Pura razza bastarda
- Autore: Paolo Grugni
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Laurana
- Anno di pubblicazione: 2018
Sciur commissari, la ghè on mort.
Accidenti, Sergio Malfatti non può nemmeno elaborare il lutto di un tragico derby stravinto dall’Inter sul suo Milan per 5 a 2, che richiamano la sua attenzione sul cadavere rinvenuto nel gabinetto della tribuna dello stadio di San Siro. È un romanzo che comincia col morto, il nuovo thriller di Paolo Grugni, “Pura razza bastarda”, edito a giugno da Laurana Editore, 603 pagine 18.50 euro.
Dopo un’escursione nella Germania del rimorso nazista e tra i delitti nel Bresciano, il milanesissimo autore torna alle vicende italiane degli anni ‘Anta, da dove aveva cominciato, con “L’odore acido di quei giorni” (Laurana, 2011 e 2017), ambientato nella Bologna della contestazione giovanile 1977.
Di Milano e dell’Italia egoista di oggi Grugni ne ha davvero abbastanza. È andato a vivere a Berlino, dove sta scrivendo un noir sulla DDR. Ma è a Milano ch’è ambientato il diario di Malfatti, che diventa il contenuto di questo romanzo, dal 28 marzo al 31 dicembre 1967.
A precisare i termini narrativi è lo stesso autore. In un brevissimo prologo, tiene a far dire al protagonista che questa è la storia di un commissario di Pubblica Sicurezza, cui è stato dato suo malgrado il compito di raccontare una storia molto più grande della sua. È quella dell’Italia, dal 1965 alla fine del suo incarico. Ci sarebbe perciò da attendersi uno o più sequel, evidentemente.
Malfatti assicura che leggeremo la verità, come l’ha vissuta ed appresa. Lo si voglia o no, le cose sono andate così come le racconta. Si tratta di grandi eventi collettivi del triennio che seguì agli anni del boom economico del nostro Paese, che aveva vissuto un’esperienza di apertura del governo democristiano (l’esecutivo Moro) al partito Socialista, dopo un eterno monocolore Dc dal 1948 al 1964. Nel tessuto del Nord industriale andava inserendosi qualche metastasi di mafia e i servizi segreti nazionali ed esteri preparavano la strategia della tensione, per arginare l’avanzata elettorale del Partito Comunista, negli anni in cui maturava l’affermazione dei movimenti giovanili, che sarebbe esplosa col ’68.
In tutto questo, ha un significato l’avventura che Paolo ha voluto inserire prima di avviare del racconto. Vi sostiene che il commissario è un personaggio di fantasia, come le famiglie mafiose che si contendono il controllo della città della Madunina. E fin qui niente di particolare. Ma quello che conta è “il resto”, che appartiene alla storia di un’Italia malata, oscura e criminale. Il romanzo è stato scritto alla luce di quanto emerso fino ad oggi sulla mafia e i suoi intrecci con la politica, l’eversione, la massoneria.
In molti si domandano come abbia fatto carriera nella Questura di Milano, ambiente piuttosto reazionario, uno che ha combattuto tra i partigiani delle Brigate comuniste e mantiene come bussola l’antifascismo.
Se lo domanda anche lui e non ha ancora trovato la risposta. Dopotutto sono tante le cose che non sa spiegarsi. Non riesce a capire come Gloria possa sentirsi attratta da un quarantacinquenne vent’anni più grande di lei e con un volto e aspetto fisico perfettamente coerenti col cognome: Malfatti.
Calza in testa un basco rosso, che ama quanto il Milan, oltre alla musica, alla lettura, al cinema. Non trascura uno sguardo alle trasmissioni televisive, allora irradiate da apparecchi con piccoli schermi di vetro spesso e grandi valvole e tubo catodico racchiusi in pesanti telai di legno.
È un tipo amaro il commissario, ma rispetta la legge, sebbene non sia altrettanto ligio alle regole, che interpreta a modo suo. Ripete spesso che un tutore dell’ordine deve dare di sé un’immagine di compostezza e serietà, sebbene anche il passato sportivo lo spinga all’azione: la carriera di pugile dilettante è stata vanificata da una mascella non proprio di ferro, però nella ligera, la malavita meneghina, non sono pochi ad avere assaggiato il suo gancio sinistro.
Certo, peggio di un cadavere allo stadio ci sono solo gli sfottò degli interisti, il giorno dopo il derby. La vittima è un quasi sessantenne catanese. Operaio, si legge sui documenti, ma questo contrasta col costoso orologio al polso e la grossa mazzetta di banconote nel portafogli. È stato avvelenato: stricnina.
Un terrone, come i tanti che hanno invaso Milano. I meridionali sono arrivati a fine anni Cinquanta come cavallette e la fanno da padroni, pronti a gonfiare le vene del colle alla minima contrarietà. Non bastassero il colorito e il fisico rozzo, sarebbe sufficiente l’atteggiamento di sfida a tradirli: davanti ad uno sbirro non scansano lo sguardo, restano calmi, si muovono con lentezza misurata. È proprio questo a insospettire Malfatti.
Altro che operaio alla Falk. Il morto era un assenteista cronico, con precedenti penali, vicino al clan Cannizzaro, che controlla il sud del capoluogo lombardo, mentre i Nano gestiscono il nord. Hanno trasformato la città in terra di conquista, coi gentili omaggi delle istituzioni, che li lasciano fare. Non mancano agganci perfino in Questura.
Malavita, mafia, politica, massoneria, corruzione, concussione, poteri deviati: la “Milano da bere” (e da spolpare) è alle viste. Con queste premesse, c’è da aspettarsi giorni di fuoco. Da non perdere.
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recensione molto bella.