La poesia intitolata “Ho sceso dandoti il braccio” è uno dei componimenti più noti dell’ultimo periodo della produzione di Eugenio Montale, con il quale il poeta, Premio Nobel per la Letteratura nel 1975, torna alla poesia dopo un lungo silenzio. Dopo la pubblicazione de “La Bufera e altro” (1956), infatti, Eugenio Montale sceglie la via del silenzio poetico: già da qualche anno (1948) si dedicava a quello che lui stesso definì il secondo mestiere, la prolifica attività di giornalista culturale e di critico musicale sul Corriere della sera e sul Corriere d’Informazione.
Anche questo dato biografico, apparentemente superfluo, dovrà essere tenuto in considerazione per comprendere il significato di Ho sceso dandoti il braccio e le scelte stilistiche che caratterizzano questo come altri componimenti di “Satura” (1971), la raccolta poetica nella quale la poesia che ci proponiamo di analizzare trova posto.
La parafrasi di Ho sceso dandoti il braccio può, infine, costituire il punto di partenza o una sezione della tesina che gli studenti delle scuole superiori sono chiamati a redigere in vista della prova orale dell’esame di maturità. In questo caso consigliamo di ponderare con attenzione una scelta del genere: l’ultima parte del Novecento, nella storia della letteratura come in altre discipline, è spesso affrontata ancora troppo superficialmente per fornire agli studenti tutti gli strumenti concettuali necessari per comprendere un periodo storico complesso e, per alcuni versi, ancora non concluso.
Ho sceso dandoti il braccio di Eugenio Montale: un’introduzione al testo
Come già anticipato sopra Ho sceso dandoti il braccio fa parte di “Satura” una delle ultime raccolte poetiche di Eugenio Montale che comprende le poesie scritte tra il 1962 e il 1970. “Satura” viene pubblicata per la prima volta da Mondadori nel 1971, con una struttura pressoché già definitiva, e consta di un prologo e di quattro sezioni: Xenia I e Xenia II, di quattordici componimenti ciascuno, e Satura I e Satura II, più numerose.
Ho sceso dandoti il braccio è uno xenion ovvero, in greco, un dono offerto agli amici e agli ospiti, già questa definizione è indicativa della svolta di poetica (ma non di ideologia) messa in atto da Montale dopo sette anni di silenzio: si abbassa lo stile e il tono che diventa decisamente prosaico e colloquiale, il pathos è accompagnato in modo più evidente dall’ironia. Anche l’evocazione di donne simboliche delle precedenti raccolte poetiche (l’esempio più emblematico è Clizia) lascia il posto a un’apertura alle memorie private e alla figura della Mosca, termine con il quale Montale, in molti componimenti precedenti, chiamava la moglie Drusilla Tanzi, alla quale sono dedicati i due cicli degli Xenia.
La poesia, ora, non funge più da sonda metafisica, rinuncia alla fulmineità rivelatoria e diventa un esercizio di annotazione diaristica dove Eugenio Montale, come ha acutamente notato Pier Vincenzo Mengaldo:
“anziché cancellare o introvertire le «occasioni» che lo sollecitano, le esplicita discorsivamente e quasi le spiattella, come nascondendo dietro di esse la propria vera personalità, o meglio alienandola in una serie di maschere”
Questa soluzione è dettata da un crescente scetticismo: la poesia e il poeta non riescono più a comunicare direttamente il proprio pensiero e le proprie posizioni concettuali, per questo scelgono di farlo per via obliqua, ricorrendo all’ironia e al distacco maturato in una dimensione e in un percorso interiore tutt’altro che semplici.
Anche questa colloquialità, questa prosaicità, questa ironia sono maschere dietro le quali si cela l’amarezza della disillusione e lo strazio provocato da una perdita personale, quella della moglie Drusilla Tanzi, consumatasi nel 1963, che costituisce l’occasione che dà luogo al componimento.
Ho sceso dandoti il braccio di Eugenio Montale: parafrasi del testo
Vediamo subito il testo del componimento poetico che poi andremo a analizzare:
“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue”.
Dal punto di vista metrico ci troviamo di fronte a dei versi liberi, una scelta molto comune ai poeti novecenteschi, nei quali è possibile individuare alcuni endecasillabi sciolti (vv. 5, 6 e 7).
Dal punto di vista fonetico e ritmico, sono presenti poche rime (crede/vede; due/tue) anche se è comunque presente una sapiente struttura interna: la ripresa dello stesso verso con una variante (vv. 1 e 8) evidenzia la bipartizione dell’intera strofe.
La musicalità è resa sia attraverso le assonanze (scale/offuscate, viaggio/braccio), deputate a creare degli echi fonici tra le parole chiave, sia attraverso le rime che legano gli ultimi versi delle due parti del componimento (crede/vede, due/tue), sia attraverso il ricorso a un linguaggio semplice e colloquiale.
