Mia madre aveva una Cinquecento gialla
- Autore: Enrica Ferrara
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2024
La Fazi Editore pubblica nella Collana “Le strade”, Mia madre aveva una Cinquecento gialla (2024), romanzo d’esordio di Enrica Ferrara, nata a Napoli, residente a Dublino da oltre vent’anni, che ha pubblicato numerosi saggi su letteratura e cinema, in particolare su Italo Calvino, Elena Ferrante, Natalia Ginzburg, Pier Paolo Pasolini e Domenico Starnone. L’autrice lavora al Trinity College e collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Dublino.
“Mia madre aveva una Fiat Cinquecento gialla. Adesso non c’è più e non so nemmeno se ne facciano ancora”.
Ciascuno di noi, se ripensa alla propria infanzia e adolescenza, prende come punto di riferimento un oggetto cult, che ha caratterizzato quel periodo irripetibile. Per Gina, protagonista di questa convincente opera prima, è una Cinquecento gialla, che sua madre Sofia negli anni Ottanta guidava destreggiandosi nel caotico traffico di Napoli, con i motorini che sbucavano davanti dal nulla e i passanti che solcavano l’asfalto accidentato come se fossero invulnerabili e invisibili. Sofia era alta, bella e forte quando usciva da quella macchina piccola piccola e ogni volta che la guidava pareva avesse affrontato una tempesta in mare.
Il padre di Gina e di sua sorella maggiore Betta, Mario Carafa, invece possedeva un’Alfetta blu, auto immensa, la macchina dei camorristi, almeno secondo Sofia, che conteneva i suoi novanta chili di uomo meridionale, dirigente di banca prestato alla politica, militante nella Democrazia Cristiana. Era fantastico per le bambine andare in macchina con “Papaone” e fare il gioco delle “marce”, un gioco bellissimo, perché sembrava di correre e correre e arrivare in paradiso senza freni.
La cosa curiosa è che solo nell’Alfetta di papà si poteva arrivare alla quinta, nella Cinquecento gialla di marce ce n’erano solo quattro. L’infanzia di Gina e Betta era terminata all’improvviso quando, nell’estate del 1980 “Papaone” era stato costretto, per salvarsi la pelle, a lasciare la sua famiglia e andare via da Napoli.
A Betta e a Gina era sembrato che qualcuno avesse tarpato loro le ali, come se avessero preso la rincorsa per poi essere spinte indietro, schiacciate sul sedile da una brutta frenata.
“Ed è così che ci sentimmo quando papà se ne andò. Frenate, senz’ali, con una marcia in meno”.
Gina avrebbe rivisto suo padre sette anni dopo. C’erano stati solo altri due incontri da quella volta che “Papaone” era scomparso nel nulla nell’estate del 1980: il mese in Sardegna e i tre giorni di Natale.
“E poi basta”.
Lasciandosi ispirare a eventi personali realmente accaduti, sebbene alcuni siano stati rielaborati dalla sua fantasia, l’autrice scrive un convincente e coinvolgente romanzo di formazione al cui centro vi è la travagliata storia di una famiglia e di riflesso la storia dell’Italia della fine degli anni Settanta e Ottanta.
“Tuo padre sa troppe cose”.
Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (i cui tragici e inquietanti retroscena sono i motivi per il quale il democristiano Mario Carafa è costretto alla latitanza), il devastante terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, l’abbraccio mefitico tra politica, corruzione e malaffare. Questo è il fondale a tinte forti su cui si delinea la strada irta di pericoli e ostacoli della Cinquecento gialla alla cui guida c’è una donna dall’anima afflitta, che cresce da sola due figlie che scoprono termini nuovi come “latitante”, “camorrista”, “brigatista”. Il loro “Papaone” ora accusato di essere un ladro e una spia, è da loro visto come un eroe e un angelo custode.
Forse è un uomo onesto che faceva finta? Betta, ma soprattutto la curiosa e determinata Gina, avrebbero scoperto che:
“La verità è sepolta sotto un mucchio di bugie”.
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