La zona d’interesse
- Autore: Martin Amis
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2015
Quest’anno la imminente Giornata della Memoria si presenta in modo più problematico di quanto non sia stata negli anni precedenti.
Dopo l’aggressione da parte dei terroristi di Hamas dello scorso 7 ottobre 2023 e la durissima risposta che il governo e l’esercito israeliano stanno dando ai palestinesi residenti nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, si sta assistendo ad una recrudescenza di atti e atteggiamenti antisemiti in tutto il mondo. Argomento complesso, che ha una sua lunga storia su cui spesso i narratori, ebrei e non, hanno espresso opinioni e punti di vista in romanzi e saggi.
Vale forse la pena di rileggere La zona d’interesse, il libro di Martin Amis, grande romanziere inglese, che vive tra Londra e New-York, pubblicato nel 2015 da Einaudi con la traduzione di Maurizia Balmelli. Il romanzo di recente è stato portato sul grande schermo dal film The Zone of Interest di Jonathan Glazer, portato in concorso al Festival di Cannes 2023.
Un libro sulla Shoah del tutto atipico, giocato sulla voce di diverse persone che da opposti punti di vista osservano e descrivono la vita nel lager di Auschwitz mentre ci si avvia alla disfatta del regime nazionalsocialista hitleriano dopo la tragedia di Stalingrado.
Il comandante del campo, Paul Doll, è un ubriacone frustrato e semimpotente, sposato con una donna bella e intelligente, Hannah, e padre di due figlie adolescenti, Paulette e Sybil: la famiglia vive in una villetta ai bordi del campo, una vita normale, se non fosse per il tragico odore che raggiunge ogni cosa, e un giardiniere scelto tra i prigionieri, che coscienziosamente si occupa delle piante e della tartaruga che gira nel giardino fiorito. Angelo detto “Golo Thomsen”, un aitante ed elegante ufficiale lavora e sorveglia la produzione di gomma, che nei piani nazisti porterà alla indipendenza energetica del regime; l’uomo è un “raccomandato”, perché nipote del potente gerarca Martin Bormann, e si permette atteggiamenti disinvolti; dopo l’incontro con Hannah Doll viene attratto irresistibilmente della donna e rischiando inizia con lei uno scambio di missive; frau Doll che disprezza il marito e lo irride, chiede a lui notizie di un uomo di cui è stata innamorata, Dieter: accusato dell’attentato incendiario al Reichstag, era stato imprigionato e di lui non si aveva più notizia.
Ovviamente il Kommandant Doll, irriso dalla moglie superba e arrogante che non gli si concede più, vuole vendicarsi di Thomsen che crede l’amante di sua moglie.
Altre voci si alternano nella narrazione, significativa quella del capo del Sonderkommando, Szmul, un ebreo polacco costretto a fare il lavoro sporco nei confronti dei suoi correligionari che avvia alle camere a gas, consapevole che la morte arriverà anche per lui, e sarà atroce.
L’interesse del libro sta proprio nella voce dei persecutori, che vivono quasi con cinica normalità la tortura e l’uccisione di milioni di “pezzi”, scaricati dai treni provenienti da tutta Europa, anche quando ormai i giochi sono fatti e gli stessi nazisti sanno che la sconfitta è imminente.
Tra gli episodi raccontati uno in particolare spicca: un treno proveniente da Drancy, che trasporta una vecchia elegantissima signora in pelliccia che si lamenta per lo scarso servizio a bordo, ignorando dove realmente sia giunta, mentre i nazisti divertiti reggono il gioco, fingendo che presto lei e i suoi saranno decorosamente alloggiati. Molto ironico lo stile di questo romanzo tragico, nel quale leggiamo gli orrori del sistema concentrazionario raccontato in modo leggero, se così si può dire, almeno in alcune pagine letterariamente interessanti.
Un esergo tratto dal Macbeth di Shakespeare, una seria e documentata postfazione dell’autore nel quale racconta estesamente “Quel che è accaduto”, con citazione di fonti, libri, testimonianze e una dedica,
“A coloro che sopravvissero e a coloro che non sopravvissero; alla memoria di Primo Levi (1919-1997) e alla memoria di Paul Celan (1920-1970), e agli innumerevoli , fondamentali, ebrei e in quanto ebrei e mezzi ebrei del mio passato e del mio presente, e in particolare a mia suocera, Elizabeth, alle due mie figlie più giovani, Fernanda e Clio, e a mia moglie Isabel Fonseca”
Conclude un libro che si mostra molto attuale, interessante, utile per i ragionamenti sull’antisemitismo e sull’intera storia del 900.
