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Recensioni di libri

Il talento del crimine di Jill Dawson

Carbonio Editore, 2018 - Siamo nel Suffolk inglese, dove Patricia Highsmith si è rifugiata per lavorare al suo nuovo romanzo, ma la sua tranquillità viene impedita dalla visita di una giornalista. È l’inizio di un’articolata parabola criminale.

Mario Bonanno
Mario Bonanno Pubblicato il 15-01-2019
Il talento del crimine

Il talento del crimine

  • Autore: Jill Dawson
  • Genere: Gialli, Noir, Thriller
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Carbonio editore
  • Anno di pubblicazione: 2018

“Il talento del crimine” (Carbonio Editore 2018) è senza dubbio un romanzo di suspense, di una suspense elegante, tutta di testa. Interiore, per dirla in una parola. Lo ha scritto la bravissima Jill Dawson ed è ispirato a vita e opere di Patricia Highsmith: dove finisce l’una e cominciano le altre sta al lettore scoprirlo (prima che in appendice la Dawson ci sveli tutte le sue fonti e i rimandi). “Il talento del crimine” è dunque un romanzo mise en abyme per interposta autrice e al contempo uno sghembo biopic, che sembra scaturito dalla penna della stessa Highsmith. Diversi fantasmi, tra vissuto, immaginato, misantropia, lumache (di cui la Highsmith era davvero una sorta di allevatrice) e allucinazioni, per un thriller esistenziale - vivaddio senza killer seriali - che si legge d’un fiato: un po’ per sapere come va a finire (più che legittimo), un po’ per apprendere di più del microcosmo crime story – tra vita e romanzi - della scrittrice americana. Assodato il fatto che la vita altro non è che una crime story, se non altro potenziale. La trama in poche righe e poi una citazione, esemplare del nitore stratificato della scrittura di Jill Dawson.

Siamo nell’uggiosa campagna del Suffolk inglese, dove Patricia Highsmith si è rifugiata per lavorare al suo nuovo romanzo e sottrarsi alle persecuzioni di un ammiratore sconosciuto. La sua tranquillità (di per sé già alquanto relativa) viene impedita dalla visita di un’intraprendente giornalista, dal volto stranamente familiare, e dall’arrivo dell’amante, una Samantha tanto elegante quanto freddina e già sposata (con figlia). È l’inizio di un’articolata parabola criminale – spesa tra attrazioni fatali, traumi del passato, non-detti e altrettanti sospetti – vissuta dalla Highsmith con l’ambivalenza fiammeggiante che gli era tipica. Basta così perché le sorprese non vanno rovinate e il romanzo è pieno di meta-significanze poste sul trinomio vita/morte/scrittura. Il passaggio che segue potrebbe costituirne un esempio efficace. Si trova a pagina 118:

Al crematorio mi sono rilassata per un attimo. Ho pensato: quella ridicola tenda, la musica ad alto volume, lo sproloquio. Perché la gente fa di tutto per non vedere? E poi mi è venuto in mente il becchino di Ronnie, Tendert, che seppellisce quasi duecento persone all’anno. Fratello Morte. Possiede forse qualche genere di conoscenza che è preclusa al resto di noi? Dà forse maggior valore alla vita proprio perché trascorre ogni giorno a contatto con la morte? Si potrebbe pensare la stessa cosa degli scrittori che parlano di morte. Cercano di affrontarla e ogni volta falliscono. Le parole non sono la morte – batterle a macchina non la rende più vicina. Semmai le dà un’aura più romantica e, una volta catturata e inchiodata sulla pagina, le strappa denti e artigli. Quel fremito nel cuore della notte. Il fremito che senti quando la scorgi per un istante. Quello invece svanisce subito.

Sulla scorta di un insistito sovrapporsi di finzione e realtà, in un nitido alternarsi di prima e terza persona, la scrittura di Jill Dawson tiene il lettore incollato alla pagina fino a un finale che ne conferma i peggiori sospetti: le ombre (comprese quelle criminali) che - di fatto e in latenza – abitano il romanzo, ci sono prossime più di quanto ci piaccia pensare. L’ottima traduzione dall’inglese è di Matteo Curtoni e Maura Parolini.

Il talento del crimine

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il talento del crimine

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Commenti: 1

  • vincenzo
    15 gennaio 2019, 16:38

    Ho letto il libro e Mario ne fa una lettura incantata e piena di metafore. Chi ama Patricia Highsmith ha trovato pane per i suoi denti. Bello ricordarsi dei traduttori.

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