La morte non sa leggere
- Autore: Ruth Rendell
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
Annie Wilkes è in fondo l’altra faccia di Eunice Parchman. Le accomunano l’ideazione malata e l’a-moralità con cui espletano i loro delitti. Se ancora questi nomi non vi dicono niente, vi aiuteranno i titoli dei romanzi di cui sono protagoniste: uno è “Misery”, di Stephen King (1987); l’altro “La morte non sa leggere” di Ruth Rendell (1977).
Annie è la lettrice compulsiva di romanzetti rosa-pulp che sevizia il suo scrittore preferito - peraltro facendo fuori un bel po’ di altra gente -, Eunice la domestica che per salvaguardare il segreto del suo analfabetismo finisce con lo sterminare un’intera famiglia. Annie legge soltanto romanzi spazzatura, Eunice, il suo doppio-antesignano, ha invece la fobia della pagina scritta. Nella fattispecie: l’ignoranza come pulsione di morte che assimila entrambe le anti-eroine è la chiave di volta per tradurre psicanaliticamente il capolavoro di Ruth Rendell. Il resto sanno farlo due cose: lo scavo psicologico operato su tutti i personaggi (indimenticabile la descrizione del precipitare nella follia di Joan Smith, co-autrice del massacro) e l’esatto dosaggio della tensione che resta altissima per tutto il libro. Nonostante non venga sottaciuto l’involversi degli eventi, e questo sin dall’inizio.
“Eunice Parchman sterminò la famiglia Coverdale perché non sapeva leggere, perché non sapeva scrivere. Non c’era movente, non ci fu premeditazione: non ottenne denaro, né sicurezza. Gli unici risultati furono che un’intera famiglia scomparve dalla terra, tutta la nazione conobbe Eunice per il suo analfabetismo e lei fu rovinata per sempre. Essere analfabeta è come essere deformi, incivili: se l’illetterato vive tra i suoi simili, tutto scorre bene, non viene emarginato e può anche riuscire a nascondere il suo limite, ma Eunice era andata a servizio in una famiglia particolarmente colta. Se i Coverdale fossero stati borghesi poco istruiti, oggi sarebbero ancora vivi...”.
Muovendo da simili presupposti, “La morte non sa leggere” articola i possibili risvolti del suo plot intorno ai se. Intorno a una sequenza reiterata di coincidenze (di fatalità) che fanno sì che le cose declinino verso la morte nel modo esatto in cui devono declinare verso la morte. In altre parole: è come se Ruth Rendell si fosse crudelmente impegnata a controbilanciare ogni momento topico della storia con l’oculato inserimento di sliding doors, possibilità alternative che se realizzate avrebbero cambiato il corso degli eventi. Uccisi e/o uccisori poco importa: la vita è soltanto una questione di incroci. Aldilà delle sue possibili traduzioni, “La morte non sa leggere” è un noir che non dà tregua. Claustrofobico, serrato, eppure capace di traghettare il genere verso stratificazioni degne della migliore letteratura.
La morte non sa leggere - Ruth Rendell
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