La zona d'interesse
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Straordinario agghiacciante libro raccontato a più voci e all’ inizio della lettura si è proiettati in un mondo incomprensibile e orrido con nazisti come Doll che parlano in prima persona. Si è proiettati immediatamente in un mondo di mostri, di orchi come Eichmann o lo stesso Hitler. Mi ha ricordato per la sua struttura sperimentale il film di Siberberger su Hitler su cui ha scritto un bellissimo saggio Susan Sontag.
Come lo stesso autore fa notare nella postfazione, trovare una ragione alla persecuzione degli ebrei da parte del regime nazista risulta quantomeno arduo. Citando le parole di Yehuda Bauer, “Vorrei trovare il perché, certo, ma non lo trovo… Hitler in teoria è spiegabile, ma ciò non significa che sia stato spiegato.” In effetti, non solo nessuno è ancora riuscito a spiegarne il pensiero, ma anche molte delle sue azioni risultano, a un esame anche solo superficiale, prive di senso, seppur rapportate alla sua visione della Germania e, di conseguenza, del mondo. Sicuramente, una mente sana non potrebbe avere concepito tutto quello che è stato perpetrato, figurarsi metterlo in pratica.
Ma, ovviamente, la tragedia dell’Olocausto non si sarebbe mai consumata senza tutte le braccia che hanno eseguito gli ordini di una mente malata. Se la deriva di Hitler potrebbe facilmente essere classificata come pazzia, non possiamo fare a meno di chiederci quali motivazioni e quali meccanismi mentali abbiano spinto i suoi uomini a eseguire senza discutere ordini spaventosi e irragionevoli. A cosa pensavano, e possibile che nessun dubbio li scalfisse, che nessun rimorso li tormentasse? Come potevano vivere tranquilli in mezzo a tanta crudeltà e tanto dolore?
La zona d’interesse è un limbo, un’isola, una comfort zone e, allo stesso tempo, una prigione, nella quale si muovono personaggi surreali eppure terribilmente realistici. Un tranquillo quartiere abitato dai militari e dalle loro mogli, dove la vita scorre normalmente se si escludono alcuni fastidiosi odori e rumori che però arrivano lontani, attutiti, tanto da essere diventati routine, abitudine.
Il Maggiore Paul Doll si muove in questa bolla come una bambola inconsapevole. Vizioso, ubriacone, ridicolo, svolge tuttavia coscienziosamente il suo compito, quello della prima accoglienza ai prigionieri, tranquillizzandoli con bugie rassicuranti non certo per pietà, ma per aggiungere un perfido divertimento alla situazione, evitando nel contempo guai e ribellioni. Personaggio viscido e sgradevole, si sente costantemente inadeguato: nei confronti dei propri superiori ma anche della propria moglie, Hannah, donna bella quanto intelligente e incapace di nascondere la propria avversione per il nazismo e per il “lavoro” del marito. Paul, frustrato dall’ormai cronica mancanza di intimità con la moglie, la odia ma la teme. Ossessionato dai tradimenti di lei, forse reali ma forse solo supposti da lui, pian piano non sopporta più la sua presenza al proprio fianco. Men che meno da quando nella sua vita è apparso Golo Thomsen, l’islandese, il raccomandato nipote del gerarca Martin Bormann. A Golo è bastato guardare per un attimo Hannah per cadere vittima del suo fascino, tra ripensamenti e timore di una situazione pericolosissima. Ma ancora più temibile di Golo, per Paul Doll, è il fantasma di Dieter Kruger, che Hannah ha amato e mai dimenticato, anche se da tempo si sono perse le sue tracce. Intanto Szmul, l’ebreo “prediletto” da Paul nel Sonderkommando, esegue i suoi ordini senza più provare schifo né dolore, con l’unico scopo di proteggere da ritorsioni non la propria stessa vita, ma quella della moglie. Sono Doll, Thomsen e Szmul le tre voci narranti che si alternano, sullo sfondo di un dolore costante e ormai banale, per raccontarci l’orrore entrato ormai nella quotidianità.