In occasione dell’8 marzo ripercorriamo le storie delle grandi protagoniste della tragedia greca. Donne simbolo, portatrici di valori universali, personaggi femminili forti attraversati da inquietudini e tormenti.
Secondo gli antichi greci l’emotività era una caratteristica prettamente femminile e dunque, non di rado, i grandi drammaturghi utilizzavano le donne per esplorare la parte più pulsante, brutale e insidiosa della tragedia.
La percezione femminile era una cassa di risonanza suprema del dolore poiché lo restituiva in maniera amplificata e autentica.
Nacquero così alcuni grandi modelli di donna che ancora oggi rivelano tutta la loro contemporaneità: pensiamo all’Antigone di Sofocle, che tuttora è ritenuta l’emblema della donna sola contro il potere; o al discorso femminista della Medea di Euripide o, ancora, al tragico destino di Cassandra, divenuta la “profetessa di sventure” per antonomasia o alla terribile vendetta di Elettra in nome della giustizia umana.
Nella società greca le donne avevano un ruolo marginale - era considerate libere, però non partecipavano attivamente alla vita politica della polis, il loro spazio di attività era ridotto all’oikos, ovvero alla dimensione domestica e familiare e a tutto ciò che ruotava attorno a essa.
Nella tragedia tuttavia la situazione si ribalta: ecco che le donne assurgono al ruolo di protagoniste, diventano personaggi centrali capaci di compiere azioni rivoluzionarie, sovversive, a tratti eroiche e a tratti addirittura spaventose, malefiche.
Le donne nella tragedia greca
Nel teatro greco la figura femminile ha un ruolo centrale, tanto che spesso ricordiamo più le grandi eroine delle loro controparti maschili. I titoli stessi delle tragedie più famose sono declinati al femminile e vedono una donna per protagonista: Antigone, Medea, Alcesti, Ifigenia, Le Troiane.
La passionalità e l’emotività delle donne costituivano l’autentico motore dell’azione tragica: come sostenuto anche da Platone nel Simposio, la donna poteva essere l’unica intermediaria di eros e del mondo degli istinti. A dare la definizione di Eros nel Simposio è, non a caso, una donna: Diotima di Mantinea, il cui discorso viene riportato dalle parole di Sofocle che ricorda un dialogo avuto con la forestiera (le donne, lo ricordiamo erano state fatte uscire dalla stanza prima di dare avvio al banchetto e alla discussione sulla natura dell’amore). Le donne, dunque, continuavano a rivestire un ruolo centrale e tuttavia marginale: non potevano esprimersi in pubblico, nell’agorà, ma sul palcoscenico del teatro - interpretate da attori uomini - ecco che finalmente prendevano voce, rivelando forza e determinazione.
Scopriamo più approfonditamente alcune “personagge” simbolo della tragedia greca che sono ritenute dei modelli esemplificativi di determinate azioni e comportamenti.
Le donne della tragedia tuttora ci aiutano a demolire alcuni solidi stereotipi legati alla concezione del “femminile”: queste donne non erano, come vedremo, delle devote cultrici del focolare domestico, erano tutt’altro che esseri passivi e remissivi, diventavano, al contrario, capaci di grandi - e talvolta terribili - ribellioni, abdicando di fatto all’anonimato a cui le condannavano le regole di una società e di una cultura prettamente maschile.
1. Antigone e la disobbedienza civile
Personaggio tragico che non perde mai la propria attualità, Antigone è divenuta il simbolo della ribellione e della disobbedienza civile. La figlia di Edipo sfiderà le leggi del tiranno Creonte per dare degna sepoltura al fratello Polinice. Nella tragedia di Sofocle le leggi dello Stato si contrappongono alla legge morale dell’individuo incarnata, appunto, dal personaggio di Antigone.
La coraggiosa eroina rappresenta un forte punto di rottura nella narrazione greca: è una donna sola che lotta contro le leggi degli uomini, a scapito della vita. Antigone affronta il tiranno Creonte appellandosi alle leggi “non scritte, innnate, degli Dei” e al principio morale della giusta sepoltura. La sorella Ismene tenta invano di dissuadere la ragazza dal suo proposito, ma Antigone non intende desistere e, infine, in nome del proprio ideale accetta persino la condanna di essere murata viva.
Il suo scambio di battute con il re Creonte oggi viene spesso riletto in un’ottica femminista. “Non condivido l’odio, ma l’amore”, dice Antigone, ma il re di Tebe ferocemente ribatte, decretando la sua condanna:
Scendi sotterra e amali, se devi: mai, finch’io viva, prevarrà una donna.
2. Medea e la rivolta contro il patriarcato
Consacrata nel Novecento dal film di Pasolini con protagonista Maria Callas, Medea è una delle più controverse eroine tragiche perché compie il crimine più oscuro e inconcepibile: uccide i propri figli per vendicarsi del tradimento del marito Giasone. Non a caso il nome di Medea, che in greco significa scaltrezza, ora è accostato alla sindrome di Medea per indicare il dramma delle madri assassine.
Ora la Medea della tragedia di Euripide è diventata la donna simbolo della rivolta contro il patriarcato proprio in virtù del discorso femminista da lei pronunciato ante litteram che trova la propria climax nel rifiuto dell’accostamento “donna-maternità”:
Di tutte le creature che hanno anima e cervello, noi donne siamo le più infelici; per prima cosa dobbiamo, a peso d’oro, comprarci un marito, che diventa padrone del nostro corpo – e questo è il male peggiore. Ma c’è un rischio più grande: sarà buono o cattivo? Separarsi è un disonore per le donne, e rifiutare lo sposo è impossibile. […] Dicono che viviamo in casa, lontano dai pericoli, mentre loro vanno in guerra; che follia! È cento volte meglio imbracciare lo scudo piuttosto che partorire una volta sola.
