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Recensioni di libri

Mimi siciliani di Francesco Lanza

“Mimi siciliani” è un’opera in cui il regionalismo si apre alla parola del letterato, nutrito dall’esperienza rondesca, che si compiace nel raccontare storie dal gusto malizioso e ridanciano.

Federico Guastella
Federico Guastella Pubblicato il 14-04-2020

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Mimi siciliani

Mimi siciliani

  • Autore: Francesco Lanza
  • Genere: Raccolte di racconti
  • Categoria: Narrativa Italiana

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Che i proverbi abbiano dato luogo ai racconti popolari è una convinzione che Sciascia manifesta, analizzando la sapida valenza antropologica di Francesco Lanza, nato a Valguarnera nel 1897 e ivi morto nel 1933 a trentasei anni non compiuti.
Il suo approccio con questo scrittore siciliano parte da lontano. Egli rievoca il dipinto a olio su tavola di Peter Bruegel il Vecchio che ha per titolo i Dodici proverbi.

L’annotazione ha il gusto del dettaglio sulle scene in cui agisce una “folle kermesse”:

“C’è una donna giovane e formosa, vestita di rosso, che con espressione di malizia nel volto, in contrasto col gesto che è di amorosa premura, assicura sulla testa e sulle spalle di uomo avanti negli anni, e cadente, un mantello azzurro...”.

Gli viene in aiuto il Cocchiara, studioso insigne di tradizioni popolari:

“dice che effettivamente si usava nei Paesi Bassi imporre il manto azzurro al marito tradito".

Il collegamento con Lanza è così trovato nel modo più inconsueto. I suoi Mimi, l’opera più prestigiosa, apparvero fra il 1923 ed il 1927: un affresco potremmo dirli della società contadina e paesana che lui, nativo di Valguarnera (in Sicilia), fa con il gusto elegante della parola letteraria.
Il suggerimento di intitolarli così gli era venuto da Ardengo Soffici, che sicuramente aveva in mente i Mimi di Eroda, quando invece Lanza pensava di dare alle sue narrazioni il titolo Storie di Nino Scardino, attribuendole cioè a un cantastorie popolano per l’amore alla propria terra e alla lingua siciliana di cui abbondano numerosi termini e prestiti morfo-sintattici.

Sono brevi racconti anche di quattro o cinque righe (La ragusana, Il piazzese, Il troinese alla fiera, Il calabrese), frammenti in cui l’arguzia contadina diventa satira tagliente.
Quasi comici i personaggi che, tra il mordace e il faceto, mettono a nudo il loro senso morale della vita in una realtà di ristrettezze economiche.

Affiorano anche i campanilismi tra paesi e paesi, abbastanza diffusi allora in Sicilia. Li ascoltavo da ragazzino, i modi di dire che mettevano alla berlina certi comportamenti che connotavano gli abitanti di diverse cittadine. Del resto, Sciascia sia nelle Parrocchie che nel racconto Reversibilità riferisce la rivalità tra due paesi limitrofi: il suo, Racalmuto, e il paese viciniore Grotte.

Non sono assenti nei Mimi abbandoni erotici e ridanciani della tradizione orale studiata dal Pitrè, che si riferisce ad aneddoti, a burle, a motti di spirito più o meno vivaci. Il manto azzurro di Bruguel è immediatamente collegato al mimo intitolato Il cappuccio a pizzo, dove si parla del bando di re Guglielmo recante una insolita disposizione:

“chi è becco deve mettersi il cappuccio a pizzo per non far succedere confusioni. E chi non se lo mette, c’è la pena della testa e cent’onze di multe”.

Nasce lo scompiglio nelle case: la moglie in un primo tempo nega di aver tradito il marito, poi cede con una battuta ambigua: se non rivela apertamente il tradimento, con finezza lo fa intendere:

"Sentite, marito mio, per il sì e per il no mettetevelo anche voi il cappuccio a pizzo, e così leviamo l’occasione".

Evidenziato a Sciascia da Prezzolini nel 1952, il buon regionalismo dei Mimi appare accettabile se inteso in un fenomeno europeo della prosa d’arte ed egli così, chiamandolo “libertino” nel senso originario di “colui che pensa liberamente”, può parlare di Lanza come scrittore vivo e vitale, corposo e godibile, beffardo e irriverente, ironico e pieno di contrasti.

Prevalente dunque la dabbenaggine dei personaggi: l’autore si diverte a rappresentarla e si potrebbe citare il caso delle “minchie” seminate dal piazzese (di Piazza Armerina), in cui San Pietro si fa complice sulla base dell’utile e si mostra in una religiosità capovolta. Sacrilega, specificamente:

"San Pietro passava per un campo e chiese al villano: cosa stai seminando? E quello, spiritoso e irriverente: minchie".

Da lui benedette, divengono poi rigogliose al punto da essere

"lo spasso delle vedove, delle vergini e delle maritate, cui una sola non bastava più".

Come non avvertire la presenza della piccante atmosfera boccaccesca? La narrazione è rapida, intrigante, e i dialoghi vivacissimi racchiudono doppi sensi e metafore oscene.
Coglie il bersaglio Sciascia quando alla fine del saggio scrive:

"La commedia erotica siciliana comincia coi Mimi e coi racconti di Lanza. E non staremo a ricordare quei mimi in cui si agita il gallismo, che tra l’altro sono i più; ma teniamo a ricordare quel racconto, tra i più perfetti, tra i più vivi della letteratura italiana contemporanea, che s’intitola Re porco. E che Lanza abbia avuto una certa influenza, oltre che nello scoprire all’autore del Don Giovanni in Sicilia la dimensione della Sicilia erotica, anche nella formazione della sua lingua e del suo stile, pare di poterlo affermare fondatamente. E anche certi squarci, tagli, certe tenerezze e malinconie che affiorano a contrasto dell’erotismo più acceso, sono di Lanza prima che di Brancati. E non è poi un caso che una battuta del mimo intitolato Lu ma faccia da epigrafe a quel capitolo del Bell’Antonio in cui esplode il fierissimo caso da Sacra Rota in cui Antonio Mangano, la sua famiglia, la sua parentela precipitano fino all’annientamento".

La leggerezza e l’eleganza della scrittura affascinano la tessitura di Lanza ed è il piacere della lettura ad avvincere il lettore, il quale interagisce con le fantasie, con i vizi, con i miti di un “mondo alla rovescia”: quello dell’ingenuo candore che stempera l’aspro contesto contadino.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Mimi siciliani

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