Con soddisfazione trovo in edicola il libro magnifico del giornalista e scrittore Luigi Garlando Per questo mi chiamo Giovanni (BUR, collegato al "Corriere della sera", pp. 158) con un’intervista aggiornata a Maria Falcone, sorella del magistrato eroe che insieme a Paolo Borsellino e al generale Dalla Chiesa non è possibile dimenticare. Si tratta della trentasettesima edizione.
Il narratore è un bambino
Link affiliato
Molto è stato già detto su questo libro apprezzato, scritto come un romanzo. Ma vorrei aggiungere alcune considerazioni. La prima: Garlando fa parlare un bambino, nato lo stesso giorno della strage di Capaci; usa un linguaggio comprensibilissimo, adatto alla mentalità di un ragazzino di dieci anni. Per esempio paragona il pool antimafia creato da Giovanni Falcone ai tre moschettieri di Dumas, “Uno per tutti e tutti per uno”, cosa che sa destare il giusto e inesauribile entusiasmo in una mente giovane, che va educata ai valori intramontabili: la giustizia, il coraggio, la ricerca della verità, la fedeltà allo Stato di cui un funzionario si considera un servitore, fedeltà alla democrazia, compiuta fino all’estremo sacrificio di sé, fino alla morte, ben sapendo, da parte di Giovanni, che il rischio riguardava anche i suoi cari. La madre preoccupata per lui morirà di crepacuore prima del figlio. Lo scrittore afferma che i bambini comprendono benissimo le cose quanto gli adulti, basta parlare nel modo adeguato, usare il loro stesso loro linguaggio colorato e metaforico.
La mafia paragonata a un carciofo
Nel dialogo del padre, commerciante di giocattoli, con il figlio (la voce narrante), la mafia viene paragonata a un carciofo.
Le foglie sono tutte collegate tra loro, la sommità del carciofo nel linguaggio botanico si chiama "cosca", e cosche sono le famiglie e i clan mafiosi, strutturati in modo gerarchico: c’è un capo, un vicecapo, tre consiglieri, più sotto i capodecina, in fine i soldati o “picciotti”, gli esecutori. Sopra tutte le famiglie domina la “cupola”, che impone le regole a tutte le cosche.
Per scoprire tale struttura, Falcone si avvale dell’intelligenza da segugio del poliziotto Ninni, che riesce a strappare rivelazioni essenziali ai pentiti, in primis a don Masino, a cui la mafia aveva assassinato la famiglia per motivi di lotte intestine. È sempre Ninni a comprendere che è necessario indagare nei conti bancari degli affiliati a Cosa Nostra. Dopo il suo assassinio
"La metà dei poliziotti di Palermo chiede di abbandonare la Sicilia.›
‹Scappano?›
‹Vogliono andarsene a lavorare da un’altra parte. Chi non ha paura, dopo aver visto tutti i morti che il mostro ha lasciato per strada?›”
È il racconto da padre a figlio. Anche Giovanni ha, umanamente, paura, ma resta, forte come una roccia, fedele a ciò che considera la sua missione.
L’inversione dei valori nel linguaggio mafioso: una neolingua
Il secondo punto notevole da rilevare è l’inversione dei valori nel linguaggio mafioso. Si tratta proprio di una "neolingua" di tipo orwelliano: gli affiliati sono "uomini d’onore", mentre tutto il loro agire è disonorevole e spregevole. Nel loro giuramento dichiarano di difendere i deboli e le vedove, mentre al contrario estorsione, furto, omicidio, ricatto sono gli strumenti usati verso i deboli. Giungono perfino a strangolare un bambino figlio di un pentito, e poi a scioglierlo nell’acido dentro un bidone, in modo che il cadavere diventi introvabile; sparito il corpo del reato le prove diventano indimostrabili. L’omertà, parola derivata da uomo, la formula del silenzio "Nun lu saccio" diventa coraggio mentre è vigliaccheria.
Falcone, insieme a Paolo Borsellino, riesce a produrre un documentatissimo dossier di seicentomila pagine e porta in tribunale quattrocentosettantaquattro imputati. Cosa mai vista a Palermo. È il maxiprocesso, conclusosi con le condanne di tutti.
La corruzione delle istituzioni
Viene poi narrata la corruzione delle istituzioni, che Giovanni scalza con la sua condotta integerrima. Un magistrato collega lo avverte che "a Palermo non si deve scoprire nulla". L’andazzo era questo, il mostro penetra fino alle alte cariche pubbliche. L’ex sindaco Vito viene inquisito. Il nuovo sindaco Leoluca si schiera con Falcone, ma poi lo critica pesantemente e in modo ingiusto. La loro amicizia finisce.
Falcone lascia Palermo, dove ha troppi nemici, per Roma. Scopre che i tentacoli del mostro arrivano fin là. Decide di ritornare nella sua amata Sicilia.
La mafia indebolita progetta e mette in atto l’eccidio in cui morirà non solo Giovanni, ma la scorta e la fedele amata moglie Francesca. Giovanni Brusca, poi diventato un pentito per avere una riduzione di pena, è colui che ha sciolto il bimbo nell’acido e ora a distanza preme il bottone del detonatore il 23 maggio 1992, nel momento esatto in cui la macchina del magistrato passa nel punto dove sono stati collocati sotto l’asfalto, in un cunicolo, cinque quintali di tritolo. Strage ordinata dal capo dei capi, Totò Riina, morto nel 2017.
Il bambino comprende la lezione, sa che deve ribellarsi fermamente, e lo fa, in primo luogo al taglieggiatore Tonio, un compagno di classe che deruba tutti loro della "paghetta" usando un coltellino come arma. Il piccolo delinquente fa pure precipitare dalle scale un compagno non sottomesso, legandogli le stringhe delle scarpe con l’aiuto dei complici e spingendolo. Il ragazzino nella caduta si spezza un braccio, ma Tonio resta impunito perché anche la maestra "non ha visto". Poi le cose si sistemano secondo giustizia proprio grazie a Giovanni, che arriva a rivelare la verità dei fatti al preside.
Per questo mi chiamo Giovanni è un libro di grande lezione civile ed è stato adottato nelle scuole. L’autore ripete, in chiusura, una bellissima citazione di Giovanni Falcone:
"Gli uomini passano, le idee restano e camminano nelle gambe di altri uomini.”
Nel trentennale della morte di Giovanni Falcone, lo onoriamo.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Per questo mi chiamo Giovanni: ricordiamo Falcone a 30 anni dalla morte
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri BUR Libri in edicola Luigi Garlando
Ho apprezzato moltissimo questo libro, che ho letto in classe con i miei alunni di seconda superiore, diversi anni fa. E abbiamo poi discusso a lungo sulla mafia, sulla brutalità di cui è manifestazione e sul bullismo, che ripropone in piccolo le stesse modalità di sopraffazione e di vigliaccheria.