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Recensioni di libri

L’Italia di Salò. 1943-1945 di Mario Avagliano e Marco Palmieri

Il Mulino, 2017 - Un giornalista e un saggista cercano di leggere senza preconcetti la storia mai condivisa dei seicento giorni della Repubblica Sociale di Mussolini e di chi rimase fedele al fascismo.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 29-06-2017

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L'Italia di Salò. 1943-1945

L’Italia di Salò. 1943-1945

  • Autore: Mario Avagliano Marco Palmieri
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: il Mulino
  • Anno di pubblicazione: 2017

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Dal trauma dell’armistizio dell’8 settembre alla resa dell’aprile 1945, passando per la guerra civile, la guerra ai civili e la guerriglia coi partigiani. I seicento giorni della Repubblica Sociale Italiana e dei suoi uomini sono ricostruiti in un ampio studio storico dal giornalista Mario Avagliano e dal saggista Marco Palmieri, specializzato in storia del Novecento fascista e in particolare delle persecuzioni razziali contro gli ebrei. Il titolo è “L’Italia di Salò. 1943-1945”, da aprile 2017 nella collana Biblioteca storica delle edizioni Il Mulino (pp. 490, euro 28,00). Un valido tentativo di leggere senza preconcetti e pregiudizi politici la storia difficile e mai condivisa dei seicento giorni della repubblica di Mussolini.

L’Italia della RSI, quindi, ma soprattutto gli italiani di Salò: le camicie nere irriducibili, i combattenti, i non combattenti, i giovanissimi esaltati dalla retorica mussoliniana, i ragazzi di leva che non si sottrassero all’arruolamento, le ausiliarie, i criminali, i torturatori, gli assassini. Nelle formazioni repubblichine confluì anche una minoranza degli oltre seicentomila militari internati dai tedeschi dopo lo sbando delle Forze Armate, abbandonate dal re al loro destino. La maggior parte disse orgogliosamente «NO!» e rimase nei lager, a patire la fame e gli stenti.
Il contesto storico iniziale è noto. L’8 settembre non segnò la fine della guerra in Italia. Dopo tre anni e più di sconfitte, bombardamenti, lutti, miserie alimentari e di tutti i generi, gli italiani erano allo stremo e avevano salutato con entusiasmo la caduta del regime. Si accorsero con sgomento che non era finito niente. Il Paese si andava trasformando in un grande campo di battaglia.
Gli angloamericani avanzavano lentamente da Sud contro i germanici, che si attestavano a difesa di una linea appenninica dopo l’altra. La Gotica, dalla Versilia ai lidi ravennati, venne superata solo ad aprile del 1945. Il Centro e soprattutto il Nord erano intanto teatro di una guerra civile sanguinosa, che opponeva italiani a italiani, i resistenti antifascisti (partigiani in montagna e gappisti in città) contro lo schieramento nazifascista.
Il 12 settembre 1943, un commando di paracadutisti tedeschi aveva liberato Mussolini dall’albergo sul Gran Sasso in cui era custodito. Condotto da Hitler, accettò di costituire uno stato fascista, sottoposto alla Germania. Il 18 settembre, la sua voce annunciò da Radio Monaco la nascita della Repubblica Sociale, che assunse la giurisdizione formale del territorio italiano occupato dai tedeschi, ad eccezione dell’Alto Adige e della Venezia Giulia, retti da gauleiter del Reich.
Nei venti mesi successivi, fino alla Liberazione, da una parte si fondarono con la Resistenza i valori dell’Italia democratica che sarebbe nata dalla guerra, dall’altra si scatenarono repressioni e barbare rappresaglie che costarono un numero di vite elevatissimo. I numeri: 45.000 partigiani caduti (14.000 all’estero) nei combattimenti, per le ferite e le esecuzioni. 10.000 vittime tra i 24.000 deportati politici nei lager nazisti, ai quali vanno aggiunti 4.000-5.000 detenuti nel territorio di Bolzano e nella Risiera di San Sabba, quasi 24.000 civili coinvolti in eccidi, stragi e uccisioni nazifasciste, diverse migliaia di vittime tra i militari internati, 13.000 morti nel trasferimento dalle isole greche e 29.000 negli episodi di resistenza al momento della cattura e del disarmo, di cui il più noto ma non unico fu Cefalonia.
La RSI perse oltre 45.000 militari e civili (circa 10.000 dopo la Liberazione, per vendetta o esecuzioni sommarie), comprese le vittime dei bombardamenti alleati.
Gli ultimi giorni della Repubblica di Salò videro diversificarsi in un clima di caos disperato i destini di quanti erano rimasti fedeli al regime fascista. Si va da quelli che non trovando altra via di uscita non rinunciarono a combattere senza scopo (i franchi tiratori) a chi scelse di togliersi la vita.
Altri invece presero atto della sconfitta e cercarono con vario esito di tentare accordi in extremis con Alleati o partigiani, di scampare alle vendette o di far perdere le tracce, nella speranza di venire dimenticati.
Nel complesso, però, come ricordano gli autori,

“il grande portato ideologico che ha spinto tanti uomini e donne a seguire con convinzione Mussolini nel colpo di coda del fascismo a Salò appare travolto nel caotico clima caratterizzato dal fuggi fuggi generale, anche se non si può dire che la sconfitta comporterà un superamento definitivo del fascismo e per certi versi della stessa guerra civile, visto che continueranno a far sentire la loro influenza anche nel dopoguerra”.

Dalla fine del conflitto, se la Resistenza ha meritato l’attenzione della storiografia e della diaristica, le vicende di tanti italiani che scelsero di combattere per la RSI è rimasta a lungo marginale, finendo per rappresentare a lungo un buco nero della memoria collettiva.
A cavallo del nuovo millennio, una storiografia di tenore revisionistico ha cominciato a ricostruire il periodo secondo la prospettiva dei fascisti, alimentando la vulgata del cosiddetto “sangue dei vinti”, strenuamente contrastata dalla sinistra e dall’ANPI. È allora che racconti del famigerato “triangolo rosso” reggioemiliano della morte hanno trovato spazio. Ma da una contrapposizione di accuse reciproche di crudeltà non nasce una storia condivisa.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’Italia di Salò. 1943-1945

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