Leggenda narra che, ricevuta la notizia della morte del suo rivale Eschilo, Sofocle si presentò in lutto alla rappresentazione prevista per quella sera. Un racconto inusuale che ci dà l’esatta misura della statura morale del tragediografo greco, amato, venerato dai posteri e ricordato, soprattutto, come un “uomo buono” e dall’alto valore civico.
Fonti certe ci tramandano che Sofocle non fu solo un noto tragediografo, ma anche sacerdote, uomo politico, nonché membro di un’agiata famiglia di Colono.
Ebbe una vita longeva per l’epoca, visse novant’anni attraversando quasi per intero il V secolo sino alla caduta di Atene, sua città natale, di cui, per fortuna, non poté vedere la disfatta. Assistette comunque al declino inesorabile della gloria ateniese che volgeva verso il tramonto, un presagio che forse Sofocle, in cuor suo, aveva sempre avuto, come testimoniano le sue opere più celebri.
Sofocle, il creatore di Edipo
A lui dobbiamo uno dei personaggi più rappresentativi della condizione umana: Edipo, simbolo esemplare dell’uomo che lotta invano contro un destino tragico e ineluttabile. Destino e libertà sono i due punti cardine della tragedia, così come appaiono tuttora i principi fondanti del canone occidentale.
Forse l’illustre tragediografo non immaginava che attraverso un personaggio avrebbe creato un modello, addirittura un punto di riferimento psicoanalitico utile, secondo Freud, per penetrare i meandri dell’inconscio. L’attualità della figura di Edipo, negli anni, non è mai venuta meno: l’Edipo Re infatti inizia narrando di un’epidemia (di peste in quel caso) che getta la città di Tebe nella prostrazione e nello smarrimento più completo. Sono gli Dei ad aver mandato la peste, ma per quale motivo? Lo svelamento della causa sarà la rovina di Edipo che da “migliore tra gli uomini” assisterà alla propria caduta morale e sociale. Nella successiva tragedia del ciclo, L’Edipo a Colono, ci viene narrata la fine di Edipo, mendicante cieco ed esule al quale viene infine concesso, quasi come riscatto, il destino di essere divino.
Anche la morte di Sofocle fu teatrale, come del resto lo è stata tutta la sua vita. A proposito ne vengono raccontate due versioni, dove l’una non è certo meno interessante dell’altra, anche se entrambe appaiono attraversate da una certa nota iperbolica, altamente improbabile. La prima narra di un acino d’uva, mentre la seconda pone al centro un complotto familiare; quale dovremmo giudicare più probabile o scenografica?
Come intuirono i più grandi psicoanalisti, a Sofocle dobbiamo l’intuizione di aver anticipato, dal punto di vista letterario, uno dei temi di maggiore incidenza del nostro millennio, ovvero l’identità.
Vediamo dunque più nel dettaglio vita, opere e tragedie più famose del grande tragediografo greco.
La vita di Sofocle
Sofocle nacque ad Atene probabilmente nel 497 a. C., figlio di Sofilo, un fabbricante di armi. Grazie all’agiatezza della sua famiglia, Sofocle ricevette un’educazione raffinata; lui era, del resto, un allievo estremamente dotato.
Le fonti del tempo narrano che aveva straordinarie qualità di musico e danzatore, nonché un’invidiabile bellezza. Nel 480 a.C. fu il prescelto per guidare il coro che celebrava la vittoria dei Greci sui Persiani nella Battaglia di Salamina. Proprio per le sue straordinarie capacità, Sofocle, oltre che autore, fu anche interprete e attore delle sue opere.
L’esordio come tragediografo fu nel 468 a.C., all’età di trent’anni, quando venne eletto vincitore degli agoni tragici, ovvero le feste dionisie in Atene che ponevano un gruppo di drammi in gara tra loro. Sofocle trionfò sul più anziano Eschilo, che fu talmente amareggiato dalla sconfitta da rifugiarsi in esilio in Sicilia.
