

Il nostro grande niente
- Autore: Emanuele Aldrovandi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2024
Ci si giura ti amerò per sempre, non ci sarà più nessuno dopo di te, di me. Desideriamo essere insostituibili, gli unici: o io, o nessun altro. E se un giorno, invece, accade qualcosa e veniamo perfettamente, o quasi, sostituiti? Che succede quando la vita di chi ci aveva giurato amore immortale continua, felice, anche senza di noi?
Succede che Emanuele Aldrovandi lo scrive nelle 185 pagine di Il nostro grande niente (Einaudi, 2024), in cui l’io narrante racconta il suo amore perfetto e insostituibile, fino a che qualcosa accade e quel tutto diventa discutibile, ritrattabile. Perché show must go on, e se lo spettacolo della vita va avanti e sa rendere gli altri ancora felici, capaci di sorridere di nuovo, di giocare, di progettare senza di noi, allora non siamo poi così unici e insostituibili. Aldrovandi ha avuto il coraggio di narrare quello che noi non vogliamo dire, che nascondiamo, anzi: non contempliamo, presi dall’assolutezza di ciò che stiamo vivendo.
Esiste un margine consolatorio? Sì. Perché anche se così fosse, anche se ci fosse davvero vita felice senza di noi, non lo sapremmo mai. Sta qui la consolazione. Quando noi finiamo di esistere non ne saremo mai consapevoli. Tanto vale continuare a giurarsi quell’amore eterno, sempre e comunque. Perché l’individuo ha bisogno di questo. Di sentirsi unico. Insostituibile. Ha un bisogno vitale che il dubbio non si insinui. Se si insinua, il crollo delle certezze è inevitabile. La frattura è insanabile.
Aldrovandi non fa sconti nel narrare queste conseguenze, non rincorre finali lieti e accomodanti perché, una volta che il suo individuo capisce, non finge e va avanti, bensì si ferma e annaspa nella sua ferita. Ci sarebbe un’altra soluzione per non ferirsi, forse più cristiana, intesa nel senso di bene umanitario: può essere consolatorio (?) sapere che la vita permane anche dopo di noi, che i fiori germogliano, il pane viene sfornato, il traffico congestiona sempre i lunedì, le coppie si sposano e si separano, un ristorante nuovo apre in periferia, l’amica tradisce le tue confidenze, ti vendichi dell’amica che tradisce le tue confidenze, un bambino nasce, un altro non nasce mai e in casa entra un cane… Forme di vita che continuano, che si passano il testimone e che annullano il particolare – quell’uomo lì, al bar, che beve un caffè, un uomo caduco – per elevarsi al generale – l’umanità che si rinnova.
Ma la lotta è severa: è contro un essere molto forte, molto potente. Ed è contro l’individuo e il suo egoismo sano, il suo bisogno spasmodico di essere amato come non si ama nessuno e di essere distinto da tutti gli altri individui altrettanto egoisti di un amore altrettanto unico. Ci vuole, insomma, una buona dose di altruismo e generosità quasi francescana per riuscire a elevarsi al di sopra di se stessi e ad approdare a tale umanità. Si può definire cristianità. Oppure rassegnazione. Il personaggio di Aldrovandi si rassegna e il crollo è irreparabile.

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