La Canzone di Šaljapin
- Autore: Ivy Low Litvinov
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2025
La Canzone di Šaljapin (Ago, 2025, traduzione di Susanna Marrelli Ricci) è il racconto di un omicidio in stile Agatha Christie ambientato all’ombra del Cremlino, la prima edizione italiana di un noir pubblicato nel 1930 di una grande autrice dimenticata, protagonista della storia del Novecento, riportata oggi all’attenzione dei lettori.
Ivy Low Litvinov nacque a Londra in una famiglia anglo-ebrea. La sua infanzia vittoriana infelice e repressa (era ancora una bambina quando morì il padre) la portò a una giovanile carriera letteraria e ben presto si avvicinò agli ambienti letterari inglesi, divenendo amica di D.H. Lawrence e Catherine Carswell. Sposò Maxim Litvinov, rivoluzionario russo in esilio a Londra, e nel 1920 si trasferisce a Mosca. Quando Stalin strinse il patto con Hitler, Litvinov, ebreo, dovette lasciare il paese. Negli anni della Seconda Guerra mondiale vissero a Washington, e Ivy pubblicherà alcuni racconti sul “New York Times”: venne invitata a pranzo da Eleanor Roosevelt. Il suo rapporto con il marito fu alquanto turbolento, con lunghi periodi di separazione: entrambi ebbero numerose relazioni extraconiugali. Alla morte di Maxim, Ivy si trasferirà a Hove, cittadina nel cuore dell’Inghilterra, fino alla sua morte. È stata una scrittrice piena di talento, pensava e scriveva in inglese, e alle opere russe apportava il suo stile letterario straniero e la sua cultura aperta.
La Canzone di Šaljapin è il romanzo che le aveva fatto superato un triste periodo nel quale non era riuscita più a scrivere. Era tornata felicemente alla scrittura dopo una seduta di ipnosi. Non riuscì a farlo pubblicare a Mosca, perché considerato troppo realistico, e dovette accontentarsi dell’edizione inglese nel 1930. Nonostante avesse vissuto gran parte della sua vita adulta in Unione Sovietica, Ivy Litvinov non accettò mai la politica sovietica. Come donna e scrittrice, rifletteva il mondo in cui era cresciuta; il nonno era uno speculatore nella City di Londra e insieme a Charles Darwin aveva fondato, nell’epoca vittoriana, una congregazione eretica di liberi pensatori. Brillante autrice, riteneva la politica di scarsa importanza, la religione e la morale una farsa e la passione amorosa a volte sterile.
Un sabato notte del febbraio del 1926 nella città addormentata e intrappolata nel gelo, con il palazzo del Cremlino che dominava le sue piazze, Arkadij Petrovic Pavlov, rappresentante nella capitale di una ditta di legname della Siberia, viene assassinato.
La città non sembrava tanto addormentata quanto strangolata, imprigionata nel gelo. Il palazzo del Cremlino e le sue numerose chiese e guglie si affacciavano, oltre le mura dentate, su piazze silenziose, ponti deserti e strade abbandonate.
La città di Mosca era uscita dalla Rivoluzione Russa e dalla Guerra Civile, e il Paese aveva iniziato una fase di rapido sviluppo industriale per rilanciare l’economia del Paese dopo le rigidezze dell’economia di guerra. La rivoluzione e le carestie avevano lasciato per strada abbandonati a se stessi orfani, ragazzi e bambini, chiamati randagi, che vivevano le notti gelide in città divisi in bande. Vagavano di notte, vivevano di crimini e nessuno conosceva le loro abitudini o dove vivessero.
Pavlov era un uomo di bell’aspetto, gentile con tutti, con una sorella a New York; viveva agiatamente, curava il suo lavoro in ufficio e si dedicava alla sue passioni per il teatro e il balletto d’opera. Riverso sul grammofono, era stato ritrovato dalla moglie del portiere dell’intero complesso, che come ogni mattina gli portava la colazione. La vittima era stata colpita al collo con un pugnale. L’appartamento, agli occhi del commissario Nikulin e l’ispettore Janovitskij, non si presentava a soqquadro; solo lo scrittorio della vittima era in disordine, con in vista una statuetta di ceramica di una ballerina. Quando la testa della vittima venne sollevata, “nel silenzio assorto e naturale” si sentì una voce: era una canzone di Saljapin.
I due investigatori troveranno riviste francesi difficili da reperire a Mosca ma che deliziavano lo spirito e, accanto al pugnale, monete di latta dorate, ornamento di vestiti d’opera. Tra i documenti un programma del teatro Bolshoi datato il giorno dell’omicidio e un biglietto firmato con la lettera S. Chi poteva averlo ucciso e perché? Chi era stato in quell’appartamento in quella notte gelida? Secondo il commissario, Pavlov era uno di quei tipici russi la cui bontà copriva una moltitudine di peccati. Un uomo che divideva il suo tempo tra l’ufficio e i teatri.
Il guardiano notturno e il portinaio avevano visto entrare una ragazza dopo la mezzanotte in casa della vittima e andar via all’incirca un’ora dopo, ma non conoscevano la sua identità. Le monete potevano appartenere a un costume del corpo di ballo e bisognava indagare presso il Teatro Bolshoi. La giovane Tamara Dolidzej, ancora adolescente, proveniva da un quartiere povero della città e il suo talento l’aveva portata nel corpo di ballo. Per arrotondare si recava nell’appartamento della vittima a ballare per lui. Quella sera, con il vestito e un pugnale di scena, era stata da Pavlov e era andata via all’una di notte. Per il direttore del teatro era la migliore di tutte quelle che aveva avuto nella sua scuola, una Pavlova in erba. Chi avrebbe creduto nell’innocenza della giovane Tamara? Le prove contro di lei erano troppo inconfutabili.
Una lettera anonima svelerà un mistero su Pavlov. Spedita dalla Siberia orientale, con una grafia quasi illeggibile, comunicava che l’uomo conosciuto come Arkadij Petrovic Pavlov altro non era che il capo di un famigerato stato maggiore dell’Aquila Bianca della campagna siberiana del 1919, e il suo vero nome era Malinovskij. Il suo assassinio era da considerarsi un omicidio politico per motivi di vendetta da parte di una delle infinite e numerose vittime. Il commissario Nikulin era a un bivio nelle sue indagini; per Tamara, nella cui innocenza credeva, e per la vittima che era stato nell’esercito di Kolchak, in una società politica segreta, e che poteva avere ancora un nemico in agguato.
La Canzone di Šaljapin è un noir politico arguto e intelligente, ambientato in una Russia in piena fase rivoluzionaria con tutte le sue contraddizioni. Un giallo intrigante, coinvolgente e con una prosa mozzafiato con cui l’autrice tesse una trama ricca di colpi di scena. Consigliato!
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