È un personaggio che infrange molti tabù e spezza la concezione stessa di istinto materno come connaturato al genere femminile. Mentre Antigone accetta di mettere a repentaglio la propria vita in nome dei propri ideali, ecco che invece Medea sacrifica la vita altrui, ovvero quella dei figli, agisce anche lei oltre il limite della legge ma come assassina. La tragedia di Medea oggi è considerata un vero e proprio manifesto femminista, oggi il suo personaggio è un simbolo della lotta per il diritto di aborto.
3. Cassandra e la preveggenza
Cassandra, la sorella minore di Ettore, figlia di Priamo ed Ecuba, è diventata l’emblema della profetessa di sventure. Terribile la sua sorte: non solo lei, sacerdotessa del Dio Apollo, aveva previsto la fine di Troia e l’inganno architettato da Odisseo, ma il suo avvertimento è destinato a cadere nel vuoto. Le sue parole non verranno ascoltate e a lei spetta l’infausto destino di prevedere la rovina futura - una sorta di apocalisse - senza poter in alcun modo evitarla.
Mentre la città di Troia arde tra le fiamme, Cassandra, figlia del sovrano Priamo, si mette in salvo presso il tempio di Atena da dove osserva il terribile panorama, ma sarà stuprata, violentata da Aiace, infine diventerà il bottino di guerra del re Agamennone. Morirà nella casa del re di Micene, uccisa per mano di Clitemnestra e del suo amante Egisto, cadendo sotto i colpi di un’ascia davanti all’altare di Apollo.
Cassandra è l’emblema del coraggio: a lei spetta il dono della preveggenza - è un’indovina - quindi rappresenta “colei che sa, vede e presagisce”. La sua pena, però, è quella di non essere creduta. Tuttora viene ricordata per rappresentare il prototipo di donna scomoda, intellettuale o emarginata perché diversa o straniera.
4. Ifigenia e il sacrificio
Ifigenia, la figlia primogenita del re Agamennone, è considerata il simbolo del sacrificio. Sarà uccisa a tradimento dal padre, sacrificata agli Dei sopra un altare per propiziare la fine favorevole della guerra e consentire alla flotta, incagliata nel porto di Aulide, di partire alla volta di Troia.
Secondo una versione del mito, narrata da Eschilo nella tragedia Agamennone e anche da Lucrezio nel De Rerum Natura, Ifigenia fu uccisa per placare l’ira della dea Artemide su consiglio dell’indovino Calcante. Secondo altre versioni la fanciulla sarebbe stata sostituita all’ultimo minuto con una cerva. Nella versione della tragedia di Eschilo la morte di Ifigenia, attirata con l’inganno nel campo di guerra dal padre, sarà l’inizio dell’odio feroce di Clitemnestra, madre della giovane ingannata a sua volta, per il marito Agamennone.
Il sacrificio di Ifigenia nell’antichità Grecia simboleggiava il contrasto tra il bene familiare e il bene della comunità; oggi invece Ifigenia è divenuta il simbolo dell’obbedienza cieca alla religione a discapito delle leggi morali.
5. Elettra e la giustizia
Non meno interessante e controversa è la storia di Elettra, la matricida. Figlia di Agamennone e Clitemnestra, Elettra vendicherà la morte del padre portando il fratello Oreste all’uccisione dei suoi assassini, ovvero la madre Clitemnestra e il suo amante Egisto.
Sofocle ce la presenta come un personaggio sofferente, provato dai dolori che hanno afflitto la sua famiglia a partire dalla morte della sorella Ifigenia. È una figura inflessibile, proprio come Antigone, che agisce mossa dal proprio personale ideale di giustizia: quindi la morte della madre per vendicare il padre. Sarà lei a spingere il fratello Oreste all’atroce delitto, senza tuttavia macchiarsi le mani di sangue. La rappresentazione di Elettra realizzata da Euripide è invece diversa, perché ci viene mostrata come un personaggio rancoroso e accecato dal desiderio di vendetta: questa interpretazione oggi designa in psicologia il complesso di Elettra, di freudiana memoria, per designare la figlia che vede nella madre una rivale per il possesso del padre.
Nella tragedia di Sofocle invece Elettra è un personaggio complesso, attraversato da forti contraddizioni: nel finale rivendica il diritto alla memoria. La sua fermezza la trasforma in un’eroina solitaria ed eccezionale, pronta a sovvertire i valori del mondo in cui vive, proprio come Antigone:
E io sempre lo attendo, qui, instancabile; e senza figli, senza / sposo, mi aggiro, misera, per sempre,/ intrisa del mio pianto, io e la mia sorte/di mali, interminabile.
Ma paradossalmente Elettra sarà sconfitta proprio nella sua vittoria: sarà proprio la riuscita nel suo intento di vendetta, ovvero il matricidio, ad avverare la sua tragedia. Eppure lei rimane in piedi, trionfante, sulla scena.
Oggi il personaggio di Elettra viene giudicato interessante dal punto di vista narrativo, perché sembra incarnare la sofferenza senza scampo e diventa metafora di una condizione psichica. “Perché desideri soffrire?” domanda a un certo punto il coro a Elettra. Ma la sofferenza dell’eroina tragica è legata alla memoria e, dunque, ineliminabile proprio come il binomio vendetta/senso di colpa che attraversa la sua figura rendendola vittima e, al contempo, carnefice.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le 5 grandi donne protagoniste della tragedia greca: valori e simboli
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Festa della donna
Lascia il tuo commento