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Recensioni di libri

La sumera di Valentino Zeichen

Fazi, 2015 - Intere pagine in cui si respira l’atmosfera dei primissimi anni sessanta, compresi i nomi delle automobili, tutti femminili il gusto per il chewing-gum, le sigarette fumate compulsivamente, i vernissage frequentati da orribili donne impellicciate e ingioiellate, interessate solo a divorare interi tavoli di tartine e pasticcini, voraci come cavallette...

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 07-12-2015

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La sumera

La sumera

  • Autore: Valentino Zeichen
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Fazi
  • Anno di pubblicazione: 2015

Una Triumph Herald, una spiaggia, una donna bruna con un prendisole adagiata sul cofano che ci introduce con evidenza nei primi anni Sessanta: questa la copertina di “La sumera” scelta da Fazi Editore (2015) che pubblica il primo romanzo del poeta Valentino Zeichen.
Roma, via Flaminia e dintorni. Piazzale delle Belle Arti, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, viale Tiziano, Valle Giulia, in questo perimetro si muovono prevalentemente tre personaggi, tre amici, Ivo, Paolo, Mario. Ivo entra in Galleria, guarda i quadri, nota una ragazza, i capelli castani ad incorniciarne il profilo, osservandola gli sembra che

“i profili sembravano ricopiati geneticamente da una madre votata a fisionomie sumere”

ma perso nelle sue fantasticherie non si accorge che l’hanno raggiunto Paolo, il pittore, e Mario, che non è riuscito a sfondare e fa da assistente al più realizzato Paolo.
I discorsi di questi tre uomini, ragazzi poco cresciuti anche se si suppongono più vicini alla quarantina, sono vuoti e girano intorno al mondo dell’ arte, delle gallerie, delle quotazioni dei quadri, delle mostre in corso, delle rivalità degli artisti, della critica, delle visite ad altri musei, delle donne di cui tutti vanno letteralmente a caccia.
All’uscita dal museo, Ivo nota che Lei, la donna che poco prima ammirava i quadri, è seduta, sorridente. La descrizione di questa immagine femminile ci mostra quanto le parole scelte dall’autore siano decisamente quelle di un poeta:

“Lo colpirono i rilievi: aveva un grande naso dritto, carnoso, con un profilo quasi ad angolo retto, piano sul setto, e narici come due piccole bocche di fuoco, gli zigomi alti, gli occhi verdi tinteggiati ad acquarello……mostrava la carnagione di un verde tenue paragonabile a una mela golden sbiadita, gli zigomi punteggiati di lentiggini”

Non saprei dire molto sulla trama di questo romanzo, che è quasi inesistente, mentre molto da dire c’è sull’immagine di una sonnacchiosa Roma anni Sessanta, abitata da vitelloni quasi nullafacenti, che frequentano ristoranti, gallerie d’arte, studi d’artista, musei, parlandosi addosso, fingendo amicizie ed amori evanescenti, scontrandosi violentemente su idee opposte ma senza mai troppa convinzione e troppo reale impegno.

Lo scrittore-poeta Valentino Zeichen descrive con cura minuziosa particolari dell’arredamento degli interni (una sgangherata poltroncina di vimini, un divano Thonet laccato di blu), degli abiti (un maglioncino a collo alto, un vestito di flanella a righe strettissime beige e viola), delle automobili ( una 127 rossa con le ruote a cerchi), e poi tante strade di Roma (Lungotevere Mellini, Trinità dei Monti, il piazzale del Pincio, Villa Borghese, il quartiere Parati), una città nella quale Zeichen vive da anni in una mitica casa/baracca, e che mostra di conoscere in profondità, novello Fellini che in una ritrovata “Dolce vita”, ripercorre la capitale con gli occhi degli artisti che fecero grande quella stagione, ma anche con uno straordinario senso critico di chi sa guardare al passato senza nostalgie di maniera.
Paolo ha abbandonato la pittura tradizionale, la tavolozza dei colori, per orientare la sua ricerca artistica nel

“bendare idee immaginarie, nel rappresentare le lacerazioni di uno spazio mentale per mezzo del telaio quadro”

Mario non avendo molto altro da fare lo aiuta a fasciare le tele, un po’ geloso, Ivo crede di amare Lei, ma sa che la donna non gli è fedele, anzi, malgrado gli si conceda saltuariamente con grande trasporto, sa che fa altrettanto anche con i suoi amici.
“La sumera” è un Iibro coltissimo, pieno di citazioni buttate lì quasi casualmente, affiorano quadri di Balla, Previati, Segantini, De Nittis, Duchamp, intere pagine ricordano Moravia degli Indifferenti, altre ripercorrono itinerari Dannunziani (Palazzo Zuccari, via Gregoriana), e in tutte si respira l’atmosfera dei primissimi anni sessanta, compresi i nomi delle automobili, tutti femminili (Fulvia, Aurelia, Flaminia, Flavia), il gusto per il chewing-gum, le sigarette fumate compulsivamente, i vernissage frequentati da orribili donne impellicciate e ingioiellate, interessate solo a divorare interi tavoli di tartine e pasticcini, voraci come cavallette.
L’autore descrive ambienti romani con un sarcasmo tagliente e feroce.
Non so se al primo romanzo di Valentino Zeichen ne seguiranno altri. Pur lodandone il linguaggio assolutamente straordinario, le invenzioni lessicali forti ed originali, decisamente lo preferisco poeta.

La sumera

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La sumera

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