Erodoto fu definito da Cicerone come il pater historiae, ovvero il “padre della storia”. Lo storico greco, coetaneo di Sofocle, vissuto attorno al 485 a.C., può anche essere considerato il primo reporter dell’antichità come affermò, in una felice intuizione, il giornalista polacco Ryszard Kapuściński.
Erodoto di Alicarnasso è considerato l’autore della prima forma di storiografia della letteratura occidentale. Non è scorretto dire che la Storia, come la intendiamo noi oggi, ovvero una narrazione sequenziale - talvolta persino consequenziale - di fatti e avvenimenti passati, sia nata con Erodoto. L’aspetto più interessante è che Erodoto non scrisse le sue Storie, divise tra l’altro in nove libri, per i contemporanei, ma per i posteri: parlava del passato per spalancare la prospettiva del futuro, poiché sapeva che soltanto dissipando le ombre sui fatti che ci hanno preceduto permetteva di affrontare, senza indugi, il domani. Si firmava con il proprio nome e, al contrario di molti scrittori suoi contemporanei, non rivendicava alcun genere di ispirazione: il suo proposito non era tanto narrare, ma riportare la veridicità di quanto aveva visto e udito. Si affacciava così nell’antica Grecia una nuova idea di narrazione, molto distante dalla forma della poesia epica di Omero. L’autore titolò ogni libro delle sue Storie con il nome di una musa (i libri erano nove, così come nove erano le muse); eppure il proemio, l’invocazione iniziale che apriva il lungo racconto, non era indirizzata alle muse ma a sé stesso.
Nel prologo delle sue Storie, Erodoto si presentava così, in maniera molto cattedratica come se non stesse raccontando una storia, ma redigendo una testimonianza:
Erodoto di Alicarnasso espone qui il risultato delle sue ricerche storiche, perché delle cose avvenute da parte degli uomini non svanisca col tempo il ricordo.
Dunque, chi era Erodoto? Di fama lo conosciamo tutti, ormai assuefatti a quel binomio inscindibile “Erodoto-storico”, eppure forse in parte ignoriamo le ragioni che lo spinsero a essere tale, i suoi vezzi stilistici, le sue manie. Anziché scoprire le Storie di Erodoto, analizziamo più a fondo la storia di Erodoto.
Chi era Erodoto
Sappiamo che nacque ad Alicarnasso, in Asia Minore, motivo per cui è conosciuto come Erodoto di Alicarnasso, in virtù della sua origine. La sua nascita viene fatta risalire attorno al 485 a.C., quando il mondo da lui conosciuto era scosso e sconquassato dalle Guerre persiane. Pare che la famiglia di Erodoto, di nobili origini, fu coinvolta nei complotti clandestini per rovesciare il tiranno Lygdamis II (che fu il terzo tiranno di Alicarnasso dopo Artemisia).
Per questa ragione Erodoto e i suoi genitori - di cui conosciamo i nomi, il padre si chiamava Lyxes e la madre Dryò - furono costretti a un lungo esilio, fino a stabilirsi ad Atene dopo un travagliato peregrinare attraverso la Mesopotamia, l’Egitto, il Mar Nero.
La polis greca, ai tempi di Pericle, fu la patria acquisita dell’autore che in quell’atmosfera democratica caratterizzata dal periodo d’oro della città, poté strutturare, sviluppare e concepire le proprie opere. Si testimonia infatti che Erodoto fosse solito intrattenere i cittadini della polis con pubbliche letture delle sue Storie: cosicché la monumentale opera storiografica assume i connotati di un intrattenimento costante e persino educativo, una forma pedagogica e istruttiva di stimolazione intellettuale. Gli ateniesi ebbero quindi l’opportunità di scoprire l’opera di Erodoto nel suo farsi, direttamente puntata dopo puntata come in una moderna serie tv: la fruizione pubblica dell’opera di certo ne ha influenzato la struttura, infatti le Storie si caratterizzano per la qualità intrinseca della loro affabulazione. Erodoto narra “ciò che ha visto e sentito”, il motore primario della sua narrativa è la capacità di suscitare una curiosità costante nel lettore - o, a questo punto non è inesatto dirlo, “spettatore”.
