Memorie di un ardito 1916-1920
- Autore: Dante Alfonso Mazzucato
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Questi semplici ricordi, scritti senza alcuna pretesa e spesso sul filo di una memoria vaga e approssimativa, hanno voluto essere un omaggio ai commilitoni vivi e morti del campo di addestramento di Sdricca e a tutti gli altri Arditi, che nell’esuberanza della giovinezza hanno provato amore per la Patria, vivo e ardente nel cuore. “Ardito ad ogni costo, sino alla fine”. Scrive bene Dante Alfonso Mazzucato, con prosa sicura, le sue Memorie di un ardito 1916-1920, ex combattente padovano di oltre un secolo fa. È quasi un romanzo la cronistoria altamente motivata della sua partecipazione al primo conflitto mondiale nei reparti speciali, con le fiamme nere sul bavero. Gaspari Editore l’ha proposta in un bel volume della collana “Diari e memoria della Grande Guerra” (Udine, prima edizione agosto 2017, prima ristampa ottobre 2021, 175 pagine), a cura del cortinese scopritore di memorie inedite Paolo Giacomel e con la prefazione del generale Basilio Di Martino, autorità indiscussa nello studio e divulgazione dell’operato bellico dei reparti d’assalto.
Quanto al sergente Mazzucato, contadino e cattolico fervente, è stato tra i primi volontari arruolati tra gli Arditi a Sdricca di Manzano, nell’Udinese, e tra gli ultimi congedati, il 20 maggio 1920. Faceva parte della sola compagnia di Fiamme Nere ancora nobilitata (le altre erano state sollecitamente sciolte nel primissimo dopoguerra e mai più ricostituite nell’Esercito regio). Era in più l’ultimo ancora in servizio del nucleo iniziale originario. I compagni lo avevano soprannominato “Fiero Lampo”, per il temperamento generoso e l’abilità in azione. Era orgoglioso che gli fosse stata concessa la “soddisfazione” d’essere congedato con la divisa del reparto, diversa e più comoda di quella dei fanti, la croce al merito di guerra e le medaglie delle campagne di guerra, che appese all’altare della Madonna del suo paese, assolvendo a un impegno assunto in una visita al santuario del Monte Berico.
Dante era nato a Villa del Bosco (PD) il 2 agosto 1897 e aveva 19 anni quando venne chiamato alle armi nell’autunno 1916 (11° Reggimento Fanteria della Brigata Casale), a guerra in corso da un anno e mezzo. Nel gennaio-maggio 1917 combatté come fante nei dintorni di Gorizia, a giugno e luglio sull’altipiano d’Asiago, tornando dal 18 agosto al 12 settembre nelle trincee oltre Isonzo, per l’XI battaglia sulla Bainsizza, dove soffrì per cinque giorni senz’acqua sotto il sole cocente. A fine luglio, il 29, a Sdricca di Manzano, Udine, era stato istituito il I reparto d’assalto, gli Arditi, le Fiamme Nere e Mazzucato aveva fatto domanda di entrarvi come nuova recluta volontaria. Dopo un duro tirocinio, venne accettato, convinto di non fare nulla di eccezionale, ma soddisfatto di realizzare un desiderio. Gli affidarono una compagnia di quindici uomini, alcuni con la fedina penale non immacolata, ma pur sempre “ragazzi di buon cuore e generosi, capaci di obbedienza pronta e a bocca chiusa”.
Giacomel osserva che il “realismo verista” delle pagine di Dante offre un quadro singolare della Prima Guerra mondiale, attraverso i ricordi dei cinque anni più duri della sua vita. Scorrono diverse singole storie di sofferenze crudeli per tanti giovani, travolti da una guerra che ci si attendeva breve e vittoriosa. Nel diario, Mazzucato scrive un solo nome con la lettera maiuscola: Patria, orgoglioso d’essere stato chiamato a servirla. La famiglia contava quattro zii Carabinieri; anche il cugino Edoardo scelse gli Arditi. Scrisse questi ricordi nel 1930, sostenuto da una memoria eccezionale e da una volontà di ferro. Riportava fatti, personaggi, sofferenze, delusioni, entusiasmi, senza dimenticare nulla, soprattutto i compagni caduti. Era tutto dettato dal cuore, sentiva di rendere omaggio a tutti i soldati che avevano combattuto con lui nelle trincee, anche se feriti, zoppicanti, ammalati, immersi nel fango, tormentati dai pidocchi, cotti dai raggi del sole sul Carso, torturati dalla sete, affamati, tormentati dal freddo intensificato dal vento gelido, sempre con la paura d’essere colpiti da fucili, mitragliatrici, cannoni, schegge.
Alle origini del corpo degli Arditi si rifà il gen. Di Martino. Nel presentare il volume, fa notare innanzitutto che a fare ricorso a una nuova specialità - i reparti d’assalto, distinti dal resto dei fanti ordinari - furono soprattutto l’Austria-Ungheria e l’Italia, che non annoveravano combattenti omogenei nei rispettivi eserciti. Entrambi pativano infatti debolezze intrinseche delle compagini nazionali: l’Impero per via dell’articolazione plurilingue e multinazionale (ben nove etnie principali), il nostro Regno a causa del troppo recente processo di unificazione, con le relative tensioni sociali non ancora assorbite. Stati di più antica e assimilata creazione, come Francia, Gran Bretagna e anche Germania, cercarono invece di favorire una crescita complessiva della fanteria, evitando per quanto possibile di costituire reparti speciali. La creazione degli Arditi del Regio Esercito è stata il risultato di una sperimentazione nell’ambito della II Armata del gen. Capello, in risposta alle azioni delle truppe d’assalto austroungariche. A caratterizzare i reparti d’assalto erano un armamento collettivo di tutto rispetto, con abbondanza di armi automatiche, lanciabombe e lanciafiamme; un equipaggiamento individuale atipico, in cui spiccavano moschetto, pugnale e bombe a mano offensive (l’esplosione era assordante ma di potenza ridotta, per non investire anche il lanciatore, all’assalto allo scoperto) e un addestramento intensivo, che puntava a consentire ai singoli d’impiegare tutti i mezzi di offesa e di difesa a disposizione, anche sottratti al nemico. Era stata formata “una nuova figura di combattente, preparato e motivato”, che concepiva diversamente il combattimento in un modo attivo, non statico. Furono impiegati con successo nella seconda battaglia dei Tre Monti, a fine gennaio 1918, e dettero vita alle Divisioni d’assalto, impiegate sul Piave a giugno e ottobre.
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