“Meriggiare pallido e assorto” è una poesia di Eugenio Montale, scritta nel 1916 e pubblicata per la prima volta nel 1925 all’interno della raccolta Ossi di seppia (nella sezione "Ossi brevi").
Erroneamente considerato esponente dell’ermetismo (lo stesso poeta ne prese pubblicamente le distanze), Montale ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1975. Meriggiare pallido e assorto è una delle sue poesie più famose e più studiate nei programmi scolastici (insieme a Spesso il male di vivere e Ho sceso dandoti il braccio).
Scopriamone insieme parafrasi, analisi metrica e retorica e commento al testo.
Meriggiare pallido e assorto: il testo della poesia
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Parafrasi
Trascorrere il meriggio (le ore più calde del pomeriggio) pallidi e intorpiditi dal calore, vicino al muro caldo di un orto, ascoltare tra gli rovi e le sterpaglie i versi dei merli e il frusciare delle serpi.
Sporgersi a spiare le file di formiche rosse che, nelle crepe della terra arida o sulla veccia (pianta erbacea), si rompono e si riordinano di nuovo in cima a mucchietti di terra.
Osservare tra le fronde degli alberi il tremolio del mare in lontananza mentre si sente il frinire tremulo delle cicale dalle alture aride e senza vegetazione.
E camminando nel sole che abbaglia accorgersi con triste stupore che la vita e il tormento che porta con sé non sono che un continuo camminare accanto una muraglia invalicabile, che ha in cima aguzzi cocci di vetro.
Meriggiare pallido e assorto: commento
Meriggiare pallido e assorto è una delle prime poesie di Montale, scritta nel 1916 e contenuta nella raccolta Ossi di Seppia (1925). Il paesaggio di cui parla è quello della Liguria estiva — arsa dal sole, bruciata, arida — e il suo tema centrale è quello della disarmonia rispetto alla natura: in questi elementi troviamo due motivi tipici dell’intera raccolta.
L’ambientazione della poesia rappresenta la desolazione dell’esistenza umana e i versi costituiscono un continuo rimando alla solitudine della condizione umana: muri e confini invalicabili, lungi dall’aprire la strada a un’immaginazione consolatoria (come accade nell’Infinito di Leopardi), non hanno altro effetto che isolare ciascun individuo.
Il tema del male di vivere (cfr. Spesso il male di vivere), dominante in Ossi di seppia e centrale in Meriggiare pallido e assorto, rappresenta un rovesciamento dell’Alcyone dannunziano: il rapporto con la natura non è di fusione panica e celebrazione, ma è fatto di distanze, incomunicabilità e rifiuto. Non a caso, il titolo della raccolta fa riferimento proprio agli scheletri delle seppie, scarto inutile galleggiato in mare e trascinato a riva dalla corrente, dalle onde rifiutato.
Il poeta, di fronte al meriggio (protagonista anche di una poesia di D’Annunzio), non prova alcuna serenità, ma prova solo inquietudine. La sua condizione (e quella di ogni essere umano) è una condizione di prigionia, solitudine e abbandono, di cui è impossibile liberarsi: il mare è lontano e irraggiungibile, la terra circoscritta da un muro invalicabile.
L’uomo è simile alle formiche rosse che osserva: costretto a vagare, in fila, disperdendosi, riordinandosi, senza avere effettivamente una meta, in un paesaggio ostile e con cui è impossibile comunicare, che non può fornire alcuna risposta sul senso ultimo della propria vita.
Nemmeno la poesia può spingersi oltre il quotidiano; il poeta non può che rinunciare a travalicare la contingenza e abdicare al trascendentale (in questo, ancora una volta, Montale si presenta come opposto alla concezione poetica dannunziana, che vede nel poeta un vate capace di comunicare al mondo una verità agli altri preclusa).
Analisi metrica e figure retoriche
Per quanto riguarda la metrica, la poesia è costituita da quattro strofe (tre quartine e un’ultima strofa di cinque versi) di versi liberi (novenari, decasillabi ed endecasillabi). Lo schema delle rime è così strutturato:
- la prima strofa ha rime baciate (AABB)
- la seconda rime alternate (CDCD)
- la terza di nuovo rime baciate (EEFF)
- la quarta termina con rime e consonanze (abbaglia-meraviglia-travaglio-muraglia-bottiglia) e ha uno schema del tipo GHIGH.
Il componimento è caratterizzato da un uso insistito dell’infinito (meriggiare, ascoltare, osservare, etc.). Questa continuità, spezzata solo da un gerundio, priva di un effettivo soggetto, universalizza la poesia e le riflessioni dell’io lirico.
Un’altra caratteristica evidente della poesia è la sua ricercatezza fonica. Moltissime le allitterazioni presenti e, in particolare, gli scontri consonantici (con s, r, t, ch). La musicalità aspra che ne deriva (e che presenta echi dell’Inferno dantesco) richiamare il tema trattato. A queste si aggiungono le molte assonanze (es. merli-serpi), le consonanze che chiudono tutti i versi della quinta strofa e le onomatopee presenti ai vv. 4 o 11 (schiocchi, frusci, scricchi).
Le figure di suono appena elencate sono solo alcune delle figure retoriche di Meriggiare pallido e assordo. Tra le altre, troviamo:
- sinestesia: "osservare tra frondi il palpitare/ lontano di scaglie di mare" (vv. 9-10);
- enjambements (vv. 5-6, 9-10, 11-12...);
- ossimoro: "triste meraviglia" (v. 14);
- metafora: la muraglia finale è metafora esplicita della vita;
- paronomasia: "sterpi"-"serpi" (vv. 3-4);
- analogia: "calvi picchi" (v. 12);
- climax ascendente: struttura l’intera poesia, dalle crepe del suolo ai calvi picchi alla muraglia.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Meriggiare pallido e assorto” di Montale: parafrasi, analisi e figure retoriche della poesia
Lascia il tuo commento