Il sortilegio
- Autore: Hermann Broch
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Carbonio editore
- Anno di pubblicazione: 2023
Ne Il sortilegio – scritto nel 1935 e ripubblicato il 10 novembre 2023 da Carbonio, trad. di Eugenia Martinez, con un’introduzione di Italo Alighiero Chiusano – Hermann Broch mette in scena lo iato tra razionalità e pensiero magico, tra (presunte) leggi di Natura e (falsificabili, nel senso di Popper) norme scientifiche.
La vicenda è ambientata nei primi anni Trenta, in uno sperduto agglomerato di case che le Alpi austriache nascondono alla vista del mondo. Un mondo segregato dal Mondo, in un’ampolla atemporale; una società di contadini, di eguali, dove non esistono le classi e la politica è una lontana invenzione delle città.
Poi un punto di discontinuità, una cesura: senza un motivo apparente fa la sua comparsa nel piccolo borgo un girovago, un senza–terra con nome italiano, Marius Ratti, la cui capacità seduttiva fa, lentamente ma inesorabilmente, breccia nella comunità.
Il racconto ha come habitat gli anni della crisi economica pervenuta in Europa dal crollo borsistico USA del 1929 che agevolò la presa del potere di Hitler nelle elezioni del 1933; in questo contesto, prendono piede le vetuste idee di una passata età dell’oro - idealizzata e re-interpretata alla luce della crisi del presente - intrise di pensiero magico, di metafisica, anacronistiche ma alla portata anche delle menti “semplici”: i lunghi deliri di Marius, dove si mescolano elementi sacri, pseudo morali sessuali, improbabili tesi sulla castità, in tutto in funzione di un ritorno all’ armonia con la Terra, il rifuggire dalla Razionalità che è identificata con il progresso.
Egli sa che il principio e la fine di tutto ciò che è umano sta nell’oscurità del sonno primigenio e dell’oblio; che ogni azione, ogni discorso, ogni attività, ogni abbandono, possono ricondurci nella foresta vergine ancestrale, e che la fiamma tenebrosa e sempre pronta a prorompere e a distruggere.
È fin troppo evidente cosa, nel libro, sia l’invisibile nascosto nel visibile: l’avvento un po’ ovunque in Europa dei totalitarismi, per dirla con Hannah Arendt, interpretati dall’autore secondo un angolo visuale ben preciso ovvero il rigetto dell’eredità dell’Illuminismo in termini di fiducia nella razionalità. È l’eredità filosofica contro la quale il neopositivista Broch, ingegnere ed ebreo, si contrappone cercando di contrastare il nuovo credo che si rifà a idee ultraterrene, come in Heidegger (“Adesso solo un Dio ci può salvare”), in Spengler (“Il tramonto dell’Occidente”) in Jünger (“L’Operaio”, dove utilizzando metafore biologiche e darwiniste si parla di “una nuova razza”).
L’avvento del nuovo ordine, secondo Broch, parte da una crisi, per esempio una depressione economica, una guerra, un’epidemia, in grado di falsificare la fede risposta nella Ragione, nella Scienza; questa crisi di fiducia conduce a far breccia all’irrazionalismo antiscientifico e antitecnologico che spiana la via al totalitarismo, al desiderio che un “illuminato” Padre della patria, un Cesare, ci venga a salvare.
Nel caso del periodo storico descritto, le crisi sono quella economica, la prima guerra mondiale, l’epidemia della spagnola e il peso culturale della “nuova” fisica, la meccanica quantistica che destabilizzava il comune senso: tutti eventi non secondari nell’aprire le stanze del potere alle dittature di destra.
Tutte le malattie provengono dalla mancanza di castità.
I contadini del piccolo borgo montano non riescono più ad avere fiducia in alcun tipo d’ordinamento razionale, percepiscono solo un mondo permeato dal caos creato dall’Uomo, una ferita sanguinante insensatezze: pertanto, si rivolgono al lato oscuro delle leggi esogene all’uomo, le leggi di Natura. Broch descrive con maestria questa transizione che trasforma degli onesti lavoratori della terra in un manipolo di ossessi e la loro vita in un labirinto di antinomie, ad esempio quella fra Ratti e l’anziana madre Gisson, archetipo della saggezza contadina e quella tra Wetchy, il cittadino da ostracizzare come incarnazione della modernità; tutte metafore della Germania gemente sotto il tallone di Hitler.
Tutte le sciagure del mondo provengono dagli uomini ai quali la terra è diventata estranea. Provengono dalle città… mi sono convinto sempre più che il contadino, con la sua ripugnanza per gli abitanti della città a ragione… i contadini di tutto il mondo si amano reciprocamente, se ci fossero soltanto contadini non ci sarebbero le guerre…
L’io narrante è un medico - giunto nel borgo dalla città a seguito del suicidio della compagna, ferita dall’incapacità della politica comunista di arginare la follia nazista - che descrive, impotente, il lento tramonto della ragione fino al baratro di un sacrificio umano, compiuto dagli abitanti, di una giovane donna; vi è un evidente parallelo tra il suicidio della compagna del medico e il sacrificio espiatorio della giovane invasata contadina: un isomorfismo dell’incapacità di gestire il moderno che, ad avviso dell’autore, colpisce sia l’estrema sinistra che l’estrema destra.
Entrambe le donne, come tutti i personaggi descritti, non comprendono - come i pesci del racconto di David Foster Wallace che non sapevano cosa fosse l’acqua eppure vi nuotavano - l’habitat nel quale vivono, si muovono, interagiscono con gli altri.
Il tempo dell’azione si avvicina. Il giorno della rappresaglia. Il giorno della vendetta. E allora guai ai nostri nemici! In verità, se volete essere dei vili maiali, meglio che ve ne andiate subito a casa.
Della genesi storica de Il sortilegio, parla diffusamente l’introduzione di Italo Alighiero Chiusano che introduce anche altri tentativi letterari di descrivere l’avvento dell’uomo nuovo, riconciliato con la Natura e in fuga dalla ragione, fermentato nell’humus della filosofia dei pensatori della reazione. Il primo di questi tentativi letterari è La tela del ragno di Joseph Roth, che risale al 1923, un anno dopo la marcia su Roma, dove si fa leva sul brigare di un insetto morale privo di ogni etica e appartenente al movimento nazionalista.
Qualche anno dopo, nel 1930, O. von Horváth - ne L’eterno piccolo borghese - descrive l’arrivismo meschino di un piccolo, insulso gregario del Nazismo; nello stesso anno Thomas Mann dipinge un indimenticabile archetipo del cialtrone fascista in Mario e il mago.
Ma il romanzo che più assomiglia a Il sortilegio è Doctor Faustus di Thomas Mann (1947): entrambi descrivono le radici psicologiche, tipicamente germaniche, del patto con il Diavolo, cioè dell’inclinazione dionisiaca dell’animo umano a optare per il Male.
La struttura linguistica è quella tipica di Broch - sperimentata sia nella Trilogia de I sonnambuli (1930) sia ne La Morte di Virgilio (1945) – che sancisce la fine del genere fiction, con un testo che diviene contemporaneamente, romance, saggio, documento storico e, forse più di qualsiasi altra cosa, trattato di filosofia.
Aspetti che l’autore gestisce contemporaneamente e, in un certo senso, nuocciono al contenuto meramente artistico del libro che in ogni caso si avvale della grande capacità tecnica-descrittiva dell’autore.
Il sortilegio
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