

Nel nome della pietra
- Autore: Cristina S. Fantini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2020
Conosciamo in tanti Adele Vieri Castellano, autrice apprezzata di brillante narrativa storica, di genere romance, come la fortunata serie Roma Caput Mundi: storia, passione e suspance, sapientemente miscelati. Contrordine però, perché in effetti AVC non esiste o, meglio, si chiama Cristina Fantini e per Piemme ha finalmente debuttato col suo nome, pubblicando a marzo 2020 un romanzo storico, Nel nome della pietra (544 pagine), ambientato questa volta a Milano, la sua città d’adozione: è nata negli anni Sessanta e dopo un periodo in Francia si è trasferita sotto la Madunina, dove vive tra libri, gatti e tanti progetti da realizzare.
Se Adele è prolifica – ben quindici i titoli firmati con lo pseudonimo ispirato dal nome e cognome della bisnonna ligure coeva di Garibaldi – Cristina è al primo romanzo con la sua identità. Primo e ottimo, d’altra parte il valore della scrittrice è stato ampiamente dimostrato sotto l’elegante nome de plume.
Dall’antica Roma della Castellano alla Milano bassomedievale: un salto non breve nel tempo, ma quanto mai agevole, grazie a una prosa evoluta e fluida.
Fine 1300. È in piena attività la Fabbrica del Duomo, che sostituirà alla vecchia cattedrale di Santa Maria Maggiore un’autentica meraviglia, un edificio religioso che dovrà essere il vanto di una Signoria ducale che sta crescendo prospera e potente.
“Farò grande Milano e sarò grande anch’io”: Gian Galeazzo è certo del suo destino. Figlio e nipote dei fratelli Visconti co-reggenti, ama la città e vuole riempirla di case opulente e di chiese imponenti, come Firenze, Parigi, Colonia. Il campanile della nuova cattedrale si dovrà scorgere da grande distanza. Dedicherà il Duomo alla Beata Vergine, per ottenerne la benevolenza. È convinto che chi domina Milano controlla tutto il nord. Sarà il primo Duca, nel 1395.
Ma questo più avanti, perché intanto lo conosciamo venticinquenne, uomo d’armi e di preda, cacciatore di fantesche e ragazze del popolo. Il padre e lo zio pretendono tanto dagli eredi della casata, ma non si aspettano molto da lui, che ai loro occhi sembra un debosciato e minaccia di non tenere fede agli impegni gravosi per assicurare la grandezza della famiglia viscontea, che ha per simbolo un serpente, el bissun in dialetto locale, il biscione.
Sconfitto un saraceno, che sullo scudo sfoggiava un serpente con un bambino tra i denti aguzzi, Ottone Visconti aveva voluto adottare quello stemma, sostituendolo al proprio, più ermetico: sette ghirlande, a indicare che con un colpo di spada poteva atterrare sette avversari.
Per Gian Galeazzo non è facile superare la concorrenza dei cugini e realizzare il futuro politico principesco che cerca di spianare con le sue mosse accorte. Non è questione solo di attitudini, capacità e coraggio, serve anche fortuna. Se la vita non è facile per lui, non è agevole per nessuno dei tanti personaggi di un romanzo corale, secondo i canoni del Castellano-Fantoni style.
Si prenda la vicenda dei gemelli Pietro e Alberto da Carona, nati senza saperlo da Marco Solari, abilissimo scultore, e da Costanza, nipote del maestro di questi, l’ingegnere Marco Frisone. Sono cresciuti separati e li unirà l’operato di chi ha fatto di tutto per la loro sopravvivenza. Fosse stato per i nonni non sarebbero nati, ma la gravidanza di quella “svergognata” della madre nubile era troppo avanzata e l’aborto le sarebbe stato fatale.
Marchetto e Costanza s’erano innamorati a prima vista e uniti in un momento di confusione. Lei, per un equivoco, era convinta che il ragazzo l’avesse già chiesta in sposa, perché in casa sentiva parlare di un prossimo doppio matrimonio, della sorella e suo. Invece, era stata promessa dal padre a un mercante comasco di lana.
A porre rimedio, facendosi carico dei piccoli ma lasciando credere al povero Marchetto che la ragazza fosse perita in un incidente, provvede lo zio di Costanza, un frate, che porta la ragazza in un convento milanese, dove prenderà i voti e sarà Suor Addolorata. I bambini, uno biondino l’altro castano, ma entrambi con gli occhi azzurri come il cielo, entrano nello Spedale di Brolio, un grande orfanotrofio gestito da monache.
Dato in adozione a Castelseprio, Alberto diventa uno straordinario artista del legno. Pietro è allevato in incognito a Campione, nel monastero benedettino dello zio, che lo affida ai buoni frati amanuensi e miniaturisti perché lo rendano edotto delle pratiche della scrittura e del disegno. In breve il ragazzo li supera tutti, eccelle, ha le mani d’oro.
Si aggiungono in tanti e tante: Aima, la bellissima ex schiava venduta nei mercati; Marta, generosa benefattrice; la cantante Matilde, i mercanti veneziani Matteo e Lunardo Solomon. Si assiste alla scalata al potere di Gian Galeazzo che piega lo zio Bernabò Visconti e i suoi figli, seguendo i consigli di Jacopo Dal Verme e di Giacomo da Gonzaga. Accanto al futuro Duca si muovono le donne, sue e di altri, un gineceo di figure femminili di vario carattere, credibili e vive - come Adele ha dimostrato e Cristina conferma di saper gestire alla grande - e soprattutto capaci di fare innamorare, piangere, sorridere, sdegnare e coinvolgere i lettori, specialmente le lettrici.
I gemelli saranno artefici della grande Fabbrica, una cattedrale cristiana senza paragoni, un’enorme croce latina piantata sulla terra, a maggior gloria di Dio. Compare anche la peste, il morbo che falciò un terzo della popolazione europea. Leggerne non sarà di consolazione, di questi tempi, ma il resto del romanzo è oro.

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