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Recensioni di libri

Il virus che rende folli di Bernard-Henri Lévy

La nave di Teseo, 2020 - Lockdown, mascherine, distanziamento sociale: misure purtroppo necessarie durante una pandemia come quella che stiamo attraversando. Ma fino a che punto questa individualità forzata è un vero sacrificio, e non un facile alibi per chiudersi a riccio ed escludere dalla nostra vita il mondo, vantandoci allo stesso tempo di salvarlo?

Cristina Giuntini
Cristina Giuntini Pubblicato il 15-01-2021

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Il virus che rende folli

Il virus che rende folli

  • Autore: Bernard-Henri Lévy
  • Genere: Filosofia e Sociologia
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2020

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Sull’emergenza sanitaria che il mondo sta vivendo da ormai più di un anno sono state spese milioni e milioni di parole, per alcuni non abbastanza, per altri di gran lunga troppe. Mentre ancora le soluzioni mediche alla pandemia sono ancorate alla speranza e alla sperimentazione, gli esseri umani sono provati, sfibrati, fisicamente e moralmente. La ripetizione sistematica, vomitata in continuazione dai mass media e dai social network, di termini come lockdown, emergenza, sacrificio, di facili slogan come “Andrà tutto bene”, di raccomandazioni perentorie e risapute sulla necessità di chiudersi in casa e indossare bene la mascherina sta mettendo a dura prova il benessere psicofisico di gran parte della popolazione, mentre l’economia è già profondamente immersa in una crisi di cui molto probabilmente abbiamo visto, finora, solo l’inizio, e che si profila come una delle peggiori a memoria d’uomo.

Malgrado questo, pochi hanno il coraggio di interrogarsi sull’effettiva opportunità delle misure prese, e sulle conseguenze future di questo clima di terrore e controllo.
Bernard-Henry Lévy, filosofo, giornalista, con più di trenta libri all’attivo, è una voce fuori dal coro. Una voce arrabbiata, indignata, una voce che, in questo momento in cui la paura sembra paralizzare il mondo, ha il coraggio di porsi domande, di riflettere e di criticare. Attenzione, però: non stiamo assolutamente parlando di negazionismo. Non è intenzione di Lévy sconfessare l’esistenza del virus, che non viene minimamente messa in dubbio, così come l’abnegazione e il grande lavoro che il personale sanitario sta svolgendo in questo stato di emergenza. Quello che l’autore, nel breve e scorrevole saggio Il virus che rende folli (La nave di Teseo, 2020, trad. Anna Maria Lorusso), sconfessa e, anzi, attacca in un durissimo e, come qualcuno l’ha già definito, liberatorio “j’accuse”, è la reazione delle popolazioni alle pur necessarie misure di isolamento e confinamento prese dai governi, la tendenza generale a considerarle non un inevitabile e duro sacrificio, ma una benedizione, un sospiro di sollievo, un modo per ritrovare se stessi, addirittura un’oasi di pace, un paradiso lontano da quell’inferno che era diventato il mondo.
Certo, il mondo non è mai stato un paradiso, Lévy ne è consapevole. Tanto è vero che, nel corso dei secoli, si sono susseguite pandemie, alcune delle quali nessuno più ricorda, ben più spaventose di quella attuale, e che hanno mietuto più vittime: ma mai prima d’ora si era assistito a questa paralisi generale, non solo imposta dai governi, ma accettata di buon grado dalla popolazione. Che cosa può essere successo, stavolta? Per quale motivo un virus, per quanto grave, ha paralizzato il mondo?

Lévy punta il dito, innanzitutto, sulla spettacolarizzazione dei medici, che vengono idolatrati e considerati infallibili, quando la medicina non lo è: anzi, la verità scientifica, come affermava il filosofo ed epistemologo Gaston Bachelard, non è che un “errore rettificato”. Stigmatizza l’ingenua ammirazione della natura che “liberata dall’uomo, rivive durante la pandemia”. Mette in guardia contro i pericoli di un lockdown che, da costrizione, diventa situazione di comodo suffragata da citazioni di Pascal e Sartre veicolate tramite Facebook, ma epurate di metà del loro significato. Attacca l’egoismo di chi, salvando il mondo dal proprio divano, ha in realtà dimenticato quella parte di mondo che l’aveva sempre disturbato: i poveri, gli emarginati, sempre più abbandonati.

Lévy, come detto, non è un negazionista, ha sempre seguito le regole, ha a cuore la natura, è un attivista, non avalla i comportamenti incoscienti: ma, allo stesso tempo, è profondamente convinto che dobbiamo tornare a vivere, perché non ha senso curare i corpi se le anime imputridiscono, e perché una vita confinata in casa, schermata da una rete che ci procura tutto quello di cui abbiamo bisogno, dal cibo al sesso, dalle amicizie all’istruzione, non è che un colossale inganno, un “io” senza “noi” che, a lungo andare, potrà solo condurci alla rovina. Un pensiero deviante e coraggioso che è doveroso ascoltare e prendere in considerazione, magari anche per restare su di una posizione diversa, ma avendo comunque fatto un importante esercizio di riflessione.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Un libro perfetto per...

E’ un libro per chi ama riflettere, ascoltare diverse campane e non necessariamente allinearsi al pensiero generale: quantomeno, non senza averlo prima confrontato con altre opinioni.

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il virus che rende folli

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