Pochi contro molti. Il conflitto politico nel XXI secolo
- Autore: Nadia Urbinati
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2020
“In un passato non molto remoto ma che sembra lontanissimo, si usava la categoria della “classe” per unificare bisogni e insoddisfazioni, progetti di riscatto e azione politica”, dichiara Nadia Urbinati nel volume Pochi contro Molti. Il conflitto politico nel XXI secolo (Laterza, 2020).
“Questa lettura sembra essere diventata inefficace e lontana non essendo più riconoscibile il nemico di classe in quanto collaboriamo sempre più con lui specie nelle relazioni economiche”.
Oggi l’insofferenza, il conflitto non si manifestano più nella contrapposizione politica tra chi è al potere e chi aspira ad averlo, ma con la manifestazione emotiva di tutti coloro che, ritenendosi portatori di bisogni insoddisfatti e la fatica quotidiana del vivere, manifestano disagio sociale, frustrati, indignati, arrabbiati, e rispondono emotivamente contro i “pochi” senza una strategia di lotta e una espressa volontà di mediare e contrattare.
Sono sentimenti morali, emozioni — come il grido “vergogna” — di chi il potere non ce l’ha che non sono sempre adatti a guidare il conflitto verso trattative e soluzioni pragmatiche. Quando ciò accade si parla di crisi della democrazia, persino di “agonia” o “morte”. Nell’età della fine dei conflitti di classe le relazioni tra le parti sociali si strutturano sulla paura, la democrazia si riduce a plebiscito e referendum, a sì/no su persone o cose e la relazione tra i “pochi” e i “molti” lascia poco spazio alla ricerca di mediazione, al conflitto.
La politica democratica tende a evitare che si formino classi separate, non rifiuta la leadership ma può essere aperta al rischio di aristocrazia e oligarchia, perché andare a votare comporta “eleggere” cioè discriminare tra eguali. A questo punto la distinzione tra i pochi “loro” e i molti “noi” non è facilmente camuffabile.
Nelle democrazie attuali la distanza tra chi sta dentro le istituzioni e chi sta fuori, l’unico modo che i “molti” hanno di far sentire la loro voce, è il numero, contro l’élite che inevitabilmente si è formata quando l’abbiamo votata.
Ecco che nel gioco del potere due sono i popoli che si confrontano, come nell’antica repubblica romana, con i “pochi” che cercavano il consenso nel foro e i “molti” che incutevano loro timore con la minaccia permanente della rivolta o di secessione.
Questa lettura penso possa applicarsi a quello che è successo con l’esplosione del movimento grillino, che interpretava la rabbia dei molti al grido di “vergogna” e “onestà” e facendo presa sull’emotività si scagliava contro la classe oligarchica dei “pochi” accusata di corruzione. Salvo poi, una volta entrati nei luoghi delle istituzioni, trasformarsi a loro volta in élite.
Oggi assistiamo a una sorta di apatia sociale col crescere dell’astensione elettorale, di fronte a partiti che si propongono quasi tutti con la stessa offerta politica e che basano la loro attrattiva essenzialmente su leader piuttosto che su programmi di governo alternativi.
Le forme di scontento una volta organizzate da partiti politici con progetti politici competitivi oggi sono lasciati all’iniziativa di singoli leader miopi che all’ideologia di un tempo hanno sostituito il soddisfacimento di bisogni materiali immediati per ottenere consenso “qui” e “ora”.
Con una volontà politica volatile e mossa dalle emozioni, i “molti” tendono a dare o togliere consenso anche senza neppure riuscire a fare i loro interessi.
Pochi contro molti. Il conflitto politico nel XXI secolo
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