Oltre e un cielo in più
- Autore: Luca Sciortino
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2018
Mentre leggo il bel romanzo di Luca Sciortino, “Oltre e un cielo in più”, sottotitolato “Da una parte all’altra del mondo senza aereo” (Sperling & Kupfer, Milano, 2018), mi viene in mente un pensiero di Janouch. Si riferisce alla singolare e irripetibile verità di ciascuno, necessaria per vivere, che si trova junghianamente nell’anima e non si può ricevere né acquistare da alcuno. Si tratta di inabissarsi nelle intime profondità per scoprirla e non farla perire. È impossibile vivere senza di lei; anzi, può darsi che, a guisa del daimon - distributore di destini -, contenga di ciascuno la vita stessa.
È quanto succede al protagonista che, parlando in prima persona, coinvolge in un’ampia partecipazione emotiva. L’identità reale di costui è scarna: lo sappiamo giornalista con un dottorato in Filosofia e che nel luglio del 2016 aveva raggiunto la costa occidentale scozzese con l’intento di un riposo dalla vita accademica, per qualche giorno. Da tempo, inseguiva un sogno: andare verso l’ignoto per diventare se stesso. Egli si trova dunque nel bel mezzo di una esigenza interiore: quella di poter soddisfare il suo essere incompiuto. È l’ansia pirandelliana di libertà e di evasione che lo spinge a distaccarsi dalla quotidianità abitudinaria e a mettersi in viaggio senza un piano preciso. È il non-senso a impossessarsi di lui, a mettere in moto la fuga per ritrovarsi in altri mondi e in altre culture. Ecco il profilarsi di una nuova identità, di un altro io disposto a destrutturare il vecchio per riconfigurarsi. È il richiamo alla realizzazione personale verso Paesi sconosciuti a fare udire la propria voce: gli pone domande, lo induce a riflettere e la risposta non si fa attendere. Bisogna mettersi in viaggio, e senza aerei perché ci si possa davvero sentire a contatto diretto con il mondo. È il tour dei viaggiatori del Settecento l’archetipo operante che trova un’eco in lui. Lo interessano il contatto diretto con la terra, il “genius loci”, l’amore ancestrale per la natura, tutte dimensioni dell’anima mundi di Ermete Trimegisto e Platone: non un freddo agglomerato di atomi, ma i modi dello stare e di essere fra cielo e terra. Il demone interiore così lo sollecita ad altra visione della vita: una vita autentica davvero rispondente alla propria vocazione. Il cambiamento richiesto viene portato avanti senza tentennamenti; intanto un verso di Antonio Machado
“La strada la fai tu andando”
lo incita a proseguire, accogliendo anche i timori che inevitabilmente si accompagnano all’entusiasmo, tra cui l’angoscia di fallire.
La scrittura, tra cronaca diaristica e innervature esistenziali, fluisce limpida e trasparente come l’acqua sorgiva, sia nel prologo che nei sedici capitoli dell’opera, oltre all’epilogo, ciascuno dei quali è preceduto da un’epigrafe, recante pensieri di noti scrittori, significativamente anticipatrice dell’idea da svolgersi. La corredano ammalianti immagini fotografiche a colori unitamente ai brani che le commentano, ricavati dal narrato.
È l’inquietudine a spingerlo a questa sua ricerca su cui campeggia il legame tra natura e cultura, connotata quest’ultima dalla dignità dell’essere umano, a prescindere da ogni latitudine. Diversamente dalle descrizioni immaginarie come “La città del sole” di Tommaso Campanella o dei luoghi romanzeschi, ispirati a luoghi reali, di “Storia delle terre e dei luoghi leggendari”, dove Umberto Eco si occupa di “flussi di credenze”, quello di Luca Sciortino è un reportage in cui il piano della realtà interagisce con quello del sogno e viceversa. È qui la chiamata dell’anima che vuole la liberazione da una sorta di antica cecità:
“La prospettiva di mettermi in cammino, di conoscere, di imparare e, perché no, di disimparare, proiettava una luce intensa su tutto quantomi stava intorno”.
Lo scopo, al di là dei disagi, è quello di aprirgli orizzonti altri, di rivelargli chi effettivamente egli è. In tale ottica, il suo viaggio trova giustificazione e risposta non nella meta raggiunta ma nelle plurime esperienze compiute, tant’è che lo scrittore riporta a mo’ di introduzione la poesia Itaca di Costantino Kavafis. Da uomo in cammino egli ricerca la sua alba verso Oriente. Del resto, a un certo momento si legge:
“L’inizio di un viaggio è essere infedeli a quello che eravamo”.
Il cambiamento della propria personalità, dunque, è l’unica consapevolezza di cui si dispone. Aldo Carotenuto, noto psicologo, ne dà conferma:
“Nel trasformare la propria personalità una parte dell’essere viene uccisa, sacrificata, per permettere la rinascita. Bisogna abbandonare tutto ciò che si possiede, che si è raggiunto, ma che ormai non alimenta più la nostra anima, per lanciarsi verso nuovi orizzonti, per esplorare nuove possibilità di essere”.
Hanno il senso del morbido le descrizioni: lungi dall’indugiare a dettagli noiosamente prolissi, contagiano, fanno sperimentare sensazioni e gustare riflessioni sapienziali e pensieri colti che le inframmezzano. Anche i dialoghi si fanno interessanti: chiarificano, coagulano interessi e immagini, istruiscono. Questo di Luca Sciortino è un libro da accarezzare e da esplorare. La sua Itaca è l’orrore di dover tornare alla vita abituale, anche se si accorge di essere diventato un altro rispetto alla situazione iniziale:
“Ero più ricco di prima (...). I pastori delle steppe con l’arrivo della primavera si scrollano di dosso l’apatia dell’inverno e si mettono in cammino verso nuovi pascoli. Anche noi dobbiamo far sì che il viaggio sia possibile”.
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