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Recensioni di libri

La politica del male. Il nemico e le categorie politiche della violenza di Renzo Paternoster

Tralerighe Libri, 2019 - Il male è sempre stato presente nella storia dell’uomo. L’etimologia deriva dal latino malus, cattivo: è una condotta etico-morale negativa che contrasta la libera manifestazione dell’essere.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 28-07-2020

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La politica del male. Il nemico e le categorie politiche della violenza

La politica del male. Il nemico e le categorie politiche della violenza

  • Autore: Renzo Paternoster
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2019

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Nemici da discriminare, imprigionare, torturare, annientare, uccidere. Donne da violare, trasformare in bottino. Un repertorio del male collettivo in tutte le forme diverse in cui si è manifestato nella storia: è il contenuto drammatico del saggio La politica del male. Il nemico e le categorie politiche della violenza, pubblicato dalla casa editrice indipendente lucchese Tralerighe Libri a febbraio 2019 (300 pagine), a firma del ricercatore Renzo Paternoster, che vive e scrive a Gravina, nel territorio interno murgiano della provincia di Bari.

Nel prologo, colpisce la citazione tratta dalla lettera che un preside americano usava proporre all’inizio dell’anno scolastico agli insegnanti del suo liceo. Non si può non riportarla integralmente, per far cogliere interamente il suo significato.

"Caro professore, sono un sopravvissuto di un campo di concentramento… ho visto camere a gas costruite da ingegneri preparati; bambini avvelenati da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini bruciati da diplomati di scuole superiori e università. Diffido dell’educazione. La mia richiesta è: educate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non dovranno produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Heichmann istruiti."

I carnefici, quindi, non sono dei malati ma persone normali, non sono portati per natura alla violenza, è la propaganda a spingerli a trasformarsi in boia, giustificando un ruolo atroce dietro la comoda trincea del “noi”, opposta a “quelli”: noi migliori, quelli estranei, diversi, inferiori.
Se Paternoster si occupa di violenza politica è per affermare l’esigenza di rispettare sempre e dovunque i diritti umani. Avviati gli studi in architettura nella seconda metà degli anni Ottanta (è nato nel 1965), ha deciso di passare a quelli sociali, laureandosi in scienze politiche. Si è impegnato in un primo tempo all’insegnamento, prima di dedicarsi a tempo pieno alla ricerca, alla divulgazione e alla pubblicistica. Collabora con riviste di sociopolitica, fa parte della redazione della testata online “Storia in network” ed è tra gli autori del periodico di studi politico-sociali “Filosofia e politica”. Ha firmato saggi brevi e altri testi, prima di questo lavoro di carattere multidisciplinare e contenuto tecnico ma discorsivo (l’autore possiede appieno la materia), tutt’altro che barboso.

L’intento non era scrivere una storia della violenza e nemmeno un trattato di sociologia della violenza: ne circolano parecchi, anche di pregevole stesura. L’autore assicura di aver voluto attrarre l’attenzione dei lettori sull’argomento per stimolare la riflessione e il pensiero critico.
La cattiveria non è connaturata, perché la natura dell’uomo non è affatto violenta. È una deriva politica criminale a indurlo alla violenza, a esigerla da lui. Non “belve umane”, ma una “politica da belve”, quando si assolutizza, quando si schiera.
Da qui l’analisi di cause, origini e manifestazioni spesso atroci della violenza collettiva, sociale e di stato. In pratica, è un excursus della politica criminale di parte dell’umanità a danno di un’altra, anche all’interno della stessa comunità nazionale, come nel caso di Pol Pot e del genocidio a scopo rieducativo nella Cambogia dei Khmer Rossi.

Certo, per lo più il nemico viene individuato in etnie o gruppi sociali diversi dal proprio, negli stranieri. Oggi, in Italia, una parte dell’opinione pubblica è avversa gli extracomunitari, anche se l’ostilità non passa a vie di fatto ma si limita allo stigma sociale e alle strumentalizzazioni politiche sovraniste. Non è stato tuttavia un fenomeno raro l’esercizio di prevaricazioni, esclusioni e violenze a danno di minoranze connazionali di vario genere o di quanti professavano un’altra fede religiosa o seguivano un’altra ideologia politica. Sempre per restare all’Italia e facendo rapidi esempi, vanno ricordate le leggi razziali del 1938, che da un giorno all’altro resero alieni gli italiani di nascita e religione ebraica, considerati “diversi” e “inferiori” a furore di norme statali, rispetto agli altri cittadini. Persero ogni diritto legale, civile, umano, agli occhi della “razza ariana”, diventata tale sempre da un giorno all’altro, per i provvedimenti fascisti non ostacolati da re Vittorio Emanuele III.
Gli israeliti erano diventati “il nemico”, una categoria che si presta a precisi disegni politici, facendo convergere contro un gruppo ben identificato le paure e le ostilità di un altro gruppo, vicino a chi esercita il potere.

Il male è sempre stato presente nella storia dell’uomo. L’etimologia deriva dal latino malus, cattivo, è “una disposizione negativa in campo etico-morale” scrive Paternoster: l’esatto e forse necessario opposto del bene. L’uno e l’altro “racchiudono le nostre le norme e i valori dell’agire”. Il male è una condotta che ostacola, intralcia e contrasta la libera manifestazione dell’essere.
Abbiamo fatto esempi precisi: il sovranismo, le leggi razziali, i Khmer, ma nulla può giustificare le forme anche estreme di crudeltà osservate nei tempi. Il patrimonio di un popolo non vale più di quello di un altro, sono equivalenti. Tutte le vittime hanno pari dignità.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La politica del male. Il nemico e le categorie politiche della violenza

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