Leviatano o il migliore dei mondi
- Autore: Arno Schmidt
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2013
Con traduzione e introduzione di Dario Borso (già curatore di altri due testi schmidtiani), Mimesis ha pubblicato nel 2013, con testo originale a fronte, un racconto di Arno Schmidt uscito in Germania nel 1949.
Schmidt, reduce da sei anni di guerra e prigionia, vissuto fino ad allora in assoluta povertà, solo nel dopoguerra, e dopo aver tentato diversi mestieri, riuscì a dedicarsi completamente alla scrittura, divenendo un riferimento osannato e contestato della letteratura tedesca.
Pagava nei confronti dei lettori e dell’editoria più tradizionale un estremismo ideologico e sprezzante, una cultura eccedente e anticonformista, uno stile provocatoriamente funambolico, smozzicato, sperimentale.
In Leviatano o il migliore dei mondi narra la disperata fuga verso Ovest di un gruppo di slesiani sbandati, affamati, feriti, sporchi (soldati, vecchi, bambini), in cerca di salvezza dai bombardamenti dell’aviazione inglese, in un treno rugginoso e sferragliante, continuamente costretto a fermarsi, bloccato dalla neve e dalle mitragliate dell’artiglieria:
Il gelo, il gelo, Scavammo con mani di marmo vicino all’acciaio corrusco. Mordente polvere di neve fluttuava intorno a naso e bocca. L’avrei guardata da palpebre d’argento. Il vecchio mi cadde sulla spalla; lo tirai con me nel vagone”, “I demoni d’acciaio gridavano e gridavano intorno a noi, sopra noi, sotto noi. Ancora numerosi esplosero i colpi dietro, e una volta tremò tutto, come crollasse un monte (e mugghiare di acque gorgoglianti).
Il protagonista, un sergente della Wehrmacht reduce dallo sbandamento dell’esercito, sale sul convoglio in partenza da Berlino il 20 maggio del ’45, e scandisce con una scrittura sincopata ed ansante una sorta di diario dei giorni e delle ore trascorse nel viaggio infernale, compiuto in compagnia di un pastore luterano retoricamente salmodiante, con la sua numerosa famiglia, di un anziano meditativo e curioso, di soldatacci lascivi, di diverse comparse generiche, della dolcissima Anne (“Anne era già accanto a me e il suo profilo da Marlene Dietrich tornò a precipitarmi in beata servitù”) e della madre di lei.
Il sergente alter ego dell’autore porta soccorso come può al manipolo terrorizzato degli scampati, scortandoli dentro e fuori dai vagoni ad ogni fermata, scavando a mani nude nella neve, soccorrendo i febbricitanti, ma soprattutto imbarcandosi in discussioni e teorizzazioni filosofiche e scientifiche, sia con il religioso “vile e bizantino”, “anima svergognata di lacchè”, che reagisce con pio fideismo anche davanti alla morte straziante dei suoi bambini (“ma questi qui hanno mai pensato che potrebbe essere Dio il colpevole?”), sia con il vecchio agnostico che gli pone quesiti sulla realtà e sul destino finale del mondo.
Lui risponde, didascalico, saccente e polemico. Esemplifica ricorrendo all’astrofisica, alla biologia, alla filosofia, alla matematica, alla storia: cita Einstein e Platone, Budda e Schopenhauer, Cervantes e Mozart, Nietzsche e Spinoza, esibendo un rabbioso nichilismo, un convinto ateismo, un feroce spirito anarchico, già evidente dal titolo e dal sottotitolo del libello: Leviatano o il migliore dei mondi. Ironizza su una divinità crudele e indifferente in un cielo spaventosamente vuoto, in uno spazio-tempo “illimitato ma non infinito”, in cui brancola violenta e cieca la stirpe degli uomini illusi e angosciati:
Saluterei con gioia la fine dell’umanità; ho fondata speranza che entro ‒ beh ‒ fra i 500 e gli 800 anni si saranno annientati del tutto; e sarà cosa buona”, “Questo mondo è qualcosa che sarebbe meglio non fosse, chi dice il contrario, mente! Pensi ai meccanismi universali: gola e foia. Propagarsi e asfissione.
Attacca furiosamente Hitler (“un ibrido di Nerone e Savonarola”), il cristianesimo con le sue “ridicole ambizioni gnoseologiche”, e tutti i terrorismi ideologici che hanno manovrato le persone come marionette.
Eppure, quando il treno termina la sua corsa in bilico su un burrone, sospeso su un fiume dopo il crollo di un ponte, tra i cadaveri dei compagni di sventura, sogna la distruzione della Bestia, del famelico Leviatano, e “la rivolta dei buoni”. Così le ultime frasi del diario suonano pudicamente utopiche:
Varcheremo la porta color cotto ricoperta di brina. Velato d’oro sarà in agguato il diabolico sole invernale, biancorosa e freddosfera. Lei sporgerà il mento e farà una smorfia villana, solleverà i fianchi per darsi slancio. Contratto la cingerò col braccio. Ecco sventolo via il quaderno: volate, brandelli!
Leviatano o il migliore dei mondi
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