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Recensioni di libri

Niente caffè per Spinoza di Alice Cappagli

Einaudi, 2019 - Un romanzo che svela con leggerezza come la filosofia non sia la distante prerogativa di pochi eletti, ma uno spazio aperto di discussione e di condivisione anche a partire dalle vicissitudini quotidiane.

Sara Daini Pubblicato il 21-05-2021

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Niente caffè per Spinoza

Niente caffè per Spinoza

  • Autore: Alice Cappagli
  • Genere: Filosofia e Sociologia
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2019

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Per Maria Vittoria la mancanza di un impiego è diventata un peso, soprattutto da quando si è resa conto di essere ingabbiata in un matrimonio che sembra “una capannuccia fatta con gli stuzzicadenti”. Ha tollerato le continue umiliazioni da parte del marito, aggravate dall’incapacità della suocera di ammettere le carenze del figlio e dall’indifferenza della madre ai suoi problemi. Il limite di sopportazione è stato oltrepassato e il ritorno all’indipendenza economica è per Marvi – così la chiamano tutti – così urgente da farle accettare senza pensarci su il lavoro che le viene proposto al centro per l’impiego: Luciano Farnesi, professore di filosofia in pensione e non vedente, ha bisogno di una persona che lo aiuti in casa, ma che soprattutto sia in grado di leggere al posto suo.

Niente caffè per Spinoza (Einaudi, 2019) si apre con il caos della casa del Professore, di tutt’altro tipo rispetto a quello della vita della sua badante. Se lei è abituata alla rassicurazione data da un certo ordine esteriore, a lui interessa la ricerca di un ordine tutto interiore: non fa caso alle porte che sbattono, al pavimento pieno di sabbia e men che meno alle scarpe di un colore diverso dall’altro. Il Professore possiede una vivacità intellettuale che lo fa sembrare molto più giovane della sua età e ripone nella giovane una fiducia che nessuno le ha mai manifestato. Può sembrare che abbia dei modi un po’ burberi, ma col tempo si aprirà e le svelerà aspetti del suo passato che pochissimi conoscono.

Maria Vittoria non ha mai avuto una particolare confidenza con la filosofia, tanto che a momenti rischia di gettare via il Manuale di Epitteto insieme alle pubblicità. Legge a Farnesi brani da Pascal, Sant’Agostino, Epicuro e Seneca, lo ascolta commentare i fatti del giorno insieme ai suoi amici, lo sente infervorarsi sulle grandi questioni irrisolte dell’umanità insieme agli ex allievi che lo vengono a trovare. Scopre che “un libro di per sé non è nulla se non trova qualcuno che lo fa vivere nella lettura”: la cultura è tutto fuorché silenzio e distacco, si nutre del dialogo e dell’incontro.

Il Professore ha un tipo di consapevolezza diverso, derivante dall’esperienza ancor prima che dagli studi: la filosofia, sebbene possa far poco per alleviare il dolore fisico e il peso dei rimpianti, è per lui uno strumento determinante per accettarli e rielaborarli. Anche i membri della sua famiglia non si lasciano comprendere e vanno accolti così come sono: è il caso di Elisa, la figlia sfuggente e complicata il cui lavoro di violista la porta spesso lontana. Quel che può fare con lei è ascoltarla suonare, vederla anche senza l’uso della vista, esserci.

“Quella musica gli ricordava qualcosa, forse, o forse sentiva il bisogno di registrarla in qualche angolo della memoria come una riserva a cui attingere. Elisa mi aveva detto che a suo tempo, quando ancora ci vedeva, aveva fatto scorta di luce per quando sarebbe arrivato il buio, magari adesso la stava facendo di musica. Ci sono cose che si possono surgelare come i fagiolini freschi, o le triglie. Ma con le cose immateriali ci vuole ben altro che il surgelatore”.

In questo romanzo la filosofia smette di essere inaccessibile e astratta. Un certo Socrate insegnava già che il più delle volte l’essenza dei concetti viene colta dalle persone più semplici: allo stesso modo Maria Vittoria sa di non sapere ed è convinta che le sue conoscenze siano circoscritte alla cura della casa e al prezzo delle verdure al mercato. Eppure è in grado di rivedere le proprie scelte, cosa non da tutti, e prende delle decisioni totalmente nuove con una saggezza innata: non le occorre diventare un’altra persona, le basta diventare se stessa. Il Professore ha il grande merito di aver tirato fuori la sua essenza sopita.

“Sembrava che si distaccasse dalle cose, in un modo più amaro e sofferto di quello delle Oblate. Le uniche cose di cui pareva non stancarsi erano i luoghi della mente, e il ricordo di qualche posto in cui conservava un’immagine sua”.

Come se fosse un vero e proprio personaggio, Livorno svolge una funzione precisa nel percorso dei due protagonisti: se l’una impara a riconoscersi nel territorio in cui è cresciuta, l’altro ripercorre determinati luoghi tramite la memoria e se ne distacca da buon filosofo che sta per congedarsi dalle cose degli uomini.
Si arriva a seguire con affetto i destini opposti del Professore e di Maria Vittoria, i quali fanno venire in mente persone che abbiamo conosciuto o che vorremmo avere la possibilità di incontrare. In Niente caffè per Spinoza si alternano pensosità e ilarità, malinconia e slancio verso il futuro, lentezza del ragionamento e rapidità con cui si susseguono gli eventi della vita: ciò che rimane costante è l’esercizio del filosofare applicato alle circostanze che intercorrono tra la (ri)nascita e l’istante in cui dobbiamo lasciare questa terra.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Niente caffè per Spinoza

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