Rock poster 1940-2010. Il manifesto diventa arte
- Autore: Martina Esposito
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Il primo manifesto della storia del rock riproduce — in altro a destra — il volto di un cowboy con tanto di cappello calcato sulla testa. Non potrebbe essere altrimenti data la paternità dell’affiche: siamo in America nel 1946, e l’azienda a gestione familiare che provvede a stamparla si è occupata sin qui di pubblicizzare incontri di box e eventi fieristici. Il manifesto è d’impatto, ma il tratto grafico alquanto grezzo: sfondo rosso, scritte e ritratto del cantante stampigliati in bianco. Hank Williams, per chi non ne avesse mai sentito parlare “è uno smilzo countryman dell’Alabama”.
Di raffinatezza stilistica dunque non se ne parla, non per il momento. Per dirla tutta, siamo ancora lontanissimi dalle suggestioni evocative dei manifesti a venire di Genesis e Rolling Stones. Quando le cose cominciano a cambiare — ed è possibile parlare di vere e proprie “firme” al servizio del pop-rock — ci troviamo in piena psichedelia (anni Sessanta/Settanta): ne discenderanno colori sgargianti, “spazi affollati” e creatività “clamorosa”, come nel manifesto “Led Zeppelin United Tour” del ’71, per citarne uno con i connotati di emblema.
Non sono esperto in materia, spero vi siate fatti un’idea. Chi a buon diritto può dirsi invece “del ramo” è Martina Esposito. Grafica, illustratrice, docente, firma per Vololibero un saggio di impatto visivo e contenuto storico meritevoli. Si intitola Rock poster 1940-2010. Il manifesto diventa arte e, come da titolo, visita le stazioni attraverso cui passa il binomio musica e grafica pubblicitaria (concerti, festival): dal cowboy bicromatico da cui siamo partiti ai post-futuristici “Pearl Jam live at Roskilde” (2000) e “Alive 2006/2007” dei Daft punk. Un rapporto “visivo” e sonoro, in molti casi “storico” e indisgiungibile, come quelli tra l’ipnagogico studio Hypgnosis e i Pink Floyd, o tra il “situazionista” Jamie Reid e i Sex Pistols. Riduttivo parlare ormai soltanto di manifesti. Manifesti erano quelli dei tour anni Cinquanta di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis. Già con il “Bob Dylan live at Newport Folk Festival” (1965), il concerto del “grande affronto”, le cose cambiano. Per Dylan transitato dal folk al rock tra lo sconcerto dei fan, e per la grafica musicale che si consolida come d’autore.
“Il manifesto dell’evento, disegnato dall’artista Jonathan Shahan, esprime l’affronto di Dylan meglio di qualsiasi parola. La chitarra acustica, su cui Shahn concentra la sua narrazione, è per il folk un’arma intesa nell’accezione più alta del termine […] e barattare la sua sacralità in favore di un’assordante Stratocaster è davvero un affronto. Il rifiuto del folk verso il rock’n’roll era tale che l’episodio è passato alla storia con la definizione ben precisa di svolta elettrica”. (pag. 27)
Corredato da annotazioni storiche, immagini a colori e una postfazione dello storico del costume Matteo Guarnaccia, Rock poster chiarisce le idee ai fautori dell’arte “a compartimenti stagni”, a chi la pensa prerogativa museale, sorvolando sul fatto che un semplice (?) manifesto possa incarnare lo spirito di un live tour (ma anche di un disco, di un film), fino a concorrerne al successo.
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