini e Gustafsson – alligna sottotraccia l’ombra meta-significante di Borges: su dove affaccia il senso sottile delle situazioni consuete? Su quali abissi o in quali anditi di surrealtà può sfociare il comune procedere per arterie maestre?

“Il mio matrimonio infelice, e fallimentare dal principio alla fine, mi ha convinto che l’amore in definitiva non sia nient’altro che una forma di invidia. Il tentativo di diventare qualcun altro quando non sopportiamo più di essere ciò che siamo (…) La ragazza tacque un istante. Pensava: Che cos’è che sacrifichiamo, in realtà, per la compagnia?” (Le quattro ferrovie di Iserlohn, pag. 42)

Ci sono diversi incunaboli che fissano, tra le righe, la tenebra in cui si avvoltola l’ontologia umana. I racconti di Storie di gente felice la fissano di sguercio, di rimando alla velatura apparente dell’ironia, della comune ricerca di senso, della felicità dietro “la faccia abusata delle cose” (ancora Guccini). Anche se è arduo rintracciare felicità in un mondo omogeneizzato nella fintezza (finti-desideri, finti-rapporti, finte-mete, spesso finti-problemi) e in fin dei conti poi l’uomo resta un mistero a se stesso. Un enigma ambiguo, insondabile:

“Nessuno sa di preciso cosa sia un essere umano. I grandi torturatori del Medioevo, competenti, tenaci, scrupolosi, non erano arrivati a risolvere il mistero. I clinici del Settecento, con le loro docce, i loro bagni d’acqua, le trappole e gli ostacoli accortamente sistemati sul percorso dei camminatori, l’Ottocento con le sue camice di forza, Mastro Freud con le sue studiate trasformazioni e i suoi rituali, tutti avevano lasciato ancora qualche tasca inesplorata. C’era una tenebra dietro l’uomo, e questa tenebra persisteva a inviare segnali inconciliabili con tutto ciò ci si aspettava da lui” (L’arte di sopravvivere a novembre, pagg. 51-52).

Attenti però perché forse non tutto è perduto in partenza. Forse la caligine filosofica (ma anche immaginifica, ironica e mai fine a se stessa) di cui Lars Gustafsson ammanta Storie di gente felice contempla qualche spiraglio: la rivelazione – attraverso un lampo di genio, una reverie, un sogno, una fantasia – tocca, infatti, quasi tutti i protagonisti dei racconti. Un focus ulteriore attraverso cui osservare la propria situazione, rinquadrare lo status quo della realtà e dunque ri-pensare a un futuro in cui tutto è possibile, compresa la felicità.
Come dice lo scienziato inviato nella Cina di Mao per risolvere un problema ingegneristico (Zio Sven e la rivoluzione culturale):

“(…) è facile mettersi in testa che Il mondo è vecchio, che tutto è già stato fatto. E in una certa misura il Presidente Mao ha perfettamente ragione: forse il mondo è molto giovane. Forse dietro l’angolo esistono mille possibilità ancora intentate. Forse siamo solo noi che siamo stanchi, che ci siamo abituati a rassegnarci e a chiamare verità la rassegnazione e realtà tutto ciò che è un ostacolo, e a definire irreale tutto ciò che speriamo” (pag. 21).

La gente quasi felice di Lars Gustafsson è insomma ripresa a un pelo dello sliding doors esistenziale: attraversa relazioni sentimentali, si misura con dinamiche sociali, muovendosi all’interno di microcosmi disincantati eppure, al tempo stesso, potenzialmente soggetti a felicità. Una felicità minuta, epicurea, che si accontenta anti-consumisticamente di ciò che si ha o magari si scova tra le pieghe meno scontate del quotidiano. Acuta e illuminante la postfazione al volume di Ingrid Basso.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Storie di gente felice

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