Non è scorretto immaginare Erodoto come un oratore, al pari di Cicerone, oltre che uno storico: leggendo pubblicamente le sue Storie trasportava con sé gli ascoltatori nei suoi viaggi, alla scoperta di nuove popolazioni e culture, smussando in parte i pregiudizi culturali nei confronti dei cosiddetti “barbari”. Per Erodoto la parola “barbari” non assume un connotato dispregiativo: prima di chiunque altro lo storico greco aveva intuito che la paura nei confronti dello straniero derivava dalla mancata conoscenza dei suoi usi e abitudini. La paura nasceva dall’ignoranza, dunque da “ciò che non si conosce”. A muovere la trama delle Storie di Erodoto era invece un’inesausta e impagabile sete di conoscenza, una curiosità verso il mondo e le sue genti e, non da ultimo, ciò che i Greci chiamavano “gnome”, ovvero la riflessione critica sui dati raccolti.
Erodoto di Alicarnasso morì a Turi attorno al 430 a.C., la colonia panellenica della Magna Grecia fondata per volontà di Pericle sull’antica Sibari, proprio negli anni successivi alla Guerra del Peloponneso che infatti sarebbe stata narrata dal secondo grande storico dell’antichità, suo successore: Tucidide.
Alla sua morte Erodoto era ormai celebre; leggenda narra che la sua tomba, a Turi, fosse additata dai concittadini come un monumento, una delle glorie locali.
Differenze tra Erodoto e Tucidide
Il progetto storiografico di Tucidide potrebbe apparire consequenziale a quello di Erodoto, ma in realtà non è così: tra i due storici dell’antichità si impongono notevoli differenze. Innanzitutto, Erodoto effettua una narrazione ampia, episodica, ragionata degli eventi, giungendo a compilare una sorta di “storia universale”; mentre Tucidide, che fu anche generale ateniese, si concentra su un unico avvenimento, ovvero lo scontro tra ateniesi e spartani, meglio noto come La Guerra del Peloponneso.
La storiografia di Erodoto si caratterizza per la sua pluralità: analizza una vasta gamma di temi, aneddoti, racconti, talvolta anche miti e leggende, mentre Tucidide era più improntato a una narrazione razionale che indagasse il rapporto tra “causa ed effetto” in una catena di eventi. Questo si riflette anche nello stile: la prosa di Erodoto è ricca, ridondante, abbondante di figure retoriche, sontuosa (potremmo quasi definirla a posteriori “ciceroniana”); mentre lo stile di Tucidide è asciutto, conciso, essenziale, vi prevale l’approccio analitico e non il “piacere di raccontare”.
Inoltre una sostanziale differenza tra Tucidide ed Erodoto è data dalla loro visione: quella di Erodoto è internazionale, di ampio respiro, mentre quella di Tucidide è locale, settoriale, più ridotta. Se la narrativa storiografica di Erodoto si caratterizza per la grande conoscenza dei popoli, anticipando in parte discipline quali l’antropologia e la geografia; ecco che invece Tucidide narra un mondo più ristretto, concentrandosi sulla storia dei Greci e percependo gli stranieri come “barbari”, nel senso dispregiativo del termine.
Le “Storie” di Erodoto: temi e struttura
Link affiliato
Il primo libro delle Storie di Erodoto è dedicato a Clio, non a caso, la musa della Storia. Narra la sconfitta di Creso, re di Libia, per opera dei persiani e del suo successore Ciro che tenta la conquista di Babilonia.
Comincerò invece dall’indicare colui di cui so che fu il primo a far torto agli Elleni; e proseguirò poi nel racconto trattando di città piccole e grandi, degli uomini, senza far differenza: perché quelle che erano grandi in antico sono per lo più diventate piccole, e quelle che ai miei tempi erano grandi sono prima state piccole.
