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Storia della letteratura

“Prima del viaggio” di Eugenio Montale: la poesia sul vero significato del viaggiare

I preparativi per una vacanza diventano occasione per una riflessione esistenziale nella poesia di Eugenio Montale. Il poeta premio Nobel argutamente ci ricorda che il vero senso del viaggiare risiede nella “speranza di un imprevisto”, ciò che davvero emoziona e arricchisce l'animo. Non è forse anche il senso stesso del vivere?

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 07-06-2023
“Prima del viaggio” di Eugenio Montale: la poesia sul vero significato del viaggiare

“Un imprevisto è la sola speranza”, ci ricorda Eugenio Montale nella poesia Prima del viaggio, tratta dall’ultima sezione della raccolta Satura (Mondadori, 1971). Tipico del poeta ligure, del resto, inserire osservazioni morali nel cuore di una lirica che apparentemente sembra parlare di tutt’altro: le parole di Montale sono zampilli di luce nel buio, folgorazioni improvvise, che ci pongono “nel mezzo di una verità”. Per comprendere il senso di questa poesia montaliana dobbiamo partire proprio dalla frase posta nella strofa finale, l’affermazione che descrive l’importanza dell’imprevisto e apparentemente contraddice il senso dell’intero componimento, ma in realtà racchiude l’essenza del pensiero del poeta premio Nobel. Sembra che Montale ci stia parlando dei preparativi per una vacanza, elencando gli oggetti da mettere in valigia e appuntando orari e prenotazioni da non scordare, mentre - a una lettura più attenta - capiamo che sta dicendo ben altro, invitandoci, come di consueto, ad andare oltre la lettura letterale, a scrutare sotto la superficie dell’apparente eloquio verbale.

Il viaggio che ci descrive Eugenio Montale non è una vacanza, ma la vita, in cui a ben vedere la meta non conta, ma l’imprevisto svolge una funzione fondamentale.

Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.

“Prima del viaggio” di Eugenio Montale: testo

Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano
le guide Hachette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio s’informa
qualche amico o parente, si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un’occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla;

prima
del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. e tutto
è per il meglio e inutile.

E ora che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
ch’è una stoltezza dirselo.

“Prima del viaggio” di Eugenio Montale: analisi e commento

Le poesie raccolte in Satura sono le liriche dell’ultimo Montale scritte tra il 1962 e il 1970, contraddistinte da un tono colloquiale e dalla quasi totale assenza di rime. Il poeta le scrisse dopo la scomparsa della moglie Drusilla Tanzi, l’amata “Mosca” cui è dedicata Ho sceso dandoti il braccio, e in esse intreccia una profonda riflessione esistenziale che sembra porre l’uomo di fronte all’enigma insormontabile della morte. Il racconto spicciolo degli eventi della vita quotidiana diventa così per il poeta ligure il pretesto per descrivere “la realtà oltre a quello che si vede”.
Questa contestualizzazione è necessaria per comprendere il senso di Prima del viaggio che sin dalla prima strofa sembra richiamare la celeberrima Ho sceso dandoti il braccio, non a caso Montale cita:

le coincidenze, le soste, le pernottazioni

Che sono appunto descritte in Ho sceso dandoti il braccio come le cose che “più non occorrono”; chi conosce le poesie di Montale sa il valore di inutilità che il poeta attribuisce a queste necessità terrene, a questi obblighi dettati dalla vita sociale. Già dalla prima strofa dunque ci viene offerta una prima chiave di lettura dell’intera poesia.

Apparentemente ci vengono descritti i preparativi per una vacanza, ma già dalla seconda strofa - divisa dalla prima attraverso un enjambement - il tono di Montale cambia trasferendo il significato su un piano più astratto: i preparativi (che il poeta presenta senza rime ma con molteplici assonanze) lasciano spazio alle emozioni e alle riflessioni, alle attese sul viaggio in procinto di cominciare. In pochi versi si esprime l’ansia che giace in agguato, pronta a ghermire l’apparente tranquillità del viaggiatore organizzato che spunta dalla lista i preparativi da ultimare e scongiura persino l’eventualità catastrofica di un incidente aereo.

Infine ecco che, nella terza strofa, Montale ci mette nel “mezzo di una verità” come profetizzato nella poesia I limoni. Anche qui il poeta individua il “filo da disbrogliare” e si domanda:

E ora che ne sarà del mio viaggio?

È questo il momento in cui definitivamente comprendiamo che non sta parlando di una semplice vacanza, ma di un percorso esistenziale. Capiamo che Montale sta parlando della vita, nello specifico della sua vita. Il poeta negli ultimi versi amaramente riflette che ha trascorso più tempo a programmare e ordinare la propria esistenza che a viverla. La paura dell’ignoto, di un futuro diverso da come l’aveva programmato, gli è sempre stata d’ostacolo e ora ammonisce noi lettori a non fare altrettanto. Ci ricorda di non aver paura dell’imprevisto, perché è ciò che davvero dà senso all’esistenza umana, mentre sapere esattamente quel che accadrà toglie ogni senso al vivere. Per questo motivo afferma che:

L’imprevisto è la sola speranza

Una dichiarazione, in fondo, non molto diversa dal celeberrimo monito a non credere che la realtà “sia solo quella che si vede” contenuto in Ho sceso dandoti il braccio:

né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

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Affermando il valore dell’imprevisto Eugenio Montale ci mostra il vero senso del viaggio, che non è mai arrivare alla meta. Non sarà mai la meta lo scopo finale e chi lo crede sbaglia. Una lezione molto contemporanea che sembra sovvertire le logiche della nostra società della performance in cui tutti siamo ossessionati da obiettivi, scadenze e terrorizzati dall’idea di essere sempre in ritardo su tutto. Montale invece riafferma il senso oraziano del Carpe diem, l’importanza dell’“occasione propizia” che è transitoria, alterna e inafferrabile come la fortuna - e non può essere programmata, né prevista. I greci lo chiamavano “Kairos”, il “tempo propizio”, distinguendolo opportunamente da “Chronos”, il tempo inteso in ordine cronologico e sequenziale: la differenza tra i due risiedeva nel fatto che il primo aveva una valenza qualitativa, mentre il secondo soltanto quantitativa. C’era poi “Aion”, il “tempo eterno”. Ma la parte più interessante era data dal kairos, il tempo in cui “qualcosa di speciale accade”: possiamo trovare questa stessa distinzione in Montale, che affida alle Occasioni un’importanza peculiare, l’unico miraggio di salvezza nella totale disarmonia del mondo.

Il futuro che ci viene incontro come un vento nuovo, travolgente, ingovernabile, che spariglia le carte sul tavolo da gioco, è la sola speranza che rimane in una vita fatta altrimenti di noia e d’abitudine. Il senso ultimo, ci ricorda Montale come i migliori filosofi socratici, in fondo non sta in quel che “crediamo di sapere”, ma in quel che ancora non sappiamo. Questo il messaggio nella bottiglia che i versi del poeta Premio Nobel ci consegnano ancora intatto, traghettati dall’onda sempiterna del tempo.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Prima del viaggio” di Eugenio Montale: la poesia sul vero significato del viaggiare

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