Nell’aprile del 1816 apparve a Parigi un’edizione de Il Principe di Niccolò Machiavelli con dei commenti scritti da Napoleone Bonaparte, presentata agli ignari lettori come il frutto del fortunoso ritrovamento di un manoscritto appartenuto all’ex imperatore.
Il libro ebbe vasta circolazione e fu rapidamente tradotto in varie lingue, ma altrettanto presto si comprese che l’opera era un falso architettato (un po’ frettolosamente) dall’abate Aimé Guillon (1758-1842), un polemista con un discreto curriculum da controrivoluzionario.
Chi era Aimé Guillon, l’abate autore dei finti commentari
Link affiliato
Nel 1789 il religioso era stato arrestato per la pubblicazione di opuscoli reazionari, dopo alcune peripezie si era ritrovato prigioniero in Lombardia e qui era stato liberato dal Principe Eugenio, che lo aveva reclutato come giornalista filogovernativo.
In Italia l’abate è abbastanza noto principalmente per il fatto che nel 1807 recensì negativamente il carme Dei Sepolcri di Foscolo, il quale rispose con l’importante Lettera a monsieur Guillon sulla sua incompetenza a giudicare i poeti italiani.
Tornato infine in Francia, con la restaurazione il sacerdote si mise al servizio di Luigi XVIII ricoprendo vari ruoli, tra cui – evidentemente – quello di propagandista.
Con l’intento di alienare ogni possibile simpatia popolare al ricordo di Bonaparte, nel falso commento al Principe Guillon gli attribuì frasi come:
“Oggi mi considerano, specialmente dopo il concordato con il papa, un pio restauratore della religione e un inviato del Cielo”
O addirittura:
“[Machiavelli] Si comporta un’altra volta da moralista! Quel buon uomo di Machiavelli difettava di audacia”.
Nonostante la falsità del documento sia stata provata da parecchio tempo, stupisce che ancora nel 1996 la casa editrice “La Spiga” abbia ripubblicato il libro senza indicare il vero autore dei commenti.
Le false annotazioni di Guillon: Napoleone e la Repubblica Veneta
Le false annotazioni furono contrassegnate da Guillon con lettere differenti che indicano le diverse fasi della vita di Napoleone: generale, console, imperatore, prigioniero in esilio sull’isola d’Elba.
Nel presente articolo, chi scrive si soffermerà sulle osservazioni dello pseudo-Bonaparte inerenti alla fine della Repubblica Veneta, sufficienti a rivelare l’obiettivo di Guillon: presentare al lettore Bonaparte come un uomo ancora più immorale del segretario fiorentino, rendendolo inviso non solo ai francesi, ma a tutti gli abitanti del continente europeo, veneziani compresi.
Riguardo la campagna d’Italia, Guillon fa dire al Napoleone console:
“Almeno io non avevo ingannato le speranze di coloro che mi avevano aperto le porte nel 1796”
Mentre al Napoleone giovane generale pronto a invadere il Bel Paese, invece, l’abate mette in bocca queste parole:
“[ai lombardi] finsi di dare la Valtellina, il Bergamasco, il Mantovano, il Bresciano ecc., trasmettendo la mania repubblicana”
Poiché:
“Una volta padrone del loro territorio avrò ben presto il resto dell’Italia”.
Approfittando dei pensieri di Machiavelli relativi a:
Uno privato cittadino, [che] non per scelleratezza o altra intollerabile violenzia, ma con il favore delli altri suoi cittadini diventa principe della sua patria” viene dunque svelato che questo desiderio era vivo in Napoleone sin dall’inizio della sua carriera militare: “[diventare principe è] Quello che vorrei io, ma la cosa è difficile.
Meditando sul ruolo dei mercenari nella storia veneta, lo pseudo-generale aggiunge:
“Non si può definire che uomo onorato quel famoso Bartolomeo Colleoni che ebbe la facoltà di incoronarsi re di Venezia ma non volle esserlo. Che sciocchezza, però, consigliare ai veneziani, in punto di morte, di non lasciare mai più ad altri tanto potere militare quanto ne avevano lasciato a lui!”
Al tempo del consolato, il finto Napoleone annota: “Non ho da temere alcunché dai veneziani”, esprimendo la convinzione che essi avessero accettato il suo governo.
Il brano del Principe che recita:
“E’ Viniziani, mossi, come io credo, dalle ragioni soprascritte, nutrivano le sette guelfe e ghibelline nelle città loro suddite; e benché non li lasciassino mai venire al sangue, tamen nutrivano fra loro questi dispareri, acciò che, occupati quelli cittadini in quelle loro differenzie, non si unissero contro di loro. ”
È un’occasione buona per Guillon – tramite una rivelazione che attribuisce al Napoleone imperatore – per accusare Bonaparte di aver creato dissidi sociali e scontri tra fazioni come arma per raggiungere i suoi obiettivi:
“Stratagemma che mi riuscì abilmente. Spesso butto alcuni piccoli semi di una discordia particolare quando voglio distrarli dall’occuparsi degli affari di Stato o quando preparo in segreto qualche grande provvedimento governativo”.
In effetti il pensiero corre subito agli scontri fratricidi che nella realtà storica Napoleone veramente fomentò all’interno delle città venete, contrapponendo le fazioni dei democratici ai legittimisti, mentre si preparava a concretizzare la vendita di Venezia all’Austria.
Per il Napoleone imperatore uscito dalla mente di Guillon, anche la promessa di unificare gli italiani era solo un mezzo, ma non un fine:
Guardiamoci bene dal lasciarli riunire in un solo corpo nazionale, a meno che io non voglia distruggere la Francia, la Germania, l’Europa intera.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La caduta della Repubblica Veneta nelle false note di Napoleone al Principe di Machiavelli
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Niccolò Machiavelli
Lascia il tuo commento