Consideriamo, ora, nel dettaglio gli elementi notevoli dei singoli versi:
v. 1 = “dandoti”: il componimento è indirizzato alla moglie, Drusilla Tanzi, è da qui che nasce la colloquialità al quale è improntata tutta la poesia. “un milione di scale”: ricorrendo alla figura retorica dell’iperbole Eugenio Montale vuole sottolineare che il cammino accanto alla donna amata è stato molto lungo. “scale... gradino”: sono gli oggetti più comuni, le consuetudini più semplici e familiari, le occasioni meno degne di nota ad evocare i ricordi.
v. 3 = “breve/lungo”: ossimoro necessario per specificare che, anche se la vita passata assieme alla moglie è durata effettivamente molti anni, adesso che la donna è venuta a mancare, quello stesso tragitto sembra brevissimo. “viaggio”: è una metafora, piuttosto comune (anche qui è ravvisabile la colloquialità del linguaggio), per indicare al vita dell’uomo sulla terra; in questo caso, chiaramente, il termine è utilizzato per alludere alla vita di coppia trascorsa con la moglie.
v. 7 = “la realtà sia quella che si vede”: emerge qui la concezione dell’esistenza propria di Montale: la realtà non è quella che si vede con gli occhi, non sono gli eventi percepiti con i sensi, né gli impegni o le causalità (“coincidenze” e “prenotazioni”), né le insidie e le delusioni (“trappole” e “scorni”), ma un’esperienza che va al di là delle apparenze e rimane misteriosa per l’uomo.
v. 1/8 = “Ho sceso/Ho sceso”: attraverso l’anafora (figura retorica con la quale la stessa parola, o le stesse parole, sono ripetute per due o più volte, all’inizio di versi diversi) Montale vuole mostrare al lettore che il suo è un pensiero costante che torna facilmente e frequentemente alla mente, un pensiero prodotto da un dolore costante che non accenna a scemare.
v. 11 = “offuscate”: negli ultimi anni della sua vita Drusilla Tanzi soffriva di una forte miopia che l’aveva resa quasi cieca.
vv. 11-12 = “le sole vere pupille… erano le tue”: con questa metafora Montale ci fa capire che nonostante il disturbo agli occhi, la moglie vedeva meglio di lui la realtà vera, che non è quella apparente, quella visibile. Drusilla Tanzi, in altri termini, sapeva vivere nel reale, e capire le cose, molto meglio del poeta.
Il significato di Ho sceso dandoti il braccio di Eugenio Montale
Nella commossa e affettuosa rievocazione della moglie morta troviamo rappresentato alla perfezione lo stile di Eugenio Montale, semplice e sempre concentrato sulle vicende concrete della vita, associato in questo caso, a due temi di immensa portata, l’amore per la donna amata e la morte.
Tutti gli Xenia, in realtà, sono un’accorata rievocazione della Mosca: la moglie morta viene ricordata attraverso atti quotidiani, piccoli gesti, eventi che possono essere considerati memorabili solo nella storia privata di un uomo, avvenimenti che, in altri termini, perdono, ora, tutta la loro carica simbolica.
Eugenio Montale non ha alcun interesse a cantare il suo dolore alla maniera del “poeta laureato” per questo sceglie una colloquialità ammantata da un riserbo pudico, un tono dimesso inframezzato dall’ironia, che maschera un dolore difficilmente esprimibile, una assenza divenuta catastrofica.
Proprio perché immerso in una prospettiva che non ha più nulla di simbolico e diviene, invece, tutta prosaica, Eugenio Montale sceglie di rinnovare le forme e i moduli della sua precedente lirica: intavola un colloquio con un’ombra, si appella a una donna (che è stata) terrena e non ha nulla di salvifico e di metafisico (come la Clizia de “La Bufera”) ma è(ra) essenziale per il mantenimento del suo equilibrio.
Un’ultima notazione, ancora, sul tono narrativo, quotidiano, diaristico e prosaico che contraddistingue “Satura” e che è, chiaramente, mutuato dall’attività di pubblicista. Come ha giustamente notato, ancora, Pier Vincenzo Mengaldo, si tratta di un sintomo evidente di una mutata concezione della poesia. In “Satura” non troviamo più quell’idea - idea che si inserisce nell’alveo della grande tradizione simbolista e decadente -, pur declinata più razionalisticamente, di una poesia come folgorazione luminosa, come strumento rivelatore della verità; ci troviamo di fronte a una strada diversa, a una concezione più relativistica della poesia, intesa come strumento quotidiano e quasi immediato di osservazione e riflessione (come potrebbe essere, con le dovute differenze, il commento giornalistico), nella quale è possibili intravedere una figura privata del poeta come produttore di versi.
La poesia è molto nota e il suo verso iniziale è spesso ricordato anche sui social come fosse un aforisma. Di recente, durante il funerale del conduttore Luca Giurato, la moglie Daniela Vergara ha letto la poesia "Ho sceso, dandoti il braccio” di Montale come ultimo saluto al marito.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ho sceso dandoti il braccio” di Eugenio Montale: testo e parafrasi
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Eugenio Montale
Lascia il tuo commento