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Recensioni di libri

L’inganno delle tenebre di Jean Christophe Grangé

Garzanti, 2017 - Nel secondo titolo della saga dei Morvàn, nuovi sviluppi delle indagini sull’Uomo Chiodo e un ritorno in Congo, dove papà Gregoire ha creato le fortune della famiglia negli anni Settanta.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 12-12-2017

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L'inganno delle tenebre

L’inganno delle tenebre

  • Autore: Jean-Christophe Grangé
  • Genere: Gialli, Noir, Thriller
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Garzanti
  • Anno di pubblicazione: 2017

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Un gran romanzo, quasi settecento pagine di ottimo Jean-Christophe Grangé. Il campione del poliziesco francese e internazionale vede approdare in Italia il sequel della serie Morvàn, avviata da “Il rituale del male” (Garzanti, 2016). Il nuovo volume è “L’inganno delle tenebre” (Garzanti, ottobre 2017, pp. 694, euro 19,90), continuazione fedele delle dinamiche conflittuali di padre e figlio Morvàn, Gregoire ed Erwan.
Una saga familiare, una conferma dell’autore di noir che grondano sangue e che propongono membra e viscere artisticamente scomposte e ricomposte. Non per niente Jean-Christophe Grangé è l’autore del leggendario “I fiumi di porpora” (ultima edizione Garzanti nel 2010, un tascabile), dal quale è stato tratto un ottimo film, interpretato da Vincent Cassel e da un Jean Reno in gran forma.
Chi, non conoscendolo, può credere di avere a che fare con pagine splatter sappia che sbaglia di grosso. L’eleganza della sua scrittura sterilizza gli schizzi di sangue e i corpi lacerati, che in mano ad altri sarebbero condannati a restare orrori un tanto al chilo o macelleria da Grand Guignol. Il suo gusto del raccapricciante è sempre straordinariamente figurativo. Si potrebbe definire artistico, appunto. Pur esplicito nel dettaglio, il raffinato Jean-Christophe Grangé resta un l’antispatter per eccellenza.

I Morvàn sono ancora una volta in Congo. Papà Gregoire vi era stato esiliato negli anni della contestazione giovanile, perché troppo estremista per gli standard della polizia dell’epoca: bravissimo, motivato, ma comunista.
In quegli anni il territorio centroafricano era sconvolto dalla guerra civile. A quasi sessant’anni di distanza l’attuale Repubblica Democratica del Congo vive un periodo più sereno. Gregoire, il generale Morvàn, è ricchissimo, un uomo di apparati, un uomo di potere, un corruttore.
Il figlio Erwan è il comandante della squadra Omicidi di Parigi, poliziotto capace e brava persona, niente a che vedere con le ombre e le luci del genitore, nel passato e nel presente.
Ora sono entrambi di nuovo in Congo. Nove ore per atterrare a Lumumbashi, altre quattro di volo per arrivare nella provincia del Katanga, la più ricca, sotto la costante minaccia di una guerra. Il gigantesco Gregoire, un metro e novanta d’altezza per centoventi chili di peso, aveva fatto di tutto per convincere il Morvàn giovane a desistere dal viaggio in Africa, ma visto che non c’era riuscito, aveva deciso di aggregarsi. Il vecchio può cogliere due opportunità in questo modo: sorvegliare le indagini da vicino e avviare lo sfruttamento di nuovi filoni nei giacimenti congolesi controllati dalla società che domina.
Erwan lo vede accanto di malavoglia. Avrebbe preferito mille volte stare solo. Ama l’autonomia e gli servirebbe come il pane agire in solitudine. Vuole trovare informazioni sul caso vecchio di quarant’anni che ha riesumato. È partito per il Katanga senza sapere bene cosa aspettarsi. A volte è colto dal sospetto che il padre a suo tempo abbia coperto il vero assassino di Katherine Fontana, altre pensa che Gregoire fosse convinto in buona fede della colpevolezza di Thierry Pharabot, come tutti, del resto. Era già un miracolo aver condotto quella indagine senza uomini, senza mezzi, indizi e testimoni, in un territorio sconvolto da tensioni gravissime e in un decennio poco tecnologico, prima ancora che lui stesso e la sorella Gaelle nascessero.

L’Uomo Chiodo era un serial killer. Aveva ucciso sette vittime (o sei, resta il dubbio della Fontana), straziandole, infilzandole con chiodi e frammenti di specchi, trasformandole in imitazioni delle statuette rituali congolesi, i minkondi. Erwan ha scoperto il luogo dove sono custoditi gli atti originali del processo locale al Pharabot. È il Collegio di San Francesco di Sales. Si trova proprio lì dove sono arrivati.
Conta di raggiungerlo l’indomani, ma non fa in tempo. Quella notte l’istituto brucia. Vanno in fumo i nomi dei testimoni, gli atti, le prove circostanziate dei crimini dell’Uomo Chiodo.
Svegliato dalle fiamme, Morvàn junior guarda impotente l’incendio e poi volge lo sguardo al padre, che appare freddo, indifferente rispetto a quanto sta accadendo. Rivolge un cenno sconsolato al figlio, che si convince di aver ben compreso chi abbia appiccato il fuoco al Saint Francois de Sales.
C’è un’altra Morvàn, oltre a Loic, il terzo figlio, cocainomane perso. È Gaelle, un passato tutto da studiare per il suo psicoterapeuta: il dolore per la bella madre tiranneggiata e torturata psicologicamente da papà Gregoire, l’anoressia, i tentativi di suicidio, le crisi psicotiche, la vita d’attrice, gli uomini, l’attività da escort, la prostituzione.
Quello che si può aggiungere è che tutti i Morvàn saranno in azione nel romanzo, che il minore, Loic, avrà la possibilità di riscattarsi (ha una moglie e due figli, dopotutto) e che la vicenda congolese avrà tanto da dire al maggiore, Erwan.
In Francia, intanto, un emulo dell’Uomo Chiodo entra in azione e punta diritto contro la famiglia del generale, l’onnipotente Gregoire.

L'inganno delle tenebre

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’inganno delle tenebre

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