Sicché, conoscendo la perpetua incostanza del benessere umano, ricorderò le une e le altre senza far differenza.
Il secondo libro si concentra invece su Cambise, successore di Ciro, che conquista l’Egitto: in questa seconda sezione Erodoto ci fornisce un’attenta trattazione degli usi e costumi egiziani (lui stesso aveva vissuto in Egitto per circa quattro anni e ne era, dunque, conoscitore). I libri più importanti delle Storie di Erodoto sono quelli dedicati alle Guerre persiane, ovvero dal VI libro al IX. La grande narrazione storiografica dell’autore greco si conclude infatti con la presa di Sesto sull’Ellesponto, ovvero l’ultimo atto delle guerre persiane, la vittoria finale dei Greci.
Significativo a questo proposito che Erodoto per presentare la propria opera utilizzi la parola historia, che significa “ricerca”.
L’autore ha ben chiaro, sin dal principio, quale sia lo scopo del suo narrare: non intende celebrare imprese eroiche, ma raccontare i fatti perché la loro testimonianza sia, un giorno, utile ai posteri. Proprio in ragione di questa utilità Erodoto si premurò di non narrare la Storia dal punto di vista dei Greci, ma di adottare una prospettiva universale che tenesse conto di tutti i popoli.
Lo storico stesso definiva i suoi racconti logoi, ovvero “trattati”, ben consapevole di spalancare, con ciascuno dei suoi aneddoti, delle nuove prospettive. La concezione della Storia di Erodoto è fortemente umanistica: prima che storico era soprattutto un viaggiatore, un conoscitore di genti, che voleva soddisfare la propria curiosità riguardo le cose del mondo.
La novità della sua opera storiografica scaturiva proprio dal binomio dato dalla sua curiosità di viaggiatore, unita alla sua passione per l’indagine accurata degli eventi. Per questo motivo Kapuściński definì Erodoto il “primo reporter della Storia”: perché l’autore greco non si limitò a raccontare una sequela di fatti ponendoli in una narrazione di causa-effetto, ma si premurò di osservare con i propri occhi, di raccontare ciò che udiva e vedeva, di dare a ogni evento la certificazione di verità secondo una logica molto moderna. Viaggiava non per conquistare o sottomettere altri popoli, ma per conoscere più a fondo sé stesso. Aveva attraversato le barriere come un moderno esploratore per farsi portavoce di punti di vista variegati e scoprire culture, usanze, religioni: prima di tutti Erodoto aveva capito che la bellezza è nella differenza e che la vera Storia è storia di tutti i popoli, dunque universale. Nel primo libro delle Storie, formulando una sorta di dichiarazione dei tempi, l’autore si prefigge il compito di narrare degli uomini “senza far differenza”, perché la prima lezione che lo storico impara è che non ci sono né vincitori né vinti, tutto è incostante e tutto muta, soprattutto il “benessere umano”, coloro che un tempo trionfarono poi perirono e viceversa, in un ciclo continuo ed eterno. Non c’è una visione provvidenziale nella storiografia di Erodoto, come possiamo notare, ma un impulso tragico, quasi drammatico, secondo cui è il caso a guidare il destino degli uomini. Lo scopo era dunque fissare questi umani destini, prima che scomparissero, farne testimonianza e doverosa eredità.
Il più grande lascito che Erodoto, come storico, ci ha consegnato è proprio questo: non la narrazione spuria degli eventi, ma la fervida volontà di capire.
Sapeva che la Storia non era un messaggio rivolto al passato, anzi, comportava una lotta feroce contro l’oblio, la dimenticanza, quindi non era ombra ma splendore, un rosso sole dell’avvenire che sorgeva luminoso sul futuro.
Recensione del libro
Storie
di Erodoto
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Erodoto, colui che è ritenuto il “padre della storia”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Erodoto
Lascia il tuo commento