Era l’inizio di una rivalità trentennale; ma Sofocle non lasciava spazio ai rivali, avrebbe vinto per ben ventiquattro volte inanellando una serie inarrestabile di trionfi. Divenne molto amico dello storico Erodoto, con il quale condivideva vari interessi, tra cui quello per le forme più arcaiche di religiosità.
Sulla sua vita privata ci sono state tramandati alcuni dettagli interessanti che certo dovevano apparire succulenti nelle cronache del tempo (lo sono anche oggi): sposò l’ateniese Nicostrata, dalla quale ebbe il figlio Iofonte, in contemporanea ebbe come amante Teoris, dalla quale ebbe un altro figlio di nome Aristone. Questa sua duplice paternità avrebbe rivestito un ruolo fondamentale negli ultimi anni della sua vecchiaia, come vedremo, trasformandoli in una tragedia in grado di andare in scena stavolta non su un palcoscenico, ma nella vita vera.
Nella sua lunga e onorata carriera, Sofocle fu anche un uomo attivo nella vita pubblica, soprattutto sotto il governo illuminato di Pericle. Fu tra i presidenti degli Ellettomani, scelti per amministrare il denaro che i cittadini attici di Atene versavano alla lega antipersiana; poi entrò nel consiglio degli strateghi nella guerra contro i Sami e, in seguito, nella battaglia di Nicia.
Ma le fonti ci testimoniano anche che Sofocle era un uomo religiosissimo, adepto al culto del dio Asclepio che venerava nella sua stessa casa dove ospitava il serpente sacro del Dio. Dopo la sua scomparsa, avvenuta appunto in veneranda età, divenne lui stesso oggetto di culto anche in virtù del successo della sua ultima tragedia, L’Edipo a Colono, che si presentava come una profonda riflessione sulla morte.
La sua morte tuttavia rimane un nodo ancora da sciogliere che, nel tempo, si è trasfigurato nella leggenda.
Sofocle: le innovazioni teatrali del tragediografo
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La sua produzione tragica fu vastissima; gli antichi parlano di oltre 123 drammi, ma solo sette ci sono giunti interi grazie a una selezione antologica svolta dalla scuola ellenestica. Tra le sue tragedie più celebri ricordiamo Edipo Re, Edipo a Colono, Antigone , Filottete, Elettra e Aiace.
Secondo l’eminente grecista italiano Guido Guidorizzi, Sofocle fu percepito dai suoi contemporanei come “simbolo di perfezione” e le sue tragedie più celebri, l’Edipo Re e l’Antigone sono considerate i capolavori del teatro greco. Lo stesso Aristotele avrebbe definito l’Edipo di Sofocle come la “tragedia perfetta”.
La poetica di Sofocle si regge sulla tensione non risolta che solo nel finale si scioglie come un nodo: il suo protagonista esemplare, Edipo, nonostante sia straziato dalla rabbia e dall’angoscia, ha il coraggio di penetrare a fondo il proprio mistero sino al centro di sé stesso, cadendo, infine, nell’abisso.
C’è uno scarto decisivo e una differenza fondamentale tra Sofocle e il suo rivale Eschilo ed è dato dal ruolo degli Dei: nelle tragedie di Sofocle gli Dei agiscono in maniera oscura, seguendo percorsi che non sono intellegibili all’uomo, dunque l’umanità non è in grado di comprendere le loro azioni. Mentre nelle tragedie di Eschilo gli Dei assolvono il ruolo tradizionale di garanti della giustizia.
La condizione umana viene mostrata per la prima volta da Sofocle in tutta la sua evidenza tragica: l’uomo è solo, isolato, eppure è dotato di forza morale, della capacità di agire il Bene contro il Male. Non era mai stata espressa prima, nella tragedia greca, in maniera così evidente l’introspezione dei personaggi: ne L’Edipo Re invece si mostrava il tormento, il dubbio, addirittura il segreto custodito nel cuore di un uomo.
Tra le più importanti innovazioni teatrali apportate da Sofocle c’è l’aumento del numero degli attori (fu il primo a utilizzare il terzo attore) e dei coreuti nella tragedia classica; secondo gli antichi inoltre a Sofocle dobbiamo l’invenzione della scenografia per l’utilizzo di alcuni pannelli dipinti come sfondo delle scene.
Sofocle: le tragedie più famose
Prendiamo in considerazione, seppure in una sintesi estremamente abbreviata, le tre tragedie più famose di Sofocle, ovvero L’Edipo Re, L’Edipo a Colono e L’Antigone, ovvero il cosiddetto Ciclo Tebano, derivato dalla suggestione di poemi epici greci ormai andati perduti.
- Edipo Re: a Tebe infuria la pestilenza e il Re Edipo manda Creonte a consultare l’oracolo per capirne la causa. Il responso dice che l’assassino del precedente re - Laio - vive ancora tra le mura della città; non resta che svelare l’identità del colpevole ma, dopo un acceso colloquio con l’indovino cieco Tiresia, Edipo scoprirà di essere lui stesso l’assassino che si sta cercando. Avvera infatti la terribile profezia, “di aver ucciso suo padre e aver giaciuto con sua madre”. Scoperta la verità Edipo si acceca e si allontana, esule, da Tebe.
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- Edipo a Colono: nella seconda tragedia del ciclo troviamo Edipo ormai vecchio e cieco che, nel suo lungo vagabondare, giunge a Colono insieme alla figlia Antigone che lo sorregge. Secondo l’antica profezia infatti in quel luogo sarebbero terminati i suoi giorni; ma, venuti a conoscenza della sua storia e della maledizione che porta con sé, i cittadini cercano di allontanarlo. Il re di Atene, Teseo, gli accorda protezione; mentre il sovrano di Tebe, Creonte, giunge in città per scacciarlo. Intanto si triplicano i prodigi che annunciano a Edipo che la sua fine è ormai vicina.
- Antigone: Antigone, figlia di Edipo, è una delle più memorabili protagoniste della tragedia greca, simbolo di tenacia femminile. La giovane si pone in conflitto con il re Creonte, sovrano di Tebe, per dare degna sepoltura al fratello Polinice, morto durante l’assedio della città. Un decreto di Creonte - che rappresenta la Legge - lo impedisce; ma Antigone rappresenta la forza della legge del singolo contro la legge dello Stato, quindi l’eterno conflitto tra Legge e Morale.
Ancora oggi è una delle tragedie di Sofocle giudicate più contemporanee per gli argomenti che propone e per l’innovativa narrazione della condizione femminile.
La misteriosa morte di Sofocle
L’elogio funerario di Frinico ci racconta che il noto tragediografo ateniese:
“Visse a lungo e morì felice”.
Eppure sulla sua morte si triplicano gli aneddoti e sembrano destinati a non avere fine: una leggenda narra che Sofocle fu ucciso da un acino d’uva che gli andò di traverso; mentre un’altra, più accreditata, parla di un complotto familiare che avvicina la sua vicenda esistenziale a quella del suo personaggio più noto, Edipo.
Il figlio legittimo, Iofonte, trascinò il padre ormai anziano a processo per farlo giudicare incapace di intendere e di volere e così strappargli l’eredità. L’anziano Sofocle fu scagionato dal processo grazie alla lettura della sua celebre opera, L’Edipo a Colono; ma si narra che proprio lo sforzo di quella lettura pubblica lo privò delle forze costringendolo a esalare il suo ultimo respiro.
La tragedia sarebbe stata rappresentata nel 401 a.C., dopo la morte del suo autore, rendendone duraturo e infine eterno il mito.
La morte, nel finale de L’Edipo a Colono, appare come una forma di liberazione:
Non nascere, ecco la cosa migliore, e se si nasce, tornare presto là da dove si è giunti. Quando passa la giovinezza con le sue lievi follie, quale pena mai manca? Invidie, lotte, battaglie, contese, sangue, e infine, spregiata e odiosa a tutti, la vecchiaia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sofocle: la vita e la misteriosa morte del padre di Edipo
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