

Nel componimento in dialetto friulano La miej zoventtùt (1953), che intitola la raccolta La meglio gioventù (Sansoni, Firenze, 1954), Pier Paolo Pasolini punta inizialmente l’attenzione sulle ragioni dell’individuo che non trova ragioni né del mondo né della relazione col Signore, indifferente alla sua solitudine.
A mo’ di novello Giobbe il poeta glielo fa presente:
Signòur, i sin bessòj, no ti clamis pì! // No ti ni òlmis pì an par an, dì par dì!
Letteralmente: Signore, siamo soli, non ci chiami più! Non ci guardi più, anno per anno, giorno per giorno!.
Si profila il motivo dell’abbandono come oscurità contrapposta allo splendore divino, dando luogo ad una sorta di dualismo gnostico che postula una trascendenza assoluta, estranea al male dell’umanità.
Ostentando aridità, vuoto, solitudine, oltre a constatare la “divina indifferenza” celebrata da Montale, il poeta sostiene che nessuna risposta è possibile in merito alla presenza del male e del bene.
Tutto è rimasto senza mutamenti da trenta secoli ad ora.
Scopriamo testo e analisi della poesia La meglio gioventù dedicata alla diaspora dei giovani che migrano all’estero in cerca di lavoro.
“La meglio gioventù” di Pier Paolo Pasolini: testo, analisi e commento


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La lirica di Pasolini, permeata da una malinconia senza riparo, rappresenta poi la fatica del lavoro:
Dis di vura! Dis muàrs! A svolta la careta / su viès la stassiòn par la plassa quieta, / e a si ferma denànt la s-cialinada nova / russànt tal glerìn che il puòr soreli al sbrova. // Li sbaris son sieradis doi càmios a spètin / fers tra i rudinàs, tra bars di cassis secis, / e na veciuta a poca na cariola stiìnzìnt / afanada na ponta dal fassolèt cui dinc...”
Che in italiano recita così:
Giorni di lavoro! Giorni morti! Svolta la carretta su verso la stazione per la piazza quieta, e si ferma davanti alla scalinata nuova, cigolando sul ghiaino che scotta al povero sole. Sono chiuse le sbarre, due auutocarri aspettano fermi tra i calcinacci, tra siepi di acacie secche, e una vecchietta spinge la carriola stringendo, affannata, una punta del fazzoletto tra i denti...
È il dramma della partenza che impoverisce perfino il sole.
La “meglio gioventù” abbandona il paese per emigrare all’estero in cerca di lavoro, andando incontro all’ignoto. La sconfitta e il malessere sono stemperate con il ricorso a una corale euforia e l’atmosfera di grigiore si muta nell’allegria come a volere ignorare la nuova avventura.
Così Pasolini introduce una sintassi del profondo dentro la precisa consapevolezza che coniuga stordimenti e disperazioni.
Potremmo dirla una poesia dell’amaro destino dove confluiscono pulsioni emozionali.
La miej zoventtùt di Pasolini: testo
Un puc ciocs a ciàntin la matina bunora
cui fassolès ros strens atòr la gola,
e a comàndin sgrausìs quatri litros di vjn
e cafè par li zòvjnjs che ormai tàzin planzìnt.
Vegnèit, trenos, ciamàìt chis-ciu fantàs ch’a ciàntin
cui so blusòns inglèjs e li majetis blancjs.
Vegnèit, trenos, puartàit lontàn la zoventùt
a sarcià par il mond chel che cà a è pierdùt.
Puartàit, trenos, pal mond a no ridi mai pì
chis-ciu legris fantàs paràs via dal paìs.
La miej zoventtùt di Pasolini: traduzione
Un poco ubriachi cantano, alla mattina presto,
coi fazzoletti rossi stretti intorno alla gola,
poi comandano rauchi quattro litri di vino
e caffè per le ragazze, che ormai tacciono piangendo.
Venite, treni, caricate questi giovani che cantano
coi loro blusoni inglesi e le magliette bianche.
Venite, treni, portate lontano la gioventù
a cercare per il mondo ciò che qui è perduto.
Portate, treni, per il mondo, a non ridere mai più,
questi allegri ragazzi scacciati dal paese.
La realtà, nella sua duplice articolazione di storia e di vissuto, si frantuma e produce una sorta di straniamento. Bevono e cantano quei giovani che stanno per emigrare mentre le ragazze, non sapendo fingere, piangono senza parlare. Tutto questo esprime la consapevolezza dell’imminente distacco, ed ecco che la voce poetica si muove nell’accensione recitativa per mostrare il volto dell’emigrazione: cercare altrove ciò che nel paese è irrimediabilmente perduto. Da esiliati con la morte nell’animo i ragazzi dovranno rinunciare alla loro spensieratezza, alla libertà, alla loro appartenenza contadina”
A prendere corpo è una testimonianza resa dal poeta nella dimensione del fallimento. L’estero dunque diventa luogo di esilio, emblema della “non-appartenenza”.
Costante è la forza espressiva tenuta in tensione attraverso fresche immagini e da una voce poetica ricca di palpitante quotidianità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La meglio gioventù”: la poesia di Pier Paolo Pasolini dedicata ai giovani che vanno all’estero per lavorare
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