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Recensioni di libri

Oliva Denaro di Viola Ardone

Einaudi Stile Libero, 2021 - Ispirato a un fatto di cronaca, l’ultimo romanzo di Viola Ardone è un omaggio alla presa di coscienza femminile che ha permesso alla donna di ottenere il suo posto nel mondo.

Maria Giovanna Bucolo Pubblicato il 28-10-2021
Oliva Denaro

Oliva Denaro

  • Autore: Viola Ardone
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2021

Il rapporto tra un padre e una figlia sa essere un foglio bianco: non si parla, non si sa. Si osservano i gesti, si assecondano, si negano, li si accompagna coi propri, si memorizzano e si ripetono quando non si è vicini per non sentirsi soli.
Il rapporto tra un padre e una figlia sa essere un’armonia nascosta: lo è quello tra Oliva bambina, ragazzina, donna, e suo padre, in Oliva Denaro di Viola Ardone (Einaudi Stile Libero, 2021).

Siamo in Sicilia, anni Sessanta. Una Sicilia arroccata su credenze e maldicenze – maleforbici – che vogliono la donna alzare la testa solo se sta accanto a un uomo.
Ispirato a un fatto di cronaca – la storia di Franca Viola, la prima donna a rinunciare al matrimonio riparatore e a denunciare il suo stupratore –, l’ultimo romanzo di Viola Ardone è un omaggio alla presa di coscienza femminile che ha permesso alla donna di ottenere il suo posto nel mondo, e all’uomo di compiere, forse, un mea culpa.
Sebbene non siano celati i riferimenti storici – vengono citate Nilde Iotti, la legge sul divorzio, quella sull’aborto, l’abrogazione della legge sul matrimonio riparatore e sul delitto d’onore –, la storia ha una sua identità letteraria che crea personaggi, relazioni e atmosfere irripetibili.

Come in Il treno dei bambini, anche in Oliva Denaro esiste una madre che non sa di coscienza civile e studi. A differenza dell’altra che parlava poco poiché la parola non era arte sua, la madre di Oliva parla tanto, ma per ripetere un repertorio di parole artefatte, adagi tramandati di madre in figlia e in madre, al ritmo di un rosario recitato a fior di labbra e occhi bassi. Parla tanto e più parla, più produce materia da esaminare e contestare.

Oliva e Cosimino sono gemelli, ma lui è maschio ed essere maschi in quegli anni significa nascere vincenti, mentre Oliva è nata già vecchia, destinata a ricami ipnotici e passeggiate mai solitarie, sotto scialli neri che non proteggono abbastanza. Cosimino invece può camminare da solo, può raccogliere lumache, può alzare la testa e parlare per via. Uno “scambio ferroviario” alla nascita, quello tra lei e il gemello, diabolico.

Il romanzo è disseminato di personaggi-tipi, un campionario umano portabandiera di forza fisica, ipocrisia, silenzio, abitudine alla sottomissione. Ci sono le compagne di scuola, quelle zitelle e quelle già promesse in moglie a un’età che ancora confonde i giochi con l’alcova; c’è la gente del paese, le maleforbici da cui guardarsi, non sia mai Iddio!; c’è pure la perpetua, messaggera di raccomandazioni cortigiane e moraliste.
E ci sono loro, gli uomini a testa alta, ancor più alta se a camminare è una donna da sola, preda facile.

La ricerca linguistica operata dall’autrice ben si presta a riprodurre il confabulare clandestino del paese: la sintassi è per lo più precipitosa, colloquiale, ricca di coordinate e subordinate accostate tra loro a perdifiato significanti del pensiero bigotto e moralista dei paesani, dei loro giudizi sommari, privi di argomentazione.

Sul campionario immobile di tipi stereotipati si stagliano le figure di rivolta: la protagonista Oliva, l’amica Liliana intrisa di coscienza civile militante, la maestra Rosaria dai riccioli ribelli e il rosso scarlatto alle unghie e l’arma della cultura.
E Saro, amico d’infanzia, maschio claudicante che fa la differenza, come se quel difetto fisico fosse l’elemento di deviazione – il click spitzeriano – dalla miopia di genere.

Anche il padre silente svetta: non saprà fornire la cultura libresca a sua figlia, non ne è in grado, lui contadino, ma una mano che l’accompagna nelle scelte di donna libera è costante in tutta la vicenda. Il silenzio di quest’uomo racconta di pazienza agreste, gesti lenti e ripetuti, sguardi lunghi privi di risposte nette.
Un padre smarrito a volte, incapace di portare a termine reazioni di rivolta per eccessivo amore imploso, o per saggezza acquisita con l’esperienza.
Un padre alle volte bambino nello sguardo rivolto alla figlia – non c’è scritto, nel libro, ma il ritratto che ne esce è anche questo –, struggente, disorientato da un coraggio filiale al quale non è abituato, ma che è pronto ad accogliere.
E sarà la mano di questo padre a sorreggere Oliva quando un tacco rotto le impedirà di camminare. Il tacco: l’asta della ribellione. La getta per terra, per sollevarla in alto.

Piace pensare che sia stato proprio quell’accidente femminile a cambiare l’ordine prestabilito delle cose, uno scatto stonato di tacco adolescente, una nota fuori pentagramma a risvegliare la coscienza sino allora repressa di una ragazzina siciliana di fine anni Sessanta.
La ripetizione disseminata della frase "Io non sono favorevole a…", pronunciata in modo silente da padre e figlia, tesse un dialogo muto tra loro: in mezzo a obblighi e divieti è l’unica arma di dissenso che essi possiedono, il solo spuntone al quale aggrapparsi su una parete a strapiombo.
A fine lettura essa disegna un filo rosso continuo, un leit motiv messaggero di quella loro armonia nascosta che nelle ultime pagine confluirà in un amabile dialogo in absenthia.

Il ricorso alla figura di un padre contadino che sa rispondere agli eventi solo per similitudini con la terra, le piante da dissetare, le bestie da accudire, ricorda il buon fratello dannunziano, quel Federico Hermil contadino, dai gesti santificati dalle semenze, i sani principi e il rapporto armonioso con la natura, capace di illuminare – seppur brevemente – di buon senso il cinico fratello Tullio, proprietario terriero senza l’afflato della terra.
La terra: le sue piante, le bestie, i ritmi stagionali, tornano spesso nei romanzi corali e si fanno personaggi anch’essi, sostegno e parola di chi ne è privo.

Come lentamente prendono forma le immagini delle fotografie nella camera oscura di Liliana, così gradualmente nella coscienza di una madre avviene il cambiamento: è in uno sguardo non più basso, in una mano stretta con cura, in un abbraccio lungo, e infine con la parola: tu sei sempre stata pulita.

Per contro la componente maschile fa da frizione al cambiamento storico e personale in atto: l’impunito seguita a non capire, Cosimino chiede il parere della gente, dimostrandosi anch’egli ostaggio della fissità maschile. Solo il padre e l’amico Saro sanno attendere – e accogliere – il cambiamento.
Tuttavia, non c’è sentenza, né condanna nello sguardo di Oliva: tutti sono vittime della cecità storica. Ora lei ne è al di sopra, è fiera, è alta, il tacco è riparato.
E nel cambiamento ha portato la madre, le compagne maritate bambine e pentite, i figli ancora infanti di quegli adulti che non capiscono l’interrogativo di una donna: e io, chi sono?
Accanto a lei, un padre.
Buona lettura.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Oliva Denaro

  • Altri libri di Viola Ardone
Il treno dei bambini
Ricetta del cuore in subbuglio

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