Le lacrime di Medusa
- Autore: Gard Sveen
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2022
Non sembra... ma non ci sono spoiler in questa recensione.
Gard Sveen è uno scrittore norvegese, da poco ultracinquantenne. Tommy Bergmann un ispettore di polizia, ottimo investigatore, pessimo individuo. Autore e personaggio, sommati insieme, fanno un noir irresistibile fin dalle prime pagine, Le lacrime di Medusa. Un’indagine nell’universo della follia di chi uccide e delle sue vittime, secondo degli episodi del poliziotto di Oslo, pubblicato da Marsilio nella collana Farfalle (giugno 2022, 439 pagine). Era apparso in edizione originale nel 2015, col titolo Helvet apent (in norvegese helvet significa inferno, Ndr), ora tradotto in italiano da Giovanna Paterniti.
Sveen è nato nel 1969 ad Hamar e divide il suo tempo tra la scrittura di gialli, pluripremiata e il lavoro da consigliere senior del Ministero della Difesa norvegese. Ha esordito come autore di suspense nel 2013, con il romanzo L’ultimo pellegrino (Marsilio, 2018), l’unico Norvegia ad avere ottenuto i tre principali riconoscimenti per le opere prime e primo della serie che ha per protagonista il tormentato Tommy, pubblicata in dodici Paesi.
Un gran cattivo soggetto questo Bergmann, giudica tutti, non perdona errori a nessuno, è intollerante, ancora meno comprensivo e quanto a stesso alterna fasi di autocommiserazione a momenti di estrema intransigenza. È in terapia mentale per le torture fisiche e psicologiche che infliggeva ad Hege. Il nuovo compagno l’ha convinta a denunciarlo per violenze domestiche e solo quando Tommy ha deciso finalmente di andare in terapia lei ha ritirato la querela.
Il dottor Osvold gli chiede cosa provasse insieme all’aggressività. Una sensazione di potere o di impotenza? Risponde che avvertiva di tutto: si sentiva solo, triste, respinto, orgoglioso, ferito, rabbioso, spaventato. Tornava bambino. Peccato che negli ultimi mesi non abbia fatto più progressi. Adesso, poi, questi delitti lo stanno toccando nel profondo.
Sedici anni prima, quand’era un volenteroso agente ventitreenne, lo scempio di una ragazzina l’aveva scosso per sempre. Il corpo era nel bosco da giorni, ma capirono subito che si trattava di una quindicenne scomparsa, Kristiane Thorstensen. Era chiuso in due sacchi dell’immondizia, sigillati con lo scotch, coperti da ramoscelli e muschio a mascherarli, strappati in alcuni punti. Gli animali dovevano essersi accaniti, il viso però era stato risparmiato, coperto di lividi, ma riconoscibile.
Al collo, ciondolo e catenina del battesimo. Martoriata con malvagità: non era stata una morte rapida.
“È opera del demonio”, insisteva il vecchio che li aveva condotti nell’abetaia.
“È tutta colpa mia”, ripeteva tra le urla la madre della ragazzina, quando erano andati a darle la notizia. Ricorda tutto, ora che Monsen lo accoglie sul luogo di un nuovo crimine: “una scena terribile, Tommy”, “nastro adesivo”, “coltello”, “martello”, “sangue”. E Monsen è quello che ha visto più delitti di tutti.
La vittima è una giovane immigrata lituana. Si prostituiva in un palazzone a Frognerveien. Chi l’ha torturata è stato disturbato e si è allontanato certo che fosse morta. Il letto è scuro di sangue. Quante volte l’ha ferita con la lama, l’ha colpita col martello, attento a farle male ma non ad ucciderla subito?
Ma respira ancora. Allora riusciranno a prenderlo! È lo stesso uomo. L’insistenza della stampa sul caso storico di Kristiane deve aver fatto scattare qualcosa in lui. Le altre ragazze sono morte allo stesso modo. C’è qualcosa che non torna, però: Anders Rask è rinchiuso nella clinica psichiatrica di Ringvoll.
Il tentato omicidio ha modalità quasi identiche ai sei femminicidi per i quali Rask era stato condannato negli anni Novanta. Le stesse ferite metodiche da lama e martello sulle altre ragazze, sebbene l’essere stato interrotto avesse impedito la consueta rimozione di parti del corpo come trofei. Alla prima, nel 1978, mancava il mignolo della mano sinistra. Ad ognuna delle seguenti il dito successivo e alla sesta il pollice della destra. Poi Rask aveva rimosso sistematicamente la loro femminilità.
Tuttavia, non può essere lui l’autore del recente tentato omicidio.
Chi ha colpito conosceva le modalità dei sei omicidi di cui si era dichiarato colpevole e per i quali era stato condannato. Quindi, chi agisce è un emulatore, oppure, visto che i particolari non erano mai stato resi pubblici, va preso in considerazione che Rask sia stato condannato ingiustamente e che il vero assassino abbia colpito di nuovo.
Il primario della clinica psichiatrica sa che Anders ha ritrattato la confessione.
Non sono stato io a uccidere Kristiane.
I casi sono due: ha commesso gli omicidi o qualcuno lo ha usato. In effetti, si potrebbe pensare a un terzo: che fosse in coppia con un complice libero, col quale potrebbe comunicare per posta, in forma anonima.
Da sedici anni, Elizabeth Thorstensen sta malissimo. Non dimentica l’orrore della morte della figlia, non ha elaborato la perdita. Però trova ridicola l’idea che a ucciderla sia stato Rask. Non crede che l’ex insegnante della ragazza sia stato il suo assassino, anche se non può dirlo. Non senza rivelare qualcosa che nessuno deve sapere sulla notte della scomparsa.
Sul nuovo caso, la Polizia ha in mano solo la ripresa di una telecamera di sorveglianza: un uomo con un berretto da baseball. L’idea che Anders possa essere innocente può non piacere, ma per Bergmann significa che dare la caccia all’assassino della giovane lituana consentirà di trovare chi ha ucciso Kristiane e le altre.
C’è un lungo lavoro da fare per lui e per Susanne Bech.
Chi è il colpevole? Per scoprirlo occorre andare avanti, ma il poliziesco è straordinariamente avvincente, leggerlo non sarà certamente una